Mio padre Sebastiano è morto l'11 novembre 2016 per le conseguenze di un adenocarcinoma. A Lucia, mia madre, è stato diagnosticato nel 2014 il morbo di Alzheimer. Quando si è ammalato, mio padre ha iniziato a raccontarmi la sua vita mettendo, così, ordine anche tra le testimonianze confuse di mia madre. Lei ha disimparato cose elementari come vestirsi in modo corretto, lavarsi e mettere le cose in ordine. Io sono il suo caregiver. Come molti altri malati nelle sue condizioni, è spesso irascibile e aggressiva perché non ha più gli strumenti per decifrare cosa le succede intorno. In Caregiver Whisper racconto piccole storie di vita nella malattia, tra le mille difficoltà con cui mi sono dovuto misurare, il più delle volte da solo, e l'ironia che ci ha aiutato a non impazzire nei momenti più difficili. Questa rubrica è dedicata ai miei genitori, alle persone che mi sono state accanto in questo percorso e a chi si trova, come me, a guardare in faccia la realtà, cercando di elaborare un lutto che lutto ancora non è.
24 agosto 2016
L: «Comunque non è giusto. Mia madre ha fatto tanti sacrifici, ha lavorato per una vita intera.»
Qui Lucia si interrompe, abbassa lo sguardo e con il groppo in gola, dopo un silenzio quasi teatrale, chiude la sua frase con una certa amarezza: «E adesso questa stronza si gode la casa.»
Nemmeno a dirlo, la stronza (che in questo momento si trova in sala e prova a guardare la televisione) altri non è che mio padre. O meglio: agli occhi di mia madre, anche oggi Sebastiano è l’amante di suo padre. A metà mattinata Lucia si è messa fuori dalla porta del bagno e ha aspettato che uscisse per urlargli in faccia che si deve vergognare perché quando è morto suo padre, lei – cioè la presunta amante – non ha avuto nemmeno il coraggio di presentarsi e dirle che da qualche anno aveva una relazione con il defunto: «Ma mi vuoi dire che donna sei? Ma non ti fai mica schifo? T’avessa vergognà, la stronza ca sì, nata cresciuta e pasciuta.»
Una delle cose più difficili per la famiglia di un malato di alzheimer è accettare che chi ti sta accanto, la persona con cui hai vissuto per anni e anni, non è più in grado di comprendere la realtà. Infatti, se mia madre crede che la persona che si ritrova davanti è una donna, non esiste modo alcuno per riuscire a farle capire che invece si tratta di suo marito. L’ultima volta che ci ho provato, che le ho spiegato come stavano le cose, ha iniziato a urlare: «Ma che cazzo vuò? Chisto, come parlo parlo, è sempre male. Che cazzo aggio fatto di male? Almeno lo vorrei sapere. Mi dici tu hai sbagliato in questo, hai sbagliato in quest’altro, per quello te lo dico. Ecco, son più contenta. Angiacazz, c’ho una certa età e rompi le palle accussì? Dimmelo. Me rici: Lucia tu non sei più buona a sta qua, nun si chiù capace e fa niente, vafancul vattinne. Io me ne vado. E ti lascio a te e vediamo che fai.» L’alzheimer, la demenza in generale, è una malattia subdola e, in questi casi, non c’è molto da fare, solo distrarre il malato e impegnarlo in altre attività. Questo, però, lo scoprirò solo più avanti.
Oggi a portare fuori Lucia per il solito giro, nella speranza che possa tornare un po’ più serena e senza questi continui problemi di agnosia, ci prova Giorgia: visto che nessuno mi aiuta, per una decina di ore alla settimana passa a dare una mano coi miei genitori. Siamo ancora nella fase di studio: prima di farla venire con una certa continuità, deve conquistare la fiducia di mia madre. A Lucia, quando ha chiesto «E questa mò che cazzo ci face in casa mia?», abbiamo detto che viene per assistere mio padre. Sebastiano, invece, nemmeno a dirlo, non la vuole perché non ce n’è bisogno: «Quella lo fa solo per soldi, che ti credi?»
M: «Ovvio che lo faccia per soldi, per Giorgia è un lavoro. Il problema è che io a gestirvi tutti e due da solo non ce la faccio e te l’ho già detto, quindi si deve trovare una soluzione.»
La sua risposta è stato il silenzio. Anche se continua a sostenere che non abbiamo bisogno di un aiuto, sa benissimo qual è la realtà.
Infatti solo ieri, preso dallo sconforto, Sebastiano ha avuto un attacco di panico e si è chiuso a chiave in bagno a piangere. Poi, quando è uscito, ha minacciato di buttarsi giù dal balcone.
S: «Così la faccio finalmente finita, ché questa non è più vita.»
M: «Vastià, non dire stronzate. Sei l’unico che mi è rimasto sano di mente in famiglia; poi con chi altro devo parlare?»
Lui sorride ma è esausto per i continui attacchi di mia madre; in più, il fatto che non sia più autonomo, lo deprime. Anche se non sono ancora riuscito a convincerlo a fissare una visita con uno psicologo, cosa che gli farebbe solo del bene, almeno ha accettato di prenotare un appuntamento con un dietologo che gli preparerà una dieta su misura per poter prendere peso e regolamentare l’alimentazione.
Ogni tanto gli do dei fiori di Bach e, forse più per suggestione che per altro, dopo una decina di minuti dice già di sentirsi meglio. Altre volte, invece, gli leggo alcuni pezzi dei post di Severino Cesari: aiuta me a pensare in positivo e sembra riesca a fare lo stesso anche con mio padre. Seppure in situazioni diverse, combattono entrambi un tumore. Avendo lavorato alla Mondadori per una vita, Sebastiano conosce bene il nome di Severino (per chi non lo sapesse, Severino Cesari è stato un famoso editor e – tra le altre cose – l’ideatore della collana Stile Libero di Einaudi insieme a Paolo Repetti). Anche ieri, quando si è calmato, gli ho letto un passaggio di un post che aveva pubblicato solo pochi giorni prima.
“Non è il caso, no, di togliere l’armatura.
Molto lunga è la strada da compiere in queste terre insicure, rosseggianti di guerra lungo il cammino. […]
Oggi non hai più bisogno di sperare.
Meglio godere momento per momento di questa forza, che pure d’improvviso ti appare fragile.
Ma non lo è.
Un passo dopo l’altro, proseguire.
Oggi anche a te, al sicuro nella tua forza, che sarà ogni momento meno fragile, quanto più la farai tua, oggi anche a te è concesso il bene più grande.
Puoi riposare.
Fa parte del cammino.”
Mio padre si è un po’ commosso ed è rimasto in silenzio. Poi, una volta ricomposto, sottovoce ha replicato: «Magari potessi riposare… Sai qual è il fatto? Che lui non tiene a tua madre accanto.»
M: «Porta ancora un po’ di pazienza, vedrai che dopodomani il nuovo dottore ci aiuterà.». D’istinto gli ho risposto così anche se, in realtà, pensavo che avesse perfettamente ragione.
Quindi abbiamo continuato a fare il gioco del silenzio. Tra due giorni devo portare Lucia a un’altra visita specialistica, con un nuovo neurologo. Speriamo ci possa dare qualche indicazione su come poter affrontare questa situazione più grande di noi.
Mia madre rientra dopo circa mezz’ora, insieme a Giorgia; è tutta sorridente e si avvicina a mio padre.
L: «Uagliò, sei tornato?»
Mio padre resta zitto e lei continua: «Ma sai che ti stavo cercando? Addo’ si ghiuto?»
S: «Sono sempre stato qui.»
L: «Ah, ecco perché ti è venuto il culo così». Poi scoppia a ridere, va in camera, si cambia e quando ritorna in cucina dice che vuole fare la pasta fatta a mano.
La guardiamo e non diciamo nulla. Si mette il grembiule e inizia tutta contenta perché, dice, adesso finalmente è riuscita a tornare a casa. Io la guardo, le sorrido, e vorrei che fosse davvero così.
© Marco Annicchiarico
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