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Caregiver Whisper 43

Mio padre Sebastiano è morto l'11 novembre 2016 per le conseguenze di un adenocarcinoma. A Lucia, mia madre, è stato diagnosticato nel 2014 il morbo di Alzheimer. Quando si è ammalato, mio padre ha iniziato a raccontarmi la sua vita mettendo, così, ordine anche tra le testimonianze confuse di mia madre. Lei ha disimparato cose elementari come vestirsi in modo corretto, lavarsi e mettere le cose in ordine. Io sono il suo caregiver. Come molti altri malati nelle sue condizioni, è spesso irascibile e aggressiva perché non ha più gli strumenti per decifrare cosa le succede intorno. In Caregiver Whisper racconto piccole storie di vita nella malattia, tra le mille difficoltà con cui mi sono dovuto misurare, il più delle volte da solo, e l'ironia che ci ha aiutato a non impazzire nei momenti più difficili. Questa rubrica è dedicata ai miei genitori, alle persone che mi sono state accanto in questo percorso e a chi si trova, come me, a guardare in faccia la realtà, cercando di elaborare un lutto che lutto ancora non è.


12 ottobre 2018

Anche questa notte Lucia ha avuto un bel po’ di difficoltà a prendere sonno (eufemismo). Nel giro di tre ore, infatti, l’ho rimessa a letto almeno sette, otto volte. Dopo pochi minuti, però, era di nuovo in piedi e riprendeva a vagare (a barcollare) per la casa. Senza mai accendere la luce passava dalla cucina alla sala, attraversando il corridoio, per poi affacciarsi con la testa in ogni stanza, quasi a cercare qualcuno. Questo disturbo della malattia è detto “ipercinesi”: il malato cerca di placare (senza successo) un forte senso di irrequietezza, di ansia, iniziando il suo vagabondare, il cosiddetto “wandering”.

A mie spese ho scoperto che l’ipercinesi e il wandering nascono sempre per un motivo preciso: può essere la noia, il dolore, l’ansia, un senso di smarrimento o di disorientamento, un malessere fisico come un’infezione, lo sconforto, una confusione temporale o la ricerca di qualcosa o di qualcuno. Per cercare di mantenerlo calmo, i manuali consigliano “di evitare di privare il malato della sua indipendenza, assicurandosi al tempo stesso che non sia esposto a rischi eccessivi”. Molto facile da scrivere, molto meno semplice da mettere in pratica. Per fortuna il vagabondare di mia madre adesso è circoscritto alle sole mura domestiche, il che rende la situazione molto più “gestibile” (anche questo è un eufemismo).

Lucia, che adesso ha un minimental di zero su trenta, non si fa mancare nemmeno l’ipotonia muscolare: ma, nonostante sia debole e faccia molta fatica a camminare, non se ne sta ferma un attimo. Questa notte sembrava agitata (posseduta renderebbe meglio l’idea ma è pur sempre mia madre, quindi dico agitata), in un misto tra l’ansia per qualcosa appena successa e la paura per qualcosa che invece deve ancora accadere. Così per sette, otto volte, a un certo punto mi sono alzato, l’ho raggiunta e le ho messo una mano sulla spalla, cercando di provare a tranquillizzarla.
M: «Lucia, che fai sveglia a quest’ora?»
L: «Niente.»
M: «Ma che hai?»
L: «Niente.»
M: «Sei forse preoccupata?»
L: «Non c’è niente» risponde, con uno sguardo del tutto sconsolato.
M: «E ti posso aiutare in qualche modo?»
Lucia non dice nulla ma sappiamo bene entrambi qual è la risposta.

A volte andiamo in cucina.
L: «Saranno cotti quelli là?»
M: «Sì, e li abbiamo già messi a posto.»
L: «Perché quello che è sciuto a Purcarina aveva detto vedi prima là e poi parli.»

Altre volte torniamo in camera sua.
L: «Senti, c’è la zia qua. Vai giù, sopra le scale, vuoi andare? Sì, vuoi andare? Così però, senza…»
Cicciobello mi guarda e anche lui non ha la minima idea di cosa potrebbe rispondere, così se ne sta zitto.
Lo prendo e lo tolgo dall’imbarazzo dicendo a Lucia che lo porto di là a letto. Il tempo di girarmi e lei toglie il copriletto e la coperta perché così le hanno detto le voci.

Altre ancora ce ne andiamo in bagno.
L: «E quell’altro?», chiede specchiandosi.
M: «Non c’è, se n’è andato via ma torna domani mattina presto.»
L: «Ma no, ha detto ca veneva. L’importante è che non si fa amarto.»

In ogni caso, l’espressione sul volto di Lucia non cambia.
Non serve a nulla nemmeno farle vedere qualche video di Enrico Musiani, né farle cullare Cicciobello per qualche minuto e nemmeno bestemmiare sottovoce i morti (non i nostri, che è peccato).
Ogni volta Lucia riprende a camminare, poi torna da me e dice una frase incomprensibile.
L: «Coso ha detto ca veneva, che caspita viene a fare?»
M: «Lucì, guarda che non viene nessuno.»
L: «Qua sotto è senza coso me l’ha detto chiru uaglione ca non c’era lu callo
Anche la sedia, da lei interpellata, conferma le sue frasi, visto che erano presenti tutte e due.
L: «Dincillo tu ché a me nun me crere
Così ci rinuncio e dopo un po’ me ne torno in camera, esausto, sperando che, senza vedermi, si rimetta anche lei sotto le coperte. Invece, poco dopo, si rialza, mi raggiunge e se ne esce con un: «È che quello mi ha detto così e adesso che devo fare?»
Già, che deve fare?
Allora riporto Lucia in cucina e ci sediamo. Se si esclude una bestemmia, rivolta a me, non dice nemmeno una parola. Solo dopo dieci minuti di silenzio, chiede come farà mia figlia senza di me. Le dico che ora sta dormendo. Lei.

Poi riprende: «Fanno schifo.»
M: «Ma chi?»
L: «Loro.»
M: «Vabbè, ma ora sono andati via.»
L: «Zitto ca te sentono
M: «No, Lucì, siamo rimasti solo noi due, stai tranquilla.»
Lei invece fa segno di parlare sottovoce e continua con frasi sconnesse che non riesco a comprendere nemmeno quando riascolto la registrazione.
L: «Dice che io non aggio fatto scritto, non aggio fatto niente…»
M: «E che dovevi fare?»
L: «E che ne so. Poi con calma te lo dico.»
M: «Lucì però devi alzare la voce se no nun riesco a capì nu cazzo
L: «Zitt, bast, bast che poi metteno cine e cose» fa segno, come se dietro la porta ci fosse qualcuno in ascolto.
M: «Lucì, fa na bella cosa: futtetinne
L: «Ma quello non vuole la storia.»
M: «E noi non gliela diamo.»
Il resto della serata lo passiamo così, tra parole inventate, frasi deliranti, oggetti animati con cui parlare, come nei cartoni animati di Walt Disney e il pensiero che, se a marzo avessi potuto cambiare la terapia di Lucia, forse adesso non saremmo a questo punto.
Poi, di colpo, riprende un altro interminabile silenzio.

A un certo punto, mentre in televisione spiegano che il Parlamento ha approvato la Nota al Def, Lucia alza lo sguardo e, con una lucidità che credevo avesse perso per sempre, esclama: «Mi fa male lo stato.»
L’ho trovata un’analisi politica impeccabile.
Alla fine “lo stato”, il motivo scatenante del wandering e del suo completo delirio, era lo stomaco. Dopo un’altra mezz’ora, infatti, mi ritrovo a pulire il parquet della sala, metti la cera, togli la cera. Lucia è molto più calma e anche il suo linguaggio è meno farneticante.
L: «Ancora lì stai?»
M: «Eh, sai com’è…»
L: «Io vaco a dorme
M: «Aspetta che vengo ad aiutarti.»
L: «Eh, ma tu non dormi di là?»
M: «Sì, dormo di là.»
L: «Meglio. Prima che ti fai strane idee.»

© Marco Annicchiarico

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