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Caregiver Whisper 96

Mio padre Sebastiano è morto l'11 novembre 2016 per le conseguenze di un adenocarcinoma. A Lucia, mia madre, è stato diagnosticato nel 2014 il morbo di Alzheimer. Quando si è ammalato, mio padre ha iniziato a raccontarmi la sua vita mettendo, così, ordine anche tra le testimonianze confuse di mia madre. Lei ha disimparato cose elementari come vestirsi in modo corretto, lavarsi e mettere le cose in ordine. Io sono il suo caregiver. Come molti altri malati nelle sue condizioni, è spesso irascibile e aggressiva perché non ha più gli strumenti per decifrare cosa le succede intorno. In Caregiver Whisper racconto piccole storie di vita nella malattia, tra le mille difficoltà con cui mi sono dovuto misurare, il più delle volte da solo, e l'ironia che ci ha aiutato a non impazzire nei momenti più difficili. Questa rubrica è dedicata ai miei genitori, alle persone che mi sono state accanto in questo percorso e a chi si trova, come me, a guardare in faccia la realtà, cercando di elaborare un lutto che lutto ancora non è.

5 gennaio 2020

L: «Quale fiato mi hai dato? È mosso il devo canto? Hai stutato il cavallo basso?»
A volte penso che dovrei segnare su un quaderno tutte le domande strampalate e improvvise che Lucia mi ha posto in questi ultimi anni per poi andare per strada, aprire una pagina a caso e leggerne una a chi mi passa accanto.
«Buongiorno, mi scusi: quale fiato mi ha dato? Per caso sa se è mosso il devo canto? E il cavallo basso, l’ha stutato?»
Mentre lo penso, mi chiedo in che modo mi guarderebbero le persone e cosa penserebbero. Mi chiedo anche se sarebbero in grado di darmi una risposta utile, magari da poter riutilizzare con Lucia nei giorni a venire, o se passerebbero oltre, facendo finta di niente.

Durante i giorni di festa, quelli che la badante chiama i “giorni rossi” (e che io definisco, in modo più melodrammatico “giorni di passione”), il caregiver si sfianca in un modo che non ha eguali. Qualsiasi tipo di attività “pesante”, in confronto a tre giorni passati in solitaria con un malato di demenza severa, diventano un momento di svago. Durante i giorni di festa non c’è nessuno che ci dà il cambio, nemmeno per due minuti, e non ci si può distrarre un attimo perché il comportamento “stravagante” del malato è sempre in agguato. Ad esempio oggi, dopo aver messo la pasta nei piatti, quando mi sono girato per posare la pentola sui fornelli, in quei cinque secondi in cui le ho voltato le spalle, mia madre ha preso il suo bicchiere dell’acqua (si tratta di un bicchiere di plastica chiuso, con il manico e con il beccuccio) e l’ha messo a testa in giù nella formaggiera. A conferma che non si deve mai abbassare la guardia, perché il malato, quando ti distrai, riesce a ritrovare una velocità che non gli appartiene più.

Questa mattina mi sono svegliato perché Lucia stava piangendo nel suo letto. Quando mi sono avvicinato e le ho chiesto perché stesse piangendo, dopo avermi posto la prima domanda (“Quale fiato mi hai dato?”), mi ha guardato serena e ha detto che andava tutto bene. Indicando un’anta dell’armadio, mi ha spiegato che stava parlando con quella, che era tutto a posto. Le ho chiesto se avesse bisogno di qualcosa, se doveva andare in bagno, ma lei ha risposto con la seconda domanda (“È mosso il devo canto?”). Poi, pochi minuti dopo essere uscito dalla sua stanza, ha ripreso quel lamento che somiglia tanto a un pianto sommesso. Così, sono tornato da lei, l’ho accarezzata e mi sono messo nel letto accanto al suo. Ogni volta che iniziava a lamentarsi, le dicevo che era tutto a posto, di stare tranquilla. Anche oggi ho notato che, quando si trova sdraiata nel letto, il suo eloquio diventa piuttosto incomprensibile e ci si ritrova davanti a una marea di parole inventate. Poi, dopo avermi posto la terza domanda (“Hai stutato il cavallo basso?”), si è addormentata. Al risveglio, dopo pochi minuti di silenzio, ha aggiunto una frase che negli ultimi mesi ha già avuto modo di dire: «Mamma, papà, non ce la faccio più.»

Che cosa voleva dire? Non ce la fa più a fare cosa? A non fare quello che ha sempre fatto (come, per fare un esempio, cucinare) o a non fare quello che vorrebbe fare (come andare in quella che nella sua testa è adesso casa sua)? Intende forse che non ce la fa più a questa continua sottrazione che è l’Alzheimer? Quindi, se fosse davvero così, vuol dire che lei si accorge che nella sua testa manca qualcosa? Vuol dire che, nonostante ora abbia un Minimental sotto zero, ci sono ancora dei momenti in cui si accorge che non ci sono più i ricordi degli ultimi cinquant’anni, della sua casa, della sua famiglia, del suo lavoro, delle sue amicizie? Si chiederà mai chi è, adesso?

Durante la giornata, ho provato a farle qualche domanda per vedere se riuscivo a capire qualcosa in più rispetto al pianto di questa mattina. Ma l’unica risposta che mi ha dato, senza mostrare un atteggiamento ostile, è che io sono uno «stungolo coi piedi di cagno». Siccome non ho idea di quale possa essere la traduzione più efficace, mi sono limitato a rispondere con una domanda: «Ah, quindi te ne sei accorta? Brava.»

Nei momenti difficili, in cui né la musica né la finta “lotta” tra di noi la metteva di buon umore, siamo andati a disturbare la sua amica che si trova al di là dello specchio. Lei, per fortuna, ha sempre una parola di conforto per Lucia, anche se in realtà non le parla mai. Si esprime solo a gesti, gesti che fanno ridere mia madre.
L: «Non lo sa, ma lui ha il sedere gliceriato.»
M: «Dici lui io?»
L: «E chi se no?», chiede scoppiando a ridere. «Guarda la signora come se la ride.»

Così, mentre parlavano tra di loro, ho scattato una foto e mia madre si è messa a ridere perché è comparso anche il marito della signora.
L: «L’hai visto?»
M: «Sì, l’ho visto. Ma a lui non gli dici nulla che ha la barba lunga?»
L: «E perché? A lui sta bene ed è bella, mica come a te.»

© Marco Annicchiarico

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