Mio padre Sebastiano è morto l'11 novembre 2016 per le conseguenze di un adenocarcinoma. A Lucia, mia madre, è stato diagnosticato nel 2014 il morbo di Alzheimer. Quando si è ammalato, mio padre ha iniziato a raccontarmi la sua vita mettendo, così, ordine anche tra le testimonianze confuse di mia madre. Lei ha disimparato cose elementari come vestirsi in modo corretto, lavarsi e mettere le cose in ordine. Io sono il suo caregiver. Come molti altri malati nelle sue condizioni, è spesso irascibile e aggressiva perché non ha più gli strumenti per decifrare cosa le succede intorno. In Caregiver Whisper racconto piccole storie di vita nella malattia, tra le mille difficoltà con cui mi sono dovuto misurare, il più delle volte da solo, e l'ironia che ci ha aiutato a non impazzire nei momenti più difficili. Questa rubrica è dedicata ai miei genitori, alle persone che mi sono state accanto in questo percorso e a chi si trova, come me, a guardare in faccia la realtà, cercando di elaborare un lutto che lutto ancora non è.
28 dicembre 2015
Ci sono giorni in cui le telefonate che i miei scambiano con i parenti del sud diventano un elenco con i nomi di chi è morto o di chi si è sposato. Forse è anche per questo che, ancora oggi, quando Lucia parla con qualcuno che è nato al suo paese, subito dopo i saluti, la prima domanda che pone è sempre la stessa: «Hai qualche novità di Zungoli?»
Tutte le volte che i miei salutano e rimettono a posto il telefono, dopo ogni nome pronunciato tra mia madre e mio padre, scatta il riconoscimento ufficiale che passa prima dal nome dei genitori e poi dal soprannome dei nonni.
Quando andavamo in vacanza al paese dei miei, in Irpinia, ricordo che gli anziani che mi vedevano girare per il paese con i miei amici, ci fermavano sempre per chiedere «Uagliò, ma tu a chi appartien?».
L’unico modo per farmi riconoscere era presentarmi come il figlio di Lucia di Maliotto. Quando, invece, a chiedere informazioni era qualcuno che viveva in campagna, dovevo rispondere che ero il figlio di cap russ, a sua volta figlio di Filomena alla porta.
Di quel periodo ricordo che, quando i parenti parlavano di altre persone del paese, se ne uscivano fuori con alcuni soprannomi che trovavo divertenti e mi facevano ridere di gusto: come past e fasul, ciuffet e, il mio preferito, pezza n’gul. All’epoca mi spiegarono anche il perché di quei soprannomi curiosi ma oggi, a dire il vero, non ne ho memoria alcuna. Come mia madre.
M: «Ma davvero se non dite il soprannome non riuscite a capire di chi si parla?»
I miei sorridono.
S: «Giù si è sempre usato così.»
L: «Ad esempio, la mamma r mamm si chiamava Maria Golia ma tutti la chiamavano Nannella Patiella.»
M: «E come mai?»
L: «La chiamavano così, ma non ricordo perché» risponde, per poi scoppiare a ridere.
S: «Mio nonno, lu patr r mamm, si chiamava Nicola Matarazzo e il soprannome era Matone.»
M: «Matone nel senso di mattone?»
S: «Sì. Quando iniziò a costruire la casa in campagna, andava a comprare solo i mattoni rossi, quelli pieni. Già in quegli anni faceva l’intercapedine davanti e poi in mezzo, anche se non ne capiva nulla».
Sebastiano mi dice che il mio bis-nonno Nicola, quando stava costruendo la casa, comprava il materiale da un certo Tucciano, anche questo un altro soprannome. Andava da lui con il cavallo e due ceste, una da una parte e una dall’altra. Ogni volta gli diceva «‘ngiulì, riempimi le ceste ma solo con mattoni rossi perché il muratore ha detto che gli altri non li vuole.»
«Nicò, ma sai quanto ti costa?»
«E che t’aggia dì. Quello mi ha detto che con questi viene meglio.»
Così fece due piani e la stalla di fianco alla cisterna. Mio padre mi racconta che la cisterna poteva contenere 400 quintali d’acqua e che suo nonno aveva realizzato proprio lì sotto un piccolo pozzo, in modo che l’acqua in eccesso potesse essere raccolta per i periodi di siccità. Poi, ogni tre o quattro mesi, andava ad Avellino per farla analizzare.
Lucia gli dice di raccontare anche di quando Matone ebbe a che fare con i carabinieri. Un giorno, infatti, un vicino invidioso fece una segnalazione perché la porta non era a norma. Così, nonno Nicola diede al maresciallo delle uova e un coniglio, chiedendo di dargli tempo una settimana per fare i lavori. Dovette rifare un po’ tutto, riprendendo la pavimentazione, scardinando la porta, piegando i ferri per poi tirare su i muri a norma.
Mio padre lì ci andava con un catino piccolino in testa per lavarsi. A volte trovava i cavalli che andavano a bere: «Dove abbiamo il bosco avevamo messo la pastora, due cosi di legno con della corda, in modo che i cavalli non potevano correre e saltare. C’era la siepe e c’era un cavallo che, se non stavi attento, ti annusava e poi cercava di morsicarti. A quello lì mio nonno metteva la pastora davanti e dietro, in modo che non saltasse oltre la staccionata.»
Poi, continua, un giorno questo cavallo non riusciva più a stare in piedi. «Allora il veterinario Compierchio, ricordi Compierchio?, lo visitò e ci disse che aveva preso la malattia delle ossa.»
L: «Ma mica lo sa lui a Compierchio.»
S: «No, infatti lo sto dicendo a te.»
L: «Ah, a me. Sì, me lo ricordo, stemm vicini di casa.»
S: «Era bello, uno di quei sauri rossi. Pensa che l’anno prima c’era uno che lo voleva e mio nonno non l’ha voluto vendere.»
L: «E adesso che gliel’hai detto stai meglio?»
S: «In che senso?»
L: «Sai che ce ne strafreca a iss?» dice scoppiando in una sonora risata.
Mio padre ci guarda, sorride e resta zitto. Poi, dopo un breve silenzio, mia madre gli dice che la cugina oggi ha parlato di un matrimonio.
L: «Ma non ho capito bene, a chi appartiene?»
S: «È a sora dell’arciprete che ha sposato il nipote di Pascalina.»
L: «Ah, Pascalina. Ma è ancora viva?»
S: «No, murese.»
L: «Eh, è proprio una brutta faccenda.»
S: «Che cosa?»
L: «Che è muort!»
S: «Ma se teneva cientanni!»
L: «Sì, ma è uno schifo. Uno esce di casa e poi non sa se ci torna a casa.»
S: «Uarda che è muort rind a casa.»
L: «E allora diciamo che è uno schifo. Ci pensi? Uno se ne resta in casa e poi non sa se riesce a uscire di nuovo.»
© Marco Annicchiarico
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Una replica a “Caregiver Whisper 77”
Sono Caregiver, la mia mamma diagnosi Alzheimer dal 2013 ora grave ma, un percorso lento, è stata all’inizio un iperattiva, quindi si è riusciti a lavorare bene con lei ma, faticosa per me le lotte che ho fatto, con i medici, con gli operatori, la mia fortuna è stato incontrare associazione aima, che mi ha aiutato e soprattutto, la mia curiosità mi ha fatto, fare diverse esperienze, il diurno non andava bene, l’ho cambiato ho trovato struttura che operava con malati di Alzheimer, coordinatrice stupenda, che ha capito il bisogno di mamma, ogni paziente è diverso, bisogna entrare in sintonia con loro, mamma ha fatto fino a quest’anno stimolazione cognitiva, ora è molto rallentata, sto aiutando altri familiari, a volte le persone ascoltano di più i familiari dei pazienti ma, manca ancora tanta informazione, i medici di base devono essere più attenti ad indirizzare i loro pazienti..
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