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Caregiver Whisper 46

Mio padre Sebastiano è morto l'11 novembre 2016 per le conseguenze di un adenocarcinoma. A Lucia, mia madre, è stato diagnosticato nel 2014 il morbo di Alzheimer. Quando si è ammalato, mio padre ha iniziato a raccontarmi la sua vita mettendo, così, ordine anche tra le testimonianze confuse di mia madre. Lei ha disimparato cose elementari come vestirsi in modo corretto, lavarsi e mettere le cose in ordine. Io sono il suo caregiver. Come molti altri malati nelle sue condizioni, è spesso irascibile e aggressiva perché non ha più gli strumenti per decifrare cosa le succede intorno. In Caregiver Whisper racconto piccole storie di vita nella malattia, tra le mille difficoltà con cui mi sono dovuto misurare, il più delle volte da solo, e l'ironia che ci ha aiutato a non impazzire nei momenti più difficili. Questa rubrica è dedicata ai miei genitori, alle persone che mi sono state accanto in questo percorso e a chi si trova, come me, a guardare in faccia la realtà, cercando di elaborare un lutto che lutto ancora non è.


15 giugno 2016

Da quando mio padre è ritornato a casa dopo l’ultimo ricovero, mia madre è diventata ingestibile. La nuova terapia consigliata dalla neurologa, dopo un inizio piuttosto confortante, sembra non avere più alcun effetto benefico. Anche portare Lucia a fare un giro fuori di casa, cercando di distrarla, il più delle volte non riesce a donare un minimo di tranquillità, né a lei né a noi: per strada si sfoga, racconta il suo punto di vista, quello che crede essere vero, e quando si rientra in casa tutto ritorna come prima di uscire. Io stesso ho serie difficoltà a cercare di mantenere un clima di serenità in casa visto che Sebastiano, dopo quest’ultimo ricovero, sembra aver perso la pazienza nei confronti di Lucia. E non mi sento di dargli torto: gestirne i continui sbalzi d’umore è diventata un’impresa molto ardua. Ci sono momenti in cui non riusciamo a vedere una via d’uscita e non sappiamo a chi chiedere aiuto. Chi dovrebbe aiutarci, per legami di sangue, non c’è.

Con mia madre lo scenario cambia da un momento all’altro: se mentre stiamo parlando sa di essere a casa sua a Milano, dopo pochi secondi pensa di trovarsi al suo paese, a Zungoli, e insiste per andare a trovare un parente che vive lì. E se proviamo a farla ragionare, a farle capire dove siamo, l’unico risultato che si ottiene è scatenare la sua ira. Anche la promessa di accompagnarla dopo aver sistemato alcune faccende si è rivelata un metodo inefficace. Ad esempio, questa mattina Lucia ha insultato Sebastiano perché, secondo lei, finge di non stare bene per costringerla a restare qui con noi, per farsi servire e riverire. In realtà, né io né mio padre abbiamo capito con chi ce l’avesse di preciso, visto che anche oggi lei non ha riconosciuto suo marito. Così, l’ho portata fuori.

Con la scusa di ritirare alcuni miei esami in ospedale, esco con Lucia per fare un giro; durante il viaggio mia madre ritorna tranquilla e mi racconta che la persona che è in casa le deve portare rispetto, ché lei non è né stupida né una schiavetta. Come detto, neanche oggi riconosce Sebastiano: ai suoi occhi, infatti, mio padre cambia ruolo di continuo. Ora si tratta di suo padre, ora di sua madre, ora dell’amante di suo padre, a volte di sua suocera e, altre volte, di un cugino che non sopporta e che, in realtà, non esiste. Tutte queste figure, tranne sua madre, le creano crisi di nervi, visto che tutte – a suo dire – tramano contro di lei o hanno fatto quelle che lei definisce delle “grandi, grandi cazzate”.

Entriamo anche in un bar e prendiamo un decaffeinato e una treccia al cioccolato. Lucia, me lo dice subito, non ne vuole assaggiare nemmeno un pezzo ma, alla fine, se la mangia tutta da sola: «Ah, scusa, mica avevo capito che ne volevi un po’ anche tu.»

Rientrati a casa, riprende con un’altra sfuriata; così chiamo la neurologa per chiedere se non sia il caso di cambiare qualcosa, di aggiungere un tranquillante o qualche altro medicinale che possa quietarla. La dottoressa, mostrando un’empatia fuori dal comune, dopo aver sbagliato la pronuncia del mio cognome, quasi scocciata risponde: «Parliamoci chiaro, la terapia non serve a nulla. Bisogna armarsi di pazienza e sopportazione. Quindi cerchi di portare pazienza.»
Quando le faccio presente che non mi è molto di aiuto e che né io né mio padre abbiamo la minima idea di come fronteggiare le allucinazioni e i deliri di Lucia, aggiunge che quello che ho chiamato non è il numero verde del centro Alzheimer e non mi può aiutare.
D’accordo con mio padre, decidiamo che questa sarà l’ultima volta che avremo a che fare con lei.

In cucina la situazione non è cambiata per nulla. La nuova sfuriata di mia madre, però, questa volta ci fa capire quello che c’è nella sua testa. Oggi, infatti, Lucia ce l’ha con me che sono il terzo fratello, quello più piccolo (che in realtà non esiste) e con nostro padre (mio padre) perché ci ha lasciati da soli a casa insieme al suo aiutante (che è sempre mio padre) che ogni tanto porta a casa la sua amante (indovina chi è?) e poi la lascia a dormire da noi. In questo momento mia madre è arrabbiata e si rivolge a mio padre pensando che si tratti di questa fantomatica amante.
L: «Ma mi sai dire perché non ti ho mai vista prima?»
S: «Lucia, ma guarda che sono tuo marito!»
L: «Ma va, mio marito è maschio, mica mi sposavo con una femmina. Figurati poi con una come te…»
Faccio segno a mio padre di non rispondere oltre, di fare finta di nulla, per evitare che continui questa discussione, ma lui è esasperato dalla sua malattia e dall’ossessività di mia madre. Passano però pochissimi minuti e lo scenario cambia ancora.
L: «Ma senti un po’, fammi capire: è tanto che vivi qui?»
In questa domanda, mia madre sembra aver messo da parte l’aggressività.
Mio padre non risponde e mi guarda; entrambi capiamo che in questo momento lui non sta più “recitando” la parte dell’amante.
L: «Io te lo devo proprio dire.»
S: «Che cosa?»
L: «Non dovevi permetterti di prendere quella stronza e portarla in casa. Mi hai deluso tanto. Non fa un cazzo e vuole comandare, ‘sta puttana. Tu poi sparisci e non dici nulla. Ma che padre sei? Capisco che hai bisogno di una compagna, ma te la potevi scegliere meglio.»
Io guardo Sebastiano e penso che forse sia il caso di fare un altro giro: «Papà, è meglio se porto ancora fuori la mamma.»
S: «Se vuoi andare vai pure ma mi sa che più fuori di così non ti riesce mica.»

© Marco Annicchiarico

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