Mio padre Sebastiano è morto l'11 novembre 2016 per le conseguenze di un adenocarcinoma. A Lucia, mia madre, è stato diagnosticato nel 2014 il morbo di Alzheimer. Quando si è ammalato, mio padre ha iniziato a raccontarmi la sua vita mettendo, così, ordine anche tra le testimonianze confuse di mia madre. Lei ha disimparato cose elementari come vestirsi in modo corretto, lavarsi e mettere le cose in ordine. Io sono il suo caregiver. Come molti altri malati nelle sue condizioni, è spesso irascibile e aggressiva perché non ha più gli strumenti per decifrare cosa le succede intorno. In Caregiver Whisper racconto piccole storie di vita nella malattia, tra le mille difficoltà con cui mi sono dovuto misurare, il più delle volte da solo, e l'ironia che ci ha aiutato a non impazzire nei momenti più difficili. Questa rubrica è dedicata ai miei genitori, alle persone che mi sono state accanto in questo percorso e a chi si trova, come me, a guardare in faccia la realtà, cercando di elaborare un lutto che lutto ancora non è.
11 settembre 2018
Oggi è una giornata piuttosto particolare: in mattinata, infatti, in Tribunale ci sarà il giuramento dell’amministratore di sostegno esterno che, da oggi in poi, deciderà al posto dei figli cosa è meglio per Lucia. Per chi non lo sapesse, l’AdS esterno è un avvocato che viene nominato per evitare che “la conflittualità tra i membri della famiglia inibisca il corretto funzionamento della misura di tutela del malato”. Di solito viene richiesto da un familiare che contesta l’operato del caregiver: in questo caso, invece, l’ho richiesto io per tutelare, oltre a Lucia, anche me stesso. Ma questa è un’altra storia.
Nonostante mia madre di solito scenda dal letto almeno tre volte a notte e alle sei del mattino sia sveglia come se avesse dormito per un giorno intero, stamattina non ne vuole sapere di alzarsi. Io stesso, lo ammetto, ho fatto un po’ di fatica; ma il mio è sonno arretrato che si trascina da un bel pezzo.
L: «Ma mò ‘ndo aggia scì?»
M: «Andiamo a fare un giro e poi facciamo colazione fuori.»
L: «E vacci tu, io nun tengo voglia.»
Non insisto e la lascio stare ancora un po’ a letto. Dopo dieci minuti, però, ritorno all’attacco e questa volta le dico che dobbiamo prepararci perché ci aspettano in Comune. Si lamenta, impreca, protesta; allora le racconto, fingendo, che ci aspettano perché le devono dare dei soldi. Di fronte a questa prospettiva si alza e accetta di farsi cambiare da Giorgia, pur continuando a brontolare.
Prima di uscire sistema Cicciobello nel letto, appoggiandolo sul suo cuscino, e gli dice di aspettarla a casa tranquillo ché torna presto. Io, invece, lo guardo male e gli dico che se ci tiene al suo pon-pon bianco, deve venire con noi. Lui, a differenza di Lucia, mostra subito un sorriso di circostanza e mi segue senza lamentarsi.
Arriviamo in Tribunale con venti minuti di anticipo e, una volta davanti alla stanza, la T21, scopriamo che ci sarà parecchio da aspettare, visto che hanno un ritardo di quasi un’ora. Guardo Lucia e la vedo tutta sorridente insieme al piccolino. Nel corridoio, in attesa del nostro turno, mia madre avrà modo di spiegare più volte ai presenti come il suo bambolotto sia molto più bello di me, facendo scoppiare diverse risate, non mie.
«È bella, vero?»
«È bellissima», le risponde un avvocato sorridendo.
Esce anche il Giudice e, quando vede Lucia che parla e bacia Cicciobello, anche lei commenta alla sua assistente: “Guarda che dolce quella signora”. Io vorrei dirle che, se l’avesse vista questa mattina, sospetterebbe che ho usato la cannabis terapeutica per averle fatto cambiare l’umore in questo modo. Invece è tutto merito del “cinesino” col pon-pon.
Ogni tanto Lucia mi chiama e, per tenerla quieta, gioco un po’ con le sue orecchie oppure le dico qualcosa che la faccia ridere. Lei, coi suoi enormi occhi castano scuro, risponde con frasi senza senso come “l’altro ieri abbiamo fatto un po’ di spiazetto” oppure “andava di sopra che sono corda di te”.
Quando arriva il nostro turno, spingo la carrozzina davanti al Giudice Tutelare che risponde al nostro saluto con un “Ah, la bambolina me la ricordo! Questa è la signora carina di prima”. Io penso ancora che gliela farei tenere un pomeriggio intero, giusto per poterci confrontare la sera su quale possa essere l’aggettivo più adatto tra “carina” e “posseduta”.
GT: «…volendo assumere le funzioni di amministratore di sostegno di Lucia Raffa, nata a Zungoli… Dov’è che si trova Zungoli?»
M: «In provincia di Avellino.»
L: «Al mio paese.»
GT: «Al suo paese, signora?»
L: «Comunque è anche lui ma io sono nata.»
L’avvocato giura, io visualizzo nella mente il cordone ombelicale che unisce me e Lucia che piano piano inizia a staccarsi, e poi mi concentro sulle parole di un foglio di giornale che, in perfetto stile decoupage, è diventato l’esterno di un vaso per i fiori. Ma non ricordo se in quel vaso ci fossero o meno dei fiori, veri o finti. Usciamo e facciamo conoscenza con l’avvocato. Ci mettiamo d’accordo sulle cose da fare e, per la prima volta in questi due anni, mi sento più leggero. Anche se non cambierà nulla perché, quando Lucia inizierà a delirare, l’amministratore non sarà lì a darmi una mano, è come se mi scaricasse un po’ del peso che mi porto addosso.
Usciamo e chiedo a Lucia se preferisce tornare a casa o se vogliamo fare un giro in Duomo.
«E jamme in Duomo, ja’.»
Ogni tanto si lamenta per la guida troppo spericolata e penso a mio padre che, invece, mi chiedeva sempre se potevo spingere io la carrozzina “perché quella là – la badante – se ne frega se ce staje o meno ‘na buca“. Mia madre non passa da queste parti da molto tempo e, così, decido di fare un bel giro. Ci fermiamo sulla piazza e facciamo anche una foto, tutti e quattro, Cicciobello compreso, come fossimo dei turisti qualsiasi. Lungo la strada mia madre importuna piccioni, cagnolini e bambini che la guardano e le invidiano il piccolino che ha tra le mani. Poi, giunta l’ora di pranzo, prendiamo un taxi e rientriamo a casa.
Qui inizia un’altra giornata. Gli occhi di mia madre, infatti, in questo momento hanno perso il pieno del loro castano scuro e la retina è come se fosse annacquata sul bordo, come se – a nostra insaputa – stesse accadendo qualcosa nel suo campo visivo. Non ho la minima idea di come sia possibile ma, ogni volta che mia madre inizia a delirare, i suoi occhi castano scuro si “schiariscono”.
Il pomeriggio è un delirio dietro l’altro al punto che, mentre io sono fuori per ritirare dal mio amico Maurizio la cintura per la carrozzina, Giorgia deve chiedere aiuto al ragazzo del ristorante cinese sotto casa perché mia madre inizia a gridare e imprecare per strada.
Anche quando rientro, il delirio non accenna a diminuire. Per questo accendo la televisione e cerco le orchestre sui soliti canali; solo nel tardo pomeriggio trovo Canta Lombardia, la trasmissione con Sabrina Musiani. Qui eseguono, quasi una dietro l’altra, tre delle canzoni che più le piacciono: “Meglio sarebbe”, “La bella Gigogin” – che, a differenza di quello che ho sempre immaginato, ho scoperto essere un canto patriottico – e “Reginella Campagnola”; è così che in casa ritorna il buonumore. Lucia se ne resta per diversi minuti in piedi davanti al televisore e dirige i musicisti, accarezzando lo schermo, come a volerli accarezzare dal vivo uno per uno. Ne approfitto e inizio a preparare la cena.
L: «Sai – mi dice a un certo punto – questo lavorava con mio padre.»
M: «Davvero?», le chiedo.
L: «E allora no?»
M: «E che faceva?»
L: «Quello che serviva.»
Metto il piatto a tavola e mangiamo.
Le dico che domani torniamo a casa, anticipando la sua solita domanda (“uagliò, ma dopo che facciamo, torniamo a casa?”) e poi la metto a letto in fretta, prima che cambi idea. È stanca, come me, ha il volto tirato e fa molta fatica a parlare.
«Se hai bisogno, chiamami» le dico.
La saluto, le do un bacio sulla fronte, ed esco. In cucina, Cicciobello mi guarda sconsolato: ha già capito che questa notte gli toccherà dormire da solo nel porta-caramelle che c’è sulla credenza.
© Marco Annicchiarico
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