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Giovanna Amato, Viviana del lago. Intervista di Anna Maria Curci

Giovanna Amato, Viviana del lago, Robin 2019, euro 12, copertina di Giulia Amato

Un allievo all’Accademia di Belle Arti, una pittrice ignorata dalla critica, l’idea di scrivere una tesi monografica su di lei. È questo a legare come una detonazione Alessandro e Viviana: la donna si dimostra entusiasta e disponibile, e ignorando i borbottii perplessi del suo relatore Alessandro decide allora di trasferirsi sulla sponda del lago dove Viviana vive con sua sorella Chiara e la nipote Sofia per seguire da vicino il suo lavoro. Ma Viviana sembra di colpo non avere idea di cosa quel ragazzo, ormai senza una casa, con pochi soldi e soprattutto con una tesi a metà, voglia da lei: donna acuta e problematica, buffa diva mancata, si affanna a respingere come invadenti le stesse attenzioni che fino a poco prima la deliziavano. Questo l’avvio di Viviana del lago, un libro che ho deciso di scrivere con una leggerezza che non sempre mi appartiene una primavera di sette, forse otto anni fa, e che mettesse in scena tutti gli ingredienti di una tragedia senza mai sfiorare quel genere ma rimanendo nella tenerezza di una commedia a tratti buffa. Capita che sguardi di attenzione e premura siano in grado di leggere, rilanciare in campo la pallina e regalare conversazioni come questa che segue. (Giovanna Amato)

 

AMC: Ho scritto che Viviana del lago è un romanzo sulla dedizione. La passione devota che sceglie di scavalcare con delicate alzate di spalle o con decise falcate non solo le comuni nozioni di utilità e opportunità, ma perfino, talvolta, il principio di realtà ha qui, mi pare, un intero repertorio dedicatole nella cornice di un romanzo. Narrare la passione devota: è stato questo il nucleo dal quale è partito l’impulso creativo per Viviana del lago?

GA: Adoro la tua lettura, che riporta alla “cerca” tanto vicina al gironzolìo del mio libro attorno all’epica arturiana. Eppure non è così che avevo pensato il nucleo caldo del libro. Volevo parlare di qualcosa di tossico e, molto banalmente, di patologico: cosa accade se un ragazzo sereno, pieno di ottime intenzioni, un ragazzotto tutto casa e cataloghi d’arte, resta invischiato in una vicenda che all’inizio sembra stramba vanità ed è invece narcisismo patologico certificato? Alessandro, giovane studente di storia dell’arte, incontra Viviana, creatura geniale, dedita alla pittura, alla collezione di ananas e alla sparizione sistematica. Siamo oltre, anche se lo comprendiamo, quella certa idea piziale del gesto artistico; siamo a tratti al massacro legalizzato. Eppure, Alessandro riesce sempre a uscirne in piedi: perché? L’equilibrio che volevo cercare di raccontare era questo: posto che dalle figure narcisistiche è opportuno l’allontanamento, come può una persona che deve limitarsi a studiare le sue opere entrare in quell’orbita senza precipitare? E quando si parla di opere, è davvero un “limitarsi”? O non sono forse ancora più intense la vicinanza, la pressione? Qualcuno, dopo aver letto il libro, mi disse che Alessandro era un inetto. Io credo sia un eroe.

AMC: L’ambientazione in un paesaggio lacustre porta con sé una forte valenza simbolica, che, tuttavia, può essere interpretata in modi diversi, se non addirittura antitetici. Il lago come luogo di grazia e riparo, oppure come incanto fatale? Nel convivere, in diversa misura, di questi poli opposti nel duplice accostarsi – di chi scrive e di chi legge – al lago, hai potuto registrare il prevalere di una valenza sull’altra man mano che ne andavi componendo la trama?

GA: Il lago è assolutamente fatale. Se nell’economia della Vivien arturiana l’identità della pozza non è così importante, qui è meglio specificare fino in fondo. La nemesi di Viviana per esempio, la dolce Amata Pesari, vive su un noiosetto lago glaciale, ma lei no, lei non si fa mancare niente. Quello di Viviana è un lago vulcanico, di cui ho anche chiara geograficamente l’ubicazione, e la tengo segreta. Quando Alessandro è lì, e passeggia, sembra che il lago sia fatto per affogare. Quando è lontano, lo immagina fumante. Immagina Viviana e lo sfondo di un lago che ribolle. Tanto più che Alessandro, all’inizio del libro, abita a Napoli, ed è guardando il Vesuvio che sente la massima vicinanza con la Dama del Lago. È un lago fatto per soffocare e per avvelenare, senza l’ironia della sua padrona. È forse il carnefice indiscusso, anche se non mieterà vittime e non farà coups de théâtre davanti alle spaghettate. Ma anche con  lui Alessandro è gentile.

AMC: Non ho fatto mistero di quale sia il mio personaggio preferito tra quelli che popolano il tuo romanzo. Corrado D’Amedeo. La cura e la pacatezza del professore, la ‘asphaleia’, la sua solidità unita alla totale mancanza di vanità e di retorica esercitano un fascino durevole ai miei occhi. Come autrice, hai un debole per uno dei personaggi da te creati?

GA: Ho l’impressione di aver costruito degli schieramenti, delle scacchiere. La stravaganza di Viviana e quella di Rodan contro la pacatezza di Chiara e di Dona, con Alessandro in mezzo a cercare di portare avanti il suo sentiero come una biglia di ferro in mezzo a campi magnetici. La saggia lungimiranza di Corrado è quasi ultraterrena, fa da contrappeso quasi alla vicenda tutta più che a un personaggio in particolare. Perché per definirlo ho usato la pasta di un robusto scetticismo ma anche della capacità di provare un reale affetto di mentore, che Alessandro può liberamente percepire tra le crespe di un linguaggio molto sorvegliato. Credo di aver sviluppato una cotta per lui, come per i motivi opposti (la totale dismisura, la fragilità violenta) l’ho sviluppata per Viviana. Credo di aver sviluppato una cotta per i due poli del mio libro.

AMC: Immagina che il tuo romanzo sia scelto per la trasposizione sullo schermo. Quale colonna sonora suggeriresti? E, se dovessi comporla tu stessa, da quale repertorio attingeresti: classica (quale periodo?), elettronica, progressive, pop?

GA: Per una volta nei nove libri che ho scritto non risponderò “Philip Glass”. Viviana, che detta legge ovunque anche in materia di eventuale cessione di diritti, preferisce la musica romantica, a patto che sia rigorosa e strutturata. Nessun Debussy, per capirci. Preferisce Schumann, Schubert. Di preciso, ad esempio, verso la fine del libro accoglie Alessandro in casa ascoltando la Sonata in Fa Diesis Minore di Schubert. Dice questo: «Sembra un’allucinazione, vero?, la parte centrale. Vorrei essere così violenta anch’io nel quadro, e assieme vorrei che si sentisse la barcarola. Rendo l’idea? Vorrei essere desolata. Fare qualcosa di desolato come un animale che è rimasto incastrato in una tagliola e si lamenta e poi diventa furibondo e poi torna tanto triste, tanto triste, rendo l’idea, Alessandro?»


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