Mio padre Sebastiano è morto l'11 novembre 2016 per le conseguenze di un adenocarcinoma. A Lucia, mia madre, è stato diagnosticato nel 2014 il morbo di Alzheimer. Quando si è ammalato, mio padre ha iniziato a raccontarmi la sua vita mettendo, così, ordine anche tra le testimonianze confuse di mia madre. Lei ha disimparato cose elementari come vestirsi in modo corretto, lavarsi e mettere le cose in ordine. Io sono il suo caregiver. Come molti altri malati nelle sue condizioni, è spesso irascibile e aggressiva perché non ha più gli strumenti per decifrare cosa le succede intorno. In Caregiver Whisper racconto piccole storie di vita nella malattia, tra le mille difficoltà con cui mi sono dovuto misurare, il più delle volte da solo, e l'ironia che ci ha aiutato a non impazzire nei momenti più difficili. Questa rubrica è dedicata ai miei genitori, alle persone che mi sono state accanto in questo percorso e a chi si trova, come me, a guardare in faccia la realtà, cercando di elaborare un lutto che lutto ancora non è.
24 luglio 2018
Da due giorni Milano è più calda del solito. Mia madre esce poco e cerchiamo di tenere fresca la casa con un gioco di finestre aperte e di ventilatori. Inutile dire che Lucia, ogni tanto, si alza e chiude una finestra o una porta, vanificando il tutto. Questa mattina, quando l’ho portata fuori con la terapista, dopo circa cinquanta metri si è bloccata, le gambe pesanti e la schiena curva.
M: «Lucia, tutto a posto?»
L: «Sì, sì. Vai, va, camina ca mo vengo.»
A pranzo le ho preparato della carne con l’anguria di contorno, abbinamento inusuale che serve a compensare la sua eterna mancanza di sete. Poi, verso cena, che con l’avanzare della malattia vuol dire anticipare il pasto intorno alle 18, è iniziata l’agitazione. Questo stato di inquietudine è dovuto in parte a una terapia sballata che, fino a quando non sarà nominato un amministratore di sostegno esterno, nessun neurologo ha intenzione di sistemare.
Per cercare di gestire la sua agitazione, mi sono aiutato con alcune canzoni della sua infanzia, con il Cicciobello in versione marionetta e con un film degli anni sessanta con Caterina Caselli, senza riuscire a ottenere lo scopo: tranquillizzarla.
In queste ultime settimane, a differenza di quando c’era ancora mio padre, l’agitazione di Lucia consiste nel fare avanti e indietro per casa, aprendo tutte le porte che trova e accendendo tutte le luci che riesce, alla continua ricerca di qualcosa o di qualcuno. Mia madre non riconosce le stanze ma gli oggetti sì: ricorda bene di averli portati in questa casa proprio ieri, quando è arrivata. Siccome cammina in modo precario, bisogna sempre starle dietro, a volte sostenendola per le spalle o per i fianchi. Come questa sera, che abbiamo fatto avanti e indietro per la casa tutti e due, quasi per due ore di seguito: un trenino che non porta da nessuna parte. A volte Lucia si ferma davanti allo specchio del corridoio, saluta il suo riflesso e poi riprende a vagare, cercando una stanza familiare o sua madre, mia nonna.
Quando si è seduta sul letto, intorno alle 21, ci ha tenuto a precisare che lei a letto non ci sarebbe andata. E, per dimostrare che non era un capriccio passeggero, si è alzata e ha tolto il lenzuolo per l’ennesima volta. Al che le ho chiesto cos’avesse questa sera.
L: «Che c’ho? Non ho niente.»
Le sue frasi sono brevi e la voce è bassa e incerta. A volte sembra biascicare e si fa fatica a comprendere quello che dice.
M: «C’è qualcosa che ti serve e che stai cercando?»
L: «Non ho bisogno di niente.»
M: «E perché continui a fare avanti e indietro?»
L: «Se lo dici tu.»
M: «Dimmi di cosa hai bisogno che ti aiuto.»
L: «Te quando sei arrabbiato non sei nervato?»
M: «E perché sei arrabbiata? Prova a spiegarmi. Perché stai arrabbiata?»
L: «Niente, così.»
M: «Eh, ma niente è troppo poco, Lucì. Son due ore che facciamo avanti e indietro e fai fatica a camminare. Per caso ti ho fatto arrabbiare io, senza volere?»
L: «Papà proprio no.»
M: «Quindi sono stato io che ti ho fatto arrabbiare?»
L: «Ma no», dice mentre cerca di togliersi le dita di una mano. «L’importante è che li tieni bene.»
M: «Che hai in mano? C’è qualcosa che vuoi togliere?»
Lei non risponde e continua a prendersi le dita, allungandole in un filo immaginario. Così fingo di prenderle io e le libero le mani.
M: «A quest’ora vai sempre a letto ma questa sera sei agitata e non trovi pace: perché? Se me lo dici magari ti posso aiutare.»
Mia madre resta zitta e sospira.
M: «Prova a dirmi, dai. Sai che non sono fatto indovino, non sempre riesco a capire le cose se non me le dici.»
Lei mi guarda con gli occhi spenti e continua a non dire nulla.
M: «Posso fare qualcosa per aiutarti?»
L: «No. Queste qui?» chiede indicando le ciabatte.
M: «Quelle sono le tue ciabatte, le togli quando ti metto a letto.»
L: «Quello là è là.»
M: «No, questa sera ci siamo solo io e te, stai tranquilla. Non ci sono altre persone e quindi nessuno ti può rubare qualcosa.»
L: «Alle lì dovrebbe adda. Non c’è niente ma grai… magradi… madai…»
M: «Magari? Vuoi dire magari?»
L: «Eh, magrai andavamo…» dice prima di fermarsi e guardare a terra.
M: «Dici che magari andavamo dall’altra parte?»
L: «Eh.»
M: «Domattina andiamo dall’altra parte. Domani mattina passa Eugenio con la macchina, ci prende e ci porta a casa. Adesso non c’è nessuno di là.»
L: «Sono stanca.»
M: «È normale. È tutt’oggi che fai avanti e indietro anche se ti fanno male le gambe. E poi non hai bevuto nemmeno un bicchiere d’acqua e fa davvero troppo caldo per non bere.»
L: «No, perché volevo vedè per uscendo di qua e vado fino a quando boh»
M: «Domattina quando passa Eugenio con la macchina ci piglia e ci porta, stai tranquilla. Non dobbiamo nemmeno andare a piedi con questo caldo ma andiamo con la macchina che è più comodo. Anche perché, se no, ora che arriviamo là con questo sole che c’è di solito, arriviamo tutti sudati e stanchi.»
L: «È proprio così. Allora tu mettiti a letto.»
M: «Prima fai tu. Io poi vado in cucina a lavorare e dopo mi metto a letto accanto a te.»
L: «Qua dormo io?», chiede sospirando.
M: «Sì. Ma cos’hai?»
L: «Sono cose stupide.»
M: «Niente è stupido, a parte certe persone.»
L: «Tiro le cose.»
M: «Se serve, tirale. Basta che non mi prendi.»
L: «E allora vuje scendete di qua.»
M: «No, resto qua, non devo scendere.»
L: «Io pensavo che…»
M: «No, stasera stiamo qua. Domattina quando passa Eugenio ci prende e ci porta a casa ma stasera io e te restiamo qua a dormire.»
L: «E lui se adesso me l’hai detto tanto viene stanno pure le muse magari ci staje e rimane non si capisce.»
M: «Eh, brava, non si capisce. Ma tu stai tranquilla, non c’è nessuno che rimane. Tu cerca di riposare.»
L: «Passerà, dai. Vediamo. Tutto passa.»
Restiamo zitti. Io mi alzo e mi posiziono davanti a lei, facendole capire che è giunto il momento di togliere i vestiti e mettersi a letto.
Le sollevo le gambe e la metto a letto: «Uno, due e…»
L: «…e tre», dice appoggiando i talloni sul letto. «Grace.»
M: «Ti fanno male le gambe?»
L: «No. Che non ha fatto niente.»
M: «Cerca di riposare e stai tranquilla. Capito?»
L: «Va bene. Dormiamo e li prendo io sti caspiti lassali sta perché tu hai più paia di me.»
M: «Figurati. Poi domattina Eugenio ci viene a prendere e ci porta a casa così stiamo anche più comodi e tranquilli.»
L: «Ancora meglio.»
M: «Già. Io sono di là, se hai bisogno mi chiami.»
L: «Buonanotte.»
Poi esco, spengo la luce e mi siedo su una sedia della cucina. Lì, sul tavolo, Cicciobello è accanto a un bicchiere di plastica pieno d’acqua. Bevo, spengo la luce e così sia.
© Marco Annicchiarico
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