Mio padre Sebastiano è morto l'11 novembre 2016 per le conseguenze di un adenocarcinoma. A Lucia, mia madre, è stato diagnosticato nel 2014 il morbo di Alzheimer. Quando si è ammalato, mio padre ha iniziato a raccontarmi la sua vita mettendo, così, ordine anche tra le testimonianze confuse di mia madre. Lei ha disimparato cose elementari come vestirsi in modo corretto, lavarsi e mettere le cose in ordine. Io sono il suo caregiver. Come molti altri malati nelle sue condizioni, è spesso irascibile e aggressiva perché non ha più gli strumenti per decifrare cosa le succede intorno. In Caregiver Whisper racconto piccole storie di vita nella malattia, tra le mille difficoltà con cui mi sono dovuto misurare, il più delle volte da solo, e l'ironia che ci ha aiutato a non impazzire nei momenti più difficili. Questa rubrica è dedicata ai miei genitori, alle persone che mi sono state accanto in questo percorso e a chi si trova, come me, a guardare in faccia la realtà, cercando di elaborare un lutto che lutto ancora non è.
19 giugno 2015
Oggi mia madre ha riportato a galla un vago ricordo che risale ai primi anni ottanta. Riguarda una radio privata che si trovava in Via Guinizelli, a pochi passi da un residence e da un negozio che vendeva l’oro.
Si chiamava Radio Sud e aveva preso il posto di Radio Diffusione Lombarda; nonostante avesse mantenuto la stessa struttura e l’acronimo RDL, il palinsesto cambiò in modo drastico. Questo, anche grazie al personale che era subentrato nella gestione della radio, a sua volta fuoriuscito pochi mesi prima da Radio Antenna Migrante.
L: «Un giorno, tu eri ancora piccolo, fu ospite negli studi Luciano Tajoli. Andò per presentare il nuovo disco e così lo chiamai in diretta: mi risponnese. A me piaceva molto come cantava, anni fa.»
M: «Ma dai. Mi avevi raccontato che il papà lo chiamavano Tajoli quando era giovane.»
L: «Sì, ma vuoi mettere la copia con l’originale?»
Mio padre sorride e dice che chi disprezza, alla fine, compra sempre.
Mia madre ricambia il sorriso e continua a raccontare la sua storia.
L: «Io lavoravo alla Motta e facevo i turni ma quel giorno ero a casa perché era il mio turno di riposo. Mannaggia, lo sai che sono stata proprio scema? Invece di chiamare al telefono dovevo andare lì di persona a farmi fare l’autografo, così lo salutavo. Era pure qui vicino.»
S: «Sì, lo salutavi come quando hai salutato a Umberto Tozzi qualche anno fa?», replica mio padre.
M: «Cioè? Racconta.»
Mia madre scoppia a ridere.
Questa storia la conosco molto bene e penso di averla raccontata a quasi tutti i miei amici. Però, fingo di non esserne a conoscenza, e così me la faccio raccontare di nuovo.
La storia di Umberto Tozzi, in breve, è questa. In un sabato qualunque di qualche anno prima, i miei genitori erano andati a fare un giro al Mercato Comunale di Viale Monza e stavano tornando verso casa. A un certo punto, da un negozio di strumenti musicali che si trova in Via Varanini, esce Umberto Tozzi con in mano una chitarra. Mia madre lo vede da una certa distanza e poi si gira verso mio padre.
L: «Vastià, hai visto?»
S: «Che cosa?»
L: «A quello lì con la chitarra.»
S: «Embè?»
L: «Hai visto, è Umberto Tozzi.»
S: «Ma va, non è lui.»
L: «Sì, ti dico di sì.»
S: «Ma no, ti sbagli, non è lui.»
L: «Ma se ti dico di sì, che è lui, perché vuoi insistere?»
S: «Guarda che a me non sembra proprio che sia lui.»
L: «E mò te fazz verè.»
Così mia madre gli si avvicina, sorride e chiede scusa del disturbo: «Ma mi sbaglio o lei è proprio Umberto Tozzi, il cantante?»
UT: «Certo signora, sono proprio io», risponde Tozzi sorridendo e togliendosi gli occhiali.
L: «Ah, bravo!», gli risponde mia madre. Poi si gira verso mio padre, sorride e riprende a camminare.
L: «Vastià, hai visto, che t’avevo detto? Io ho sempre ragione…»
Rido, come ogni volta che ripenso a mia madre che ferma Tozzi, chiede se è davvero lui, gli dice bravo e poi se ne va, smorzando il sorriso sulla sua faccia.
L: «Comunque prima stavo raccontando un’altra cosa.»
L’Alzheimer, in questo periodo, è ancora un nemico invisibile. A dire il vero, non sembra nemmeno una minaccia. Per esempio, mia madre ricorda perfettamente che stava parlando di altro e vuole finire il suo discorso. Lucia è ancora lucida e nessuno di noi è preoccupato. Mio padre dice sempre che è tutto sotto controllo e io stesso continuo a fare la mia vita in Sicilia. Siamo tranquilli perché non abbiamo la minima idea di quello che è realmente la sindrome di Alzheimer. Mia madre si attacca ai suoi ricordi e li tira fuori uno dopo l’altro, con estrema lucidità, rievocando ogni minimo particolare. Forse, penso, la demenza in questi mesi sta solo prendendo le misure: ascolta tutti i ricordi di mia madre e decide l’ordine in cui più avanti li andrà a eliminare per sempre, uno dopo l’altro.
M: «Giusto, finisci pure! E allora, quando hai chiamato in radio a Tajoli, cosa gli hai detto?»
L: «Ci facemmo ‘na bella chiacchierata. Gli dissi che mi è sempre piaciuto come cantava e mi piaceva anche come uomo.»
M: «Ma scusa, e lo dici davanti al papà?»
L: «Ma lui non c’era…»
M: «Ho capito, ma adesso è qui!», aggiungo sorridendo.
L: «Seee, ma sai quanto gliene frega a lui!»
Ridiamo tutti e tre e poi mia madre continua: «Gli dissi che avevo un nipote che ha il problema che ha lui. Era tutto contento della nostra chiacchierata ma io lo ero molto di più.»
M: «In effetti ci potevi andare, era davvero vicino.»
L: «Tu forse non te lo ricordi ma una volta mandai te e tuo fratello a prendere una maglietta della radio, le regalavano agli ascoltatori. Era bella, molto bella, con lo stemma al centro e la scritta attorno.»
M: «E l’ho mai usata? Perché non me la ricordo per nulla.»
L: «No, non l’hai mai usata perché era piccola. Però era molto bella. Così l’ho usata come straccio per pulire a terra.»
M: «Ma come? Se hai detto che era bella!»
L: «E certo che era bella! Fosse stata brutta l’avrei buttata via subito.»
© Marco Annicchiarico
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Una replica a “Caregiver Whisper 58”
Grazie sempre ❤️
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