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Caregiver Whisper 41

Mio padre Sebastiano è morto l'11 novembre 2016 per le conseguenze di un adenocarcinoma. A Lucia, mia madre, è stato diagnosticato nel 2014 il morbo di Alzheimer. Quando si è ammalato, mio padre ha iniziato a raccontarmi la sua vita mettendo, così, ordine anche tra le testimonianze confuse di mia madre. Lei ha disimparato cose elementari come vestirsi in modo corretto, lavarsi e mettere le cose in ordine. Io sono il suo caregiver. Come molti altri malati nelle sue condizioni, è spesso irascibile e aggressiva perché non ha più gli strumenti per decifrare cosa le succede intorno. In Caregiver Whisper racconto piccole storie di vita nella malattia, tra le mille difficoltà con cui mi sono dovuto misurare, il più delle volte da solo, e l'ironia che ci ha aiutato a non impazzire nei momenti più difficili. Questa rubrica è dedicata ai miei genitori, alle persone che mi sono state accanto in questo percorso e a chi si trova, come me, a guardare in faccia la realtà, cercando di elaborare un lutto che lutto ancora non è.


11 giugno 2017

Anche se non dice nulla, questa sera Lucia è un po’ agitata. Questo pomeriggio ha chiesto a più riprese dove fosse suo padre, dov’era andato, con chi si trovava e quando sarebbe tornato: «Perché torna, vero?». Prima di riuscire a farle cambiare discorso, ho cercato di rispondere (un’infinità di volte) restando sul vago il più possibile. Verso sera abbiamo iniziato a giocare a carte e poi abbiamo visto in televisione l’amichevole dell’Italia. È stata una sua richiesta, visto che a Lucia piace cantare l’inno della nazionale di calcio, nonostante ormai non ricordi più molte di quelle parole.
Poi, dopo averle fatto vincere una partita a scopa, usando regole inventate di sana pianta, come se tutto le si fosse finalmente svelato, ha iniziato: «Ma senti un po’, il papà mio non c’è più, no?»
M: «No, è morto parecchio tempo fa.»
L: «Eh, perché mi ricordavo che…», ma poi si ferma senza finire la frase. Restiamo entrambi in silenzio per qualche minuto e poi le chiedo se per caso non l’abbia sognato.
L: «Eh, sì. Pensavo anch’io, dico…», ma in realtà non dice altro. Visto che le sembrava plausibile il discorso del sogno, insisto, cercando di prevenire qualsiasi tipo di ragionamento che mi possa mettere in difficoltà.

Infatti, è già successo in passato che mia madre si svegliasse in piena notte e venisse da me per raccontare qualcosa di assurdo. Io rispondevo sempre che l’aveva sognato, le mettevo una mano sulla spalla, sorridevo, e le dicevo di stare tranquilla, che era stato solo un brutto sogno. Poi, quando sembrava convinta, la portavo a fare un giro della casa, per farle vedere che era tutto a posto e non c’era nessun altro. Così, mi sono detto, proviamo a sfruttare questa tattica.
M: «Lucia, magari è che adesso l’hai sognato.»
L: «Mentre stavo lì a guardare lu coso pensavo che steva qua
M: «E allora sì, probabilmente è perché l’hai sognato. A volte ti capita che lo sogni e…»
L: «Sì, perché ho pensato che l’avevo sentito…» mi interrompe subito.
M: «Per quello. A volte infatti capita che lo sogni e poi vieni da me a chiedere “ma dov’è, era qua”. Così ti dico “no guarda che l’hai sognato” e poi mi dici “ah sì, è vero è vero”.»
A questo punto Lucia cambia argomento e finge interesse per la Nazionale: «Allora, quanto stanno questi altri?»
M: «Vince l’Italia 2-0 ma è una brutta partita.»
L: «Ma tu adesso vai a letto o?»
M: «O.»
L: «Che poi papà mi parlava di quello là.»
M: «Di quello là chi?»
L: «Di quello che c’era a casa.»
M: «E chi è quello che era a casa?»
L: «Perché, tu non lo conoscevi?»
M: «Boh, non ho capito di chi parli. A te cosa veniva questo qua?»
L: «Niente, non era nessuno. Papà l’aveva fatto venire a casa.»
M: «E quindi è venuto per un po’ e poi se n’è andato via?»
L: «Nooo, è stato parecchio, parecchio tempo. E poi, chi lo sa, se n’è andato.»
M: «Ma io ero già qua o sono arrivato dopo?», chiedo cercando di capire di chi potrebbe parlare.
L: «No, tu sei arrivato dopo. E io dicevo… Caspita, non mi ricordo il nome.»
M: «Fa niente, tanto un nome vale l’altro. Quindi è stato a casa per un po’ quando c’era papà ma poi se n’è andato via senza dire nulla.»
L: «Eh, senza dire nulla se n’è andato.»
M: «Vabbè meglio così.»
L: «Dici?»
M: «Dico.»
L: «E perché se n’è andato?»
M: «Secondo me quello non ti poteva sopportare e allora se n’è andato via. Tu che dici?»
Lucia ride e chiede un biscotto per il caffè.
L: «Perché ti prendi lu coso mio?», chiede indicando il tovagliolo.
M: «Lo butto perché è tutto sporco.»
L: «Ma che sporco e sporco.»
M: «Vedi?», le dico mostrandoglielo aperto. «È tutto stropicciato e sporco di sugo.»
L: «Naa, il tuo culo è sporco.»
Scoppiamo a ridere. Si mangia il biscotto e, prima di finirlo, ne prende un altro dal sacchetto. Con la scusa di un’occasione mancata dalla Nazionale, la distraggo e nascondo il sacchetto. Fosse per lei, da quando è malata, sarebbe capace di mangiarsi tutti i biscotti, uno dietro l’altro. Nell’alzheimer, soprattutto nei casi di demenza fronto-temporale, spesso viene compromesso il senso di sazietà. Quindi si attraversa un periodo famelico che poi, come per tutti i tipi di demenza, svanisce lasciando il posto al problema opposto.

L: «Pensa che papà disse va che stronzo.»
M: «E perché?»
L: «Perché è stronzo. Dice è venuto in casa, gli abbiamo dato da mangiare, l’abbiamo trattato bene e lui se n’è andato. Stu strunz
M: «Quindi aveva assunto qualcuno che lavorava con lui all’epoca?»
L: «Sì, ma poi non ha chiamato più nessuno. Papà non si manteneva coi soldi, quello che doveva dare gli dava. Quando questo se n’è andato disse ma vafammocc, ora li fazzo io e me li piglio io li soldi e così non ha pigliato nessun altro. È stato quel periodo là che… lui lavorava. Dice caspita li paghi e c’erano quelli che non erano contenti.»
Non la interrompo e la lascio parlare. Molte delle cose che sta raccontando, che continua a ripetere per tre, quattro, cinque volte, non sono vere ma non puntualizzo nulla perché so già che non serve. Fingo di essere interessato per farle raccontare quello che ha in testa. Mi piace pensare che, se tira fuori tutte queste storie, da sotto quei ricordi inventati potrebbero riprendere ancora forma i suoi ricordi, quelli veri.
L: «Poi un altro ragazzo sempre di Zungoli stava con papà, con lui, mangiava e così…»
M: «Ma imparava il lavoro da falegname?»
L: «Eh qualcosa imparavano. Allora piglia e se n’è andato, se n’è andato senza dire niente. Papà disse vafammocc, non aggia piglia chiù nisciuno.» Ride.
L: «Diceva capisco se non li pago, non è che fanno le cose per niente sti guagliuoni, disse mo non devo pigliare più nessuno, me l’aggia fa io. Tu sai chi è?»
M: «Dici questo che lavorava da tuo padre?»
L: «Eh.»
M: «No, mi dispiace.»
L: «Mi viene la cosa di di… di rivederlo a questo qua.»
M: «Ma non sai chi è.»
L: «Non mi ricordo nemmeno come si chiama. Mi ricordo solamente che sono stati con papà a lavoro e poi all’ultimo se n’è andato. Teneva na mugliera, nu figlio eppure papà qualche cosa gliela dava, non è che lo faceva venire a gratis.»
Poi si gira a guardare il mobile. Lo accarezza e sorride. Forse, penso, crede che sia stato costruito da suo padre.
L: «Ah Signore. Mi piace che hanno messo questi cosi da qua – dice mia madre indicando gli sportelli dove sono i piatti -. Speriamo che mantienn. Chissà, se ci mettiamo sotto qualche cosa?»
M: «No, non serve.»
L: «Là sotto, guarda. Mantiene, dici?»
M: «Sì, stai tranquilla che questi mantengono. Poi lì dentro c’è solo qualche piatto, nulla di pesante.»
L: «Mica come a te.»
M: «In che senso?»
L: «Ca sì pesante
M: «Eh, è che ho preso tutto da mia madre.»
L: «No, caro, da me non hai preso niente.»
Sorrido. «Quindi sai a te cosa vengo?», chiedo un po’ stupito.
L: «Che domanda stupida, certo che lo so: siamo cugini. Ma t’hanno cresciuto i miei genitori perché nemmeno i tuoi ti sopportavano e t’hanno lasciato in mezzo alla chiazza. Possibile che non te lo ricordi?»

© Marco Annicchiarico

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