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Due o tre cose che ho imparato facendo ricerca su Goliarda Sapienza

Domenica 10 maggio ricorrerà l’anniversario della nascita di Goliarda Sapienza, che avrebbe compiuto quest’anno 96 anni. Quasi ogni anno, dal 2013, «Poetarum Silva» dedica uno spazio a lei e alla sua opera, cercando di portare i lettori su piani di lettura (si potrebbe dire) ‘obliqui’ rispetto al taglio divulgativo scelto da altri canali: l’intenzione è quella di esplorare novità, le novità che gli autori fanno affiorare se li si lascia parlare. In questi dieci anni di studio dell’opera di Sapienza sono successe tante cose: soprattutto è accaduto che l’allineamento agli studi di Giovanna Providenti validi fino al 2016 – fino all’uscita della monografia Goliarda Sapienza: una voce intertestuale (1996-2016) (La Vita Felice 2016) –, nel tempo, iniziasse a trovare non una deriva ma un’espansione: con pazienza e attenzione ho iniziato a smontare alcuni mattoni portanti di quella casa che è l’opera autobiografica, facendo tesoro dell’intuizione che mi stava guidando e del racconto di Beppe Costa e Simona Weller (di cui ho parlato qui), che furono molto vicini a Goliarda Sapienza. Mettendo in discussione un unico punto di vista, ho iniziato a problematizzare ciò che non solo le Enciclopedie online ma anche rilevanti studi critici hanno sostenuto; scegliendo una dimensione critico-divulgativa ho tentato di costruire nuove fondamenta su cui poggiare le mie tesi. Appare, questo, un discorso vago, me ne rendo conto, ma serve a identificare ciò che è stato per me “il dopo” che ha strutturato la ricerca valida dal 2016 a oggi: l’estrema possibilità di andare a ricercare materiali, documenti, articoli che portassero alla luce dettagli utili a spiegare quelli che ho etichettato come “luoghi comuni d’autore”. Mi riferisco alla mancata fortuna in vita di Sapienza, ad esempio: un caso, il suo, quello de L’arte della gioia – che il 26 aprile scorso, su «La Lettura del Corriere» Alberto Casadei ha definito un “classico del futuro” – che ha raccolto decine di migliaia di lettori attorno alla storia di una donna senza vincoli, una “outsider” come Goliarda si autodefinisce in Io, Jean Gabin. Ben vengano gli studi di critica femminista per questa “personaggia” così irriverente, scomoda, complessa, eppure un certo successo è dato anche dall’arma con cui il mercato lo accoglie, lo lancia, lo “fa destino”. Diciamo sempre che le donne scrittrici sono poco lette: Einaudi lo capì presto, nella seconda metà degli anni Duemila, quando sulla scorta del successo francese ripubblicò il romanzo. Qualcuno sostiene che AdG sia stata la sua più grande sfida letteraria, prima di tutto con il suo sé-autore: dal canto mio penso che quel romanzo non esisterebbe senza le prove precedenti, e questo la critica l’ha già ampiamente sostenuto, pur dividendosi sul genere – romanzo, memoir o autobiografia in progress – che l’autrice sperimentò di volume in volume. Soprattutto credo di poter affermare che la prima cosa che ho imparato facendo ricerca su Sapienza è questa: la gestazione del suo “grande romanzo” risulta, a oggi, ancora incerta nei tempi e nei modi, e soprattutto la sua pubblicazione (nella versione integrale postuma) può dirsi controversa in vita, dettata da trame di non facile lettura, tra il 1978 e il 1985. Chi avrà piacere di approfondire questo specifico aspetto potrà trovare alcune direzioni di ricerca in un articolo dal titolo L’arte della gioia di Goliarda Sapienza: una pubblicazione lunga vent’anni (1978-1998) apparso su «Kepos – Semestrale di letteratura italiana» (1/2019).
‘Insistere’ per il bene della ricerca su argomenti ostici può recare noia al lettore, lo capisco. Tuttavia cercare di dare ‘nuove verità’ al racconto su questa autrice è diventato necessario per nutrire il senso stesso del fare ricerca: quel ‘leggere oltre’ che non deve mai mancare nello studioso e nel lettore; quella necessità e volontà di (ri)comporre bagagli solidi ‘al futuro’, mettendo da parte alcune convinzioni pregresse, auto-commentandosi e auto-confutandosi, scegliendo di aumentare il significato del proprio lavoro non come una missione ma con la scelta di un rispetto per lo stesso e per l’autore. Fabio Michieli, con cui condivido una parte importante del lavoro su Sapienza sul nostro lit-blog, nel 2013 ha parlato di Ancestrale, la raccolta di poesie di Sapienza edita da La Vita Felice, scegliendo di presentare al pubblico il volume con una nota “impropriamente filologica” (qui), riprendendo poi l’argomento in un altro articolo (qui). Fabio inaugurava già allora quel ripensamento dell’opera di un’autrice che nasceva poeta e lo faceva, da fine studioso, secondo la via meno ovvia e più impervia: quella di una comprensione che deve mettere in crisi chi legge e chi ascolta. La filologia sa che l’oggetto finale è frutto di movimenti tutt’altro che lineari, che nulla hanno a che fare con teorie applicate tout court ai testi né ipotetiche attinenze con poeti coevi. Allora la seconda lezione che l’autrice ci dà è quella di cercare nei suoi testi la realizzazione, il lavoro che lì c’è.
A gennaio 2020 ho potuto pubblicare un altro articolo che riguarda il suo teatro inedito e un soggetto cinematografico recente, altrettanto inedito: “Ipotesi” e Non è un ospite: su un canovaccio e un soggetto di Goliarda Sapienza ‘a prestito’ («Kepos – Semestrale di letteratura italiana» 2/2019). Questo lavoro, come il precedente, è frutto di alcuni anni di scavo mirato e accurato dentro l’opera, elaborando percorsi non soltanto di comparazione e ponendo sotto la lente d’ingrandimento la costante ricerca di altri tasselli nuovi. Una scelta di apertura alla ricerca dinamico, che tiene da teoria da un lato per dare corpo alla pratica dall’altro. In effetti quel ‘a prestito’ è legittimato sul ribaltamento di ruoli Goliarda allieva di Maselli (maestro) sostenuti dalla critica negli anni: come si leggerà, un certo “prestito d’idee” sembra essere stato caratteristica anche della nostra.
Mentre scrivevo la tesi dottorale (lavoro che ha richiesto tutto il 2019) mi sono chiesta più volte come tenere unito il tutto-nuovo, un tutto stratificato sì, soprattutto basato su parametri diversi rispetto a ciò che conoscevo fino al 2016. Gli strumenti si erano moltiplicati tra le mie mani perché nutrivo fiducia nell’opportunità di dare loro risultati concreti. Allora andavo scrivendo lunghi elenchi di appunti, domande, dati; sceglievo con cura i percorsi; mi “sporc(av)o le mani” negli Archivi. Nel frattempo il mio database mentale cresceva: avevo bisogno di ricordare, archiviare, tirare linee oblique tra un punto e l’altro, per ritessere una trama. La fiducia si raddoppiava a ogni nuova scoperta, sovvertendo completamente ciò che quella che credevo un’amica, nel 2016, mi aveva chiesto – in un modo che, a ripensarlo, direi supponente –, ossia “se ci fosse ancora qualcosa da scoprire su Goliarda Sapienza”. Ne ero certa, anche se non avevo, in quel momento, le prove; sapevo che la costanza di un’attesa (vorace) mi avrebbe condotta all’obiettivo e sapevo che il dubbio è un balsamo. Soprattutto: avevo la sensazione che il mio pensiero stesse lentamente mutando: non si stavano solo aggiungendo nuovi documenti al mio bagaglio ma iniziava proprio a costruirsi, in me, un ‘nuovo sistema-Sapienza’, inderogabile, un sistema che riesce ad aggiungere e togliere ciò che gli serve, all’occorrenza, per sostenere una tesi; un sistema in cui confluiscono dettagli parlanti, a mio volere muti. In questo modo ho creato alcune fonti per un lavoro più ampio, quello di tesi appunto; come ho visto fare ad altri studiosi più esperti, senza aver avuto indicazione alcuna né aver inteso che un lavoro di questo genere richiedeva esperienza, ho prodotto in questi tre anni alcuni saggi che riguardano soprattutto le opere degli anni Ottanta di Sapienza, in particolare il primo romanzo sul carcere, cui ho dedicato un approfondimento dal titolo «fermare la fantasia». Leggere L’università di Rebibbia di Goliarda Sapienza attraverso lettere e documenti inediti (in «Diacritica», 2018, vol. 24). Ricostruendo – in parte – il contesto editoriale e di ricezione di Goliarda Sapienza a quel tempo, verifico come possano sorgere dubbi e domande circa la pubblicazione per Rizzoli di un romanzo “scomodo”, che tuttavia si proponeva di sostenere diversamente uno dei temi cari alla nuova ondata femminista del tempo, che infatti accolse favorevolmente il libro – mi riferisco soprattutto ai nomi di Armanda Guiducci, Anna Del Bo Boffino, Gabriella Parca, Adele Faccio, mai vagliati da chi si sia occupato di Goliarda Sapienza autrice fino al 2018.
Questa terza tappa delle “cose che ho imparato” vuole richiamare in campo la difficile (dis)integrazione di Goliarda Sapienza col movimento femminista italiano, sottolineando come la sua posizione radicale (anche da vera appartenente ai Radicali italiani) debba essere riletta con l’eccezione di alcuni soggetti: di certo una è Adele Cambria, amica di Sapienza e sua alleata a fasi che trovano una loro importanza dalla fine degli anni Settanta. È ciò che emerge nell’articolo Goliarda Sapienza atipica “giornalista militante” (in «Italianistica Debreceniensis», n. XXIV, 2018). Lì mi sono servita di articoli editi che Sapienza pubblicò su alcune riviste femministe probabilmente invitata da Cambria che, come sappiamo, collaborò negli stessi anni a «Noi Donne» e ad altri progetti (si veda questo saggio). Un terzo punto sarebbe, dunque, l’allontanamento da ogni definizione stretta, definendo provocatoriamente Sapienza “giornalista militante”. Come scrivevo il 30 agosto 2018 proprio su «Poetarum Silva» Goliarda Sapienza avrebbe rifiutato ciascuna di queste etichette, preferendo la via “dell’arte per l’arte” che la caratterizza – quasi sempre. Che fosse per questo distacco dalle femministe che si è dovuta inventare il personaggio di Modesta de L’arte della gioia, un alter ego di carta con cui non sentirsi in competizione − suo malgrado − nella vita? Forse è stato per cercare una “sorellanza” diversa, in amicizie non sfidanti (ad esempio negli allievi del Centro Sperimentale) che tentò altre vie di “gioia”. Un punto fondamentale questo, di costruzione di rapporti solidi e di accettazione dell’altra.
Mi viene da dire che l’affermazione «le donne sono il mio pianeta e la mia ricerca, il mio unico “partito”» che Goliarda Sapienza scrive (lo scrive, sì?) in una lettera databile probabilmente al 1979, mette nella condizione di provare vicinanza di intenzioni nel fare comune delle donne, costruendo alleanze cosa − purtroppo − non diffusa a tutti i livelli, in tutte le classi sociali e a tutte le età tra donne diverse. Sono ancora troppe − e per me sperimentate − distanze di consorteria, anche tra femministe che si dicono tali. Una terza lezione − bis − è allora quella di confidare nell’altra come Goliarda Sapienza insegna, sia essa un’amica, una madre, una compagna, e imparare la reale importanza del condividere e del dare disarmando ogni forma di mancanza di rispetto, invidia e gelosia, che appartiene soltanto alla demolizione di quella “sorellanza” di cui sopra.
Sono numerose le studiose nel mondo che stanno scavando in lungo e in largo l’opera, e Silvia Tripodi dell’Università di Catania sta dedicando la sua tesi dottorale al riordino delle carte d’Archivio (qui il progetto); si potrà perciò avanzare nella comprensione di quanto l’Archivio Sapienza-Pellegrino − così come gli archivi in genere − portino alla luce. D’altro canto è ancora in salita anche la rotta verso la scoperta del bagaglio culturale che Goliarda Sapienza possedeva come autrice la cui formazione − come conosciamo grazie all’erede Angelo Pellegrino − si era nutrita di classici. Già auspicato, in altri luoghi, una sottrazione a comparazioni infruttuose, che ancorano l’autrice più al critico che non all’autrice stessa e al lettore.
Quale ruolo può avere chi la studia, allora? E chi la legge? Sottrarre un po’ di sé, lasciare parlare i libri; padroneggiare i documenti, dare loro spazio. Anteporre l’artista – l’autore – al critico, come il lettore fa con l’opera. Scegliere, selezionare, maturare, con consapevolezza, che è fondamentale in questo mestiere; lasciarsi guidare da un’idea, scegliendo la via della lealtà e dell’onestà intellettuale, sempre. Questo significa non solo citare chi ci ha preceduti ma anche dare credito a chi ha avuto importanza in un primo lavoro di collaborazione ed elaborazione, sapendo bene che il frutto dei risultati sino a qui raggiunti, per me, si lega a un viaggio individuale in cui − forse proprio come Sapienza fece − ho proseguito questa strada da sola. Darsi valore, fuori da ogni egocentrismo, è un gesto che lei avrebbe con tutta probabilità apprezzato.
La sua intelligenza è la lezione più viva che continua a guidare questo percorso; una donna, lei, in cui non riconosco nulla di me né della me ‘cercatrice’; per questa ragione, nella distanza, senza coinvolgimento, mi avvicina. Oppure sì, qualcosa è passato, nel tempo, in me: quello sfrontato coraggio di essere come si è senza cedere a un destino.

© Alessandra Trevisan

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Segnalo che domani, martedì 5 maggio alle 15.00, sul canale Instagram del Centro di Ricerca “Lo Stilo di Fileta”, sarà in onda la Conferenza Minima Italica Philologica, organizzata da Antonello Fabio Caterino (Università del Molise), con partecipanti Gennaro Tallini, Visnja Bandalo, lo stesso Antonello Caterino e me. Parlerò di: Appunti sull’indagine filologica dell’opera di Goliarda Sapienza: con due versioni di un testo teatrale a confronto.
Qui il pdf del programma: Minima_italica_philologica_critical_and
Il canale Instagram: https://www.instagram.com/lostilodifileta/

4 risposte a “Due o tre cose che ho imparato facendo ricerca su Goliarda Sapienza”

  1. “cercare di dare ‘nuove verità’ al racconto su questa autrice è diventato necessario per nutrire il senso stesso del fare ricerca”.
    Ritengo che la frase estratta abbia valore incalcolabile. E’ un “manifesto”.
    Ciao.

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  2. Resoconto e programma allo stesso tempo, affronta aspetti metodologici e individua procedure, in forma di esempi concreti in termini di azione: “sottrarre un po’ di sé, scegliere, selezionare, maturare, lasciarsi guidare, citare chi ci ha preceduti, ma anche dare credito a chi ha avuto importanza in un primo lavoro di collaborazione”. Grazie.

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