Mio padre Sebastiano è morto l'11 novembre 2016 per le conseguenze di un adenocarcinoma. A Lucia, mia madre, è stato diagnosticato nel 2014 il morbo di Alzheimer. Quando si è ammalato, mio padre ha iniziato a raccontarmi la sua vita mettendo, così, ordine anche tra le testimonianze confuse di mia madre. Lei ha disimparato cose elementari come vestirsi in modo corretto, lavarsi e mettere le cose in ordine. Io sono il suo caregiver. Come molti altri malati nelle sue condizioni, è spesso irascibile e aggressiva perché non ha più gli strumenti per decifrare cosa le succede intorno. In Caregiver Whisper racconto piccole storie di vita nella malattia, tra le mille difficoltà con cui mi sono dovuto misurare, il più delle volte da solo, e l'ironia che ci ha aiutato a non impazzire nei momenti più difficili. Questa rubrica è dedicata ai miei genitori, alle persone che mi sono state accanto in questo percorso e a chi si trova, come me, a guardare in faccia la realtà, cercando di elaborare un lutto che lutto ancora non è.
06 giugno 2018
L: «Non ce la faccio più.»
Io alzo gli occhi verso il soffitto, guardo mia madre e le chiedo questa volta cos’è successo.
L: «È che adesso sono proprio stufa.»
M: «Di cosa?»
Lucia si gira, controlla che non ci sia nessuno in ascolto, e poi riprende a bassa voce: «Speriamo che quella faccia di merda sparisce e non torna più.»
M: «Scusa, ma chi?» chiedo un po’ stranito.
L: «Lui e quella zoccola della mamma. Puozze passà nu guaio.»
Io non replico nulla perché non so con chi potrebbe avercela, visto che oggi in casa non c’è stato nessun altro, oltre a noi due.
Lei continua a parlare, mischiando fra loro avvenimenti mai accaduti ad altri che – in parte – raccontano una verità vissuta, anche se in un periodo lontano. È un fiume in piena e lascio che si sfoghi senza intervenire, anche perché, oltre a non averne voglia, davvero non saprei cosa rispondere. Ogni tanto, quando mi guarda, faccio segno con la testa; a lei basta per continuare, convinta di aver trovato un alleato.
In questi giorni c’è stato un nuovo peggioramento. Ieri sera, per esempio, a un certo punto ha iniziato a spingere la poltrona e si è agitata perché questa non passava dalla porta. Così, quando le ho chiesto cosa stesse facendo, ha risposto con una naturalezza disarmante che dovevano uscire di casa, tutte e due, visto che le stavano aspettando a casa loro. Credo in parte sia dovuto al caldo, al fatto che (come quasi tutti i malati di demenza) beve poca acqua e in parte a una terapia che andrebbe modificata. Per farlo, però, sono in attesa che venga nominato l’amministratore di sostegno.
L: «Mo fà. Invece di aiutarlo, sto strunz.»
M: «Eh, ma alla fine ci ha aiutato e siamo anche riusciti a sistemare tutto», provo a dire cercando di farle passare questa arrabbiatura.
L: «Senti, ma tu te ne vieni adesso?»
M: «E dove?»
L: «Io vado a casa, che ci devo fare qui?»
M: «Oggi stiamo qui e torniamo a casa domani.»
L: «Ah, già.»
M: «Dopo mangiamo qualcosa, poi andiamo a dormire e domani mattina vengono a prenderci per andare a casa.»
L: «Vabbè, io me ne torno mò.»
Fosse per mia madre, passerebbe il tempo a tornare da una casa all’altra. Anche perché, da come la descrive, questa casa di cui continua a parlare non assomiglia a nessuna delle case in cui ha realmente abitato. Di sicuro, la posizione è quella della casa della sua infanzia, ma tutto il resto non è altro che un insieme degli appartamenti in cui ha vissuto in tutti questi ottantun anni. La stanza con la tenda, la finestrella del bagno, il camino dove una volta ha fatto bruciare una pentola, il sottano e il solaio: sono tutti frammenti di varie case in cui ha vissuto e che la sua demenza ha messo assieme con paziente precisione.
Io, intanto, con il telecomando cerco di trovare un canale che trasmetta qualcuna delle canzoni che le piacciono, sperando la possano distrarre. Quando arrivo su Iris, mi attardo perché c’è una scena che mi ricorda qualcosa. Stanno trasmettendo Seven, il film con Brad Pitt e Kevin Spacey, quando era considerato ancora un attore rispettabile. Giro ma Lucia mi chiede di tornare di nuovo dov’era prima, perché quello che hanno appena inquadrato lo conosce bene.
M: «Ma chi dici?», chiedo io.
L: «Quello», risponde lei.
In televisione ora c’è un primo piano di Spacey. Io penso che forse è per via delle accuse di questi giorni, magari si ricorda di averlo visto in qualche telegiornale. Lucia, invece, mi spiega che, come per la casa, anche in questo caso la realtà è un’altra: loro due andavano a scuola insieme, non tanti anni fa.
L: «Forse non ci crederai, ma con me non ci ha mai provato.»
Scoppio a ridere, pensando che con tutti gli attori che ci sono in questo film lei è riuscita a scegliere l’unico coinvolto in uno scandalo sessuale. Ma visto che rido, lei continua: «Ti giuro, davvero, è proprio nu bravo uaglione.»
M: «Ti credo», le dico.
L: «E allora che tien da ride?»
M: «Perché è da tanto che non lo vedevo e mi fa piacere che l’abbiamo rivisto proprio oggi.»
L: «Perché, lo conosci anche tu?»
M: «Sì, lo conosco anche io.»
L: «Ma tu eri a scuola con noi?»
M: «No, non ero a scuola con voi.»
L: «Ah, ecco, me pareva. Che tu non saje tante cose, mica sì cumme a nuje.»
© Marco Annicchiarico
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