
Il paracadute appeso al ramo, culliamo.
Il paesaggio è un falso
con un buco al centro: occhi
che tarlano, bocca che trama la tela.
*
È saggezza di funambolo: troppo vero spezza il filo.
E barcolli in barbagli, cieco l’occhio che crede
svelto il piede che sfiora
lo strapiombo di essere intera.
*
Il ramo sussulta, stacca e plana la foglia
appena un dorato fruscìo.
Culla d’aria la fine di qua dalla soglia.
*
Abbiamo perso un mondo quando abbiamo rinunciato
all’esatta sincronia del battito. Resta solo il breve gesto
lo sfiorarsi quando inclina e converge
residua, non sazia.
*
Avremmo dovuto restarcene chini, radici le mani per non vedere
le unghie nere, e non alzare gli occhi: lupi braccati nel sole.
Avrebbe potuto salvarci la paura del guado, due salti
in due dita d’acquasanta; d’un tratto sentimmo
graffiare l’arsura, la fuga degli anni a curvarci la schiena.
*
Correvi a piedi nudi nella neve, le orme addolcivano piano
scivolava il profilo delle barche sotto la coltre e oltre
una lingua di sassi scuriva appena, là dove frange l’onda.
Da qui avremmo immaginato il mondo.
Loriana d’Ari vive a Genova, dove lavora come psicoterapeuta. Ha pubblicato su riviste e blog letterari.
Una replica a “Loriana d’Ari, Inediti”
Testi molto personali, a tratti fulminanti che dimostrano già grandi potenzialità in questa giovane autrice che speriamo possa tenerci compagnia con i suoi versi, che ci faccia partecipi della sua ricerca.
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