Mio padre Sebastiano è morto l'11 novembre 2016 per le conseguenze di un adenocarcinoma. A Lucia, mia madre, è stato diagnosticato nel 2014 il morbo di Alzheimer. Quando si è ammalato, mio padre ha iniziato a raccontarmi la sua vita mettendo, così, ordine anche tra le testimonianze confuse di mia madre. Lei ha disimparato cose elementari come vestirsi in modo corretto, lavarsi e mettere le cose in ordine. Io sono il suo caregiver. Come molti altri malati nelle sue condizioni, è spesso irascibile e aggressiva perché non ha più gli strumenti per decifrare cosa le succede intorno. In Caregiver Whisper racconto piccole storie di vita nella malattia, tra le mille difficoltà con cui mi sono dovuto misurare, il più delle volte da solo, e l'ironia che ci ha aiutato a non impazzire nei momenti più difficili. Questa rubrica è dedicata ai miei genitori, alle persone che mi sono state accanto in questo percorso e a chi si trova, come me, a guardare in faccia la realtà, cercando di elaborare un lutto che lutto ancora non è.
25 febbraio 2018
A Milano stamattina nevica. Quando preparo mia madre per andare a pranzo da mia zia Linella, sua cognata, le chiedo quale giubbotto preferisce mettere. Lucia mi guarda e non risponde, si avvicina all’armadio e mette diversi fazzoletti dentro una mutanda per poi legarla come fosse un fagotto. Cinque minuti dopo le richiedo quale giubbotto devo prendere e lei, per tutta risposta, si arrabbia: «Guarda che sole che ce staje, che cazzo m’aggia mett ancora ‘nguoll?»
Le dico che va bene, l’aiuto a infilare le scarpe e poi apro la porta di casa. Lei esce sul pianerottolo e, una volta raggiunto l’ascensore, inizia a lamentarsi del freddo.
M: «Lucì, siccome dobbiamo fare un bel giro, vuoi che ti prendo un giubbotto?»
L: «Eh, ja, passammill che face fridd.»
Torna indietro, le mostro il giubbino, infila le braccia nelle maniche e poi l’aiuto ad abbottonarlo. La sciarpa non la vuole, così la piego e la metto in tasca, nel caso in cui, anche qui, dovesse cambiare idea.
La casa dove vive Linella dista 83 metri dalla nostra: usciti dal portone dobbiamo solo girare l’angolo e siamo già arrivati. Siccome Lucia ha sempre più difficoltà a salire le scale, chiamo l’ascensore e, come ogni volta, lei dice che non ce n’è bisogno, che se la fa a piedi, che finché sta bene non è mica un problema. Le blocco l’accesso alle scale e lei, cercando di farmi spostare, inizia a brontolare ma poi acconsente a entrare nell’ascensore. Quando arriviamo al piano, si vede riflessa nello specchio e inizia.
L: «Salve signora, da quanto tempo!»
Z: «Ma con chi sta parlando?» chiede mia zia aprendo la porta.
M: «Parla con lo specchio, non farci caso.»
Z: «Lucia, con chi parli?»
L: «Ho salutato a quella.»
Z: «Ma non sei tu riflessa nello specchio?»
L: «Ma no, che dici? È quella signora che veniva a imparare a fa’ la sarta da mia madre. Vuoi che non la riconosco? È da tanto che non la vedevo, ma avevo sentito che anche lei è venuta qui ad abitare.»
Io stesso dico che è vero, che non me lo ricordavo per nulla e, mentre entriamo a casa di mia zia, lasciamo cadere il discorso e parliamo del freddo che fa.
Durante il pranzo mi chiama Marco ma, ci tiene a precisare, non è mica mio figlio questo qua, è solo uno che vive su da me. Ogni tanto mi dà un pugno sulla gamba, per farmi capire che è giunta l’ora e dobbiamo sbrigarci, ché lei deve andare a casa sua che si sta facendo tardi.
Quando ce ne andiamo e rientriamo a casa, Lucia non è molto contenta, anzi: ha così tante cose da fare a casa sua, quella vera, quella dove vuole rientrare, e perdere tempo in questo modo è una cosa che la rende nervosa. Così inizia a svuotare i cassetti del suo comodino per poi sistemare i fazzoletti e le mutande dentro a un maglione, annodando le maniche, così da creare altri piccoli fagotti pronti per essere portati via più agevolmente. A me ricorda il fagotto di Calimero, personaggio di Carosello che mia madre si è sempre divertita a imitare. Se le fai notare che non va bene mettere quelle cose nel maglione, mia madre si arrabbia perché a casa sua lei è libera di fare quello che vuole. Anche di tagliare la federa di un cuscino in due parti per far entrare meglio il cuscino, proprio come ha fatto ieri mattina. Il risultato, alla fine, le ha dato comunque ragione: adesso, infatti, è molto più semplice riuscire a mettere la federa al cuscino.
Qualunque cosa si dica o si faccia, Lucia continua a ripetere che deve andare a casa sua. Lo fa anche quando le telefona una sua vecchia amica.
L: «Mi hai trovato per un pelo; adesso sono qui ma tra poco me ne torno a casa.»
A: «E in quale casa vai?»
L: «A casa mia.»
A: «Scusa, e adesso dove sei?»
L: «Sono passata di qua ieri sera ma dopo me ne vado.»
A: «Ah.»
L: «Poi aspetto che mi venga a prendere.»
A: «Chi? Tuo figlio?»
L: «No, quell’altro.»
A: «Intendi l’altro figlio?»
L: «No, aspetto che mi venga a prendere Gesù, così poi vado con lui.»
A: «Scusa non capisco, in che senso? A casa tua?»
L: «No, aspetto che me vene a piglià, accussì me ne vaco che so stanca, che ci stanno tante cose ca nun capisco chiù.»
Quando attacca, mi dice che è dispiaciuta, perché la sua amica sta invecchiando.
M: «In che senso?»
L: «Eh, dovevi sentirla.»
M: «E che ha detto?»
L: «È che non capiva quello che dicevo, poverina. Invecchiare è proprio una brutta cosa. Fortuna che io sto bene.»
M: «Già, fortuna.»
L: «Quindi, che facimo, ce ne andiamo a casa?»
© Marco Annicchiarico
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