Mio padre Sebastiano è morto l'11 novembre 2016 per le conseguenze di un adenocarcinoma. A Lucia, mia madre, è stato diagnosticato nel 2014 il morbo di Alzheimer. Quando si è ammalato, mio padre ha iniziato a raccontarmi la sua vita mettendo, così, ordine anche tra le testimonianze confuse di mia madre. Lei ha disimparato cose elementari come vestirsi in modo corretto, lavarsi e mettere le cose in ordine. Io sono il suo caregiver. Come molti altri malati nelle sue condizioni, è spesso irascibile e aggressiva perché non ha più gli strumenti per decifrare cosa le succede intorno. In Caregiver Whisper racconto piccole storie di vita nella malattia, tra le mille difficoltà con cui mi sono dovuto misurare, il più delle volte da solo, e l'ironia che ci ha aiutato a non impazzire nei momenti più difficili. Questa rubrica è dedicata ai miei genitori, alle persone che mi sono state accanto in questo percorso e a chi si trova, come me, a guardare in faccia la realtà, cercando di elaborare un lutto che lutto ancora non è.
26 agosto 2016
Quest’ultimo mese è stato particolarmente faticoso, a livello fisico e (soprattutto) a livello emotivo. Se lo è stato per me, non riesco a immaginare quanto lo sia stato per mio padre, marito e oggetto dei deliri più violenti di Lucia. Come tutti gli altri giorni, anche oggi mia madre è prigioniera dei suoi pensieri errati: non fa che parlare di suo padre e della sua amante, insultando Sebastiano che – ai suoi occhi – impersona entrambi, a fasi alterne. A più riprese Lucia mi racconta della loro storia e di quello che lei ha sbagliato e che avrebbe dovuto fare. Ogni volta provo a cambiare argomento, a distrarla, ma lei ritorna sempre lì. Mi ricorda un vecchio 45 giri di Celentano che ho rotto quando ero piccolo; ancora oggi, se lo si ascolta, dopo qualche secondo ritorna al punto di partenza per colpa di un segno che devo aver fatto usandolo per giocare. La canzone è “Grazie, prego, scusi”. Come mia madre, anche Celentano fa tutto da solo: ringrazia, prega e chiede scusa.
L: «Adesso mi pento. Se sapevo prima che mio padre doveva venire di qua, se sapevo che c’era quella, venivo pur’io. Siccome lui ci ha abbandonato e se n’è venuto cu chessa, mi doveva dire perché. Ma poi, proprio cu chessa? Berafatta!»
M: «Ma non riesci più a riconoscere che si tratta proprio di Sebastiano, tuo marito?»
L: «Ma chi? Camina, va’. Muovt muò.»
M: «Dai vieni qui, aiutami a piegare questi vestiti», le dico cercando di distrarla, senza molto successo.
Oggi pomeriggio Lucia ha la prima visita con quella che diventerà la sua nuova neurologa. A consigliarmela è stata Francesca, un’amica di Maurizio. Dopo anni di visite a vuoto, mi raccontava che, con questa dottoressa, sono riusciti a trovare una terapia capace di calmare sua nonna, facilitandone la gestione in casa. Ho fatto anche una ricerca in rete e ho visto che il suo nome compare come ospite in diversi convegni. A differenza di quella precedente, che era capace solo di dire che ci vuole “pazienza e sopportazione”. Quindi, se da un lato spero che la nuova dottoressa possa aiutare anche noi, dall’altro temo si tratti di un nuovo viaggio a vuoto.
Quando siamo usciti, mia madre ha ripreso il discorso anche sotto la banchina della metropolitana: «Se io m’ero accorta di qualcosa, che mio padre con questa qua che sta a casa, io anche se non andavo tutti i giorni là, bastava che dicevo a Damiana – la vicina di casa – fammi un segno quando mio padre viene lì e col cazzo che li facevo stà assieme. Purtroppo son stata un po’ scema io prima di tutto.»
M: «Ma sai adesso dove siamo?»
L: «Lo so dove siamo.»
M: «E dove siamo?»
L: «Senti, uh madonna, sapessi quante volte l’ho presa per andare dove andiamo adesso.»
M: «Ma in che città siamo, perché io non me lo ricordo…»
L: «Siamo a Milano. Ma che, è la testa che non ti aiuta o pensi che sono veramente rimbambita? Ma ora ‘ndo amma sci’?»
Così le racconto che stiamo andando da una dottoressa per vedere se possiamo avere qualche soldo in più sulla pensione. Questo è l’unico modo in cui riesco a portare mia madre a una visita medica. Le faccio credere che il Comune, per aiutare chi ha più di 78 anni, ha deciso di aumentare la pensione in base allo stato di salute. Quindi, bisogna fare una visita: chi sta male riceverà più soldi e chi sta meglio, come mia madre, ne riceverà di meno. Ma non faccio in tempo a finire che subito riprende: «Se avessi detto a quella che abita di fronte a noi “senti, guarda qualche cosa e poi mi fai un colpo di telefono”, io andavo lì e davo un colpo in testa a tutti e due. Non me l’aspettavo da quello stronzo di mio padre. Co’ ‘sta cretina lloc che nun sape manco fa’ nient.»
Accanto a noi due ragazze stanno parlando di un concerto che hanno visto ieri sera e ogni tanto si girano dalla nostra parte. Io mi sento a disagio, sia perché non so cosa fare sia perché sono imbarazzato al pensiero di cosa potrebbero pensare le persone che ascoltano mia madre.
L: «Se non mi sbaglio si sono conosciuti quando mamma faceva la sarta e venievan a casa.»
Io non replico più nulla e conto quante fermate dobbiamo fare, mentre lei non sta zitta un attimo: «Purtroppo, se ci pensavo prima, tante cose non… Però ci aggia fa’ qualche domanda a lei. Prima a lei e poi a lui pure. A parte che a lui ci diciett paricchie parole poco tempo fa. Però ci aggia dice a patrm…»
M: «Che gli devi dire?»
L: «Lo so io.»
M: «E Sebastiano invece che dice?»
L: «Cosa che dice?»
M: «Di questa cosa.»
L: «No, non ci aggio ditto niente di questa cosa. Che vedi, io sono stata pure scema. Se io capivo che erano andati dove stiamo adesso, io bastava che chiamavo a cosa là e al momento giusto che c’era lui andavo là senza dire niente. Solamente che io non lo sapevo che l’aveva portata lloco. Per forza, che la casa l’avevamo presa… un po’ di anni fa.»
Poi, quando saliamo sulla metropolitana, ci sediamo e mia madre smette di parlare di colpo. Si guarda intorno e inizia a controllare nella borsetta che ci siano i suoi fazzoletti. Ieri, poco per volta, li ha messi dentro tutti quanti. Credo lo faccia perché è convinta che li ha fatti sua madre e non vuole farseli fregare da nessuno, visto che per lei hanno un valore affettivo molto alto. Poi, a un certo punto, mentre io inizio a sentire caldo e vorrei sparire, mia madre indica una biondina in piedi davanti a noi, mi dà una gomitata, e poi – ad alta voce – dice: «Uagliò, hai visto che bel culetto che ci ha quella là? Perché non la saluti?»»
© Marco Annicchiarico
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