Per il suo Prima persona, Richard Flanagan ha usato un episodio realmente accaduto nella sua vita: il suo esordio in narrativa con una biografia scritta in tre settimane di un individuo estremamente reticente a parlare di sé. A Richard Flanagan piace raccontare episodi della propria vita. Se vi capiterà di ascoltarlo, potrebbe raccontarvi questo:
“Una volta avevo un’intervista. Io parlavo, parlavo, ma l’uomo non mi guardava. Dopo un po’ vedo un tizio in fondo che fa: cinque… quattro… tre… e ho capito che non avevamo ancora incominciato. L’intervista è stata così: le domande in italiano, le risposte in inglese. Abbiamo parlato, parlato, non ci siamo mai guardati e non ci siamo mai capiti. Alla fine l’intervistatore mi ha abbracciato e ha detto: è stata l’intervista più bella della mia vita. Ho capito che a volte l’importante è saper tenere bene il palco.”
Anche quest’anno, Mantova ha tenuto il palco da leone. Nel momento in cui scrivo, è quasi impossibile per la mia bici Ariadne districarsi in una folla mai chiassosa. Il grande tendone della libreria è stipato, ci sono più persone che libri, il che dovrebbe essere il sogno di ogni libreria ben fornita, e questa lo è. I volontari fanno capannello a piazza Leon Battista Alberti, qualche curioso chiede ai volontari agli ingressi degli eventi se c’è ancora un biglietto per entrare. Mantova ha tenuto il palco da leone, e così il Festlet.
Ma a differenza di Flanagan e del suo intervistatore, noi e il Festlet ci siamo capiti.
Negli eventi di cui vi ho parlato, goccia nel mare dei duecentoquattro a disposizione, vi ho accennato a risate, stupore, soddisfazione, perfino lacrime. Il Festlet anche quest’anno è stato come quegli insegnanti che non ti danno troppa confidenza e non ti fanno paternali; ti scombussolano e ti migliorano, non per questo sono tenuti a sapere come ti chiami, ma hanno cura di te.
È stata un’edizione particolare, per me, questa che si chiude quasi nell’attimo esatto in cui leggete. Dalle piccole cose, come l’inutilità del giacchetta che avevo messo in borsone, alle grandi conquiste di audacia: le mani strette a chi volevo stringerle da anni, la pacifica convivenza con un grosso ragno sulla scarpa per tutto il tempo di una sigaretta su un gradino. Cinque anni di Festlet ed entusiasmo intatto, l’avrete notato voi come l’ha notato chi si è trovato sul proprio whatsapp una specie di diretta twitter dei miei spostamenti (colgo l’occasione per fare ammenda qui). E se dico tutto questo non è per finire in retorica la cronaca di un’esperienza culturale, ma perché vorrei riuscire a trasmettervi una percezione che qui è sentire comune: la riuscita di Festlet è sì nei suoi eventi e nella sua organizzazione, ma soprattutto nella capacità di imprimere nella memoria le sue finezze. La bellezza è sempre nel dettaglio.
Insomma, quando è scattata la sera del sabato ho deciso che dovevo viaggiare leggera (a differenza del mio borsone, che ormai ha più libri che vestiti). Ho prenotato un biglietto per “Voci del Novecento”, a cura di Antonio Prete e Elia Malagò, dove molti ospiti (Davide Longo, Vanna Mignoli, Bianca Pitzorno, Elvira Seminara ed Enrico Testa) hanno portato le loro letture di autori di poesia del Novecento. Da Calogero a Guidacci, da Scotellaro a Pozzi, gli ospiti hanno letto poesie scelte per un magnifico reading sotto le luci del conservatorio Campiani. Il dettaglio è stato le prime variazioni della Sonata in La maggiore di Mozart, suonata come entrée.
E poi la povera Ariadne è stata messa a dura prova sui sampietrini per una gara di velocità con se stessa che la portasse a piazza Castello da Lella Costa – il dettaglio, come ogni anno, è stato trovare libero il lastrone di pietra che fa da panchina laterale, comodo per acustica e visuale. Ma davvero è stata questione di secondi, per questo sabato gremito di Festlet. Quando l’applauso l’ha accolta, Lella Costa, con quella voce che chissà in che modo ognuno di noi ha conosciuto e ora conosce a memoria, ha esplorato le lettere che negli anni hanno fatto da linfa e sistema alla rubrica Questioni di cuore di Natalia Aspesi. Penso con imbarazzo che ricordo ancora la mia. Devo averla conservata per la bellezza della risposta, insolitamente materna per la penna affilata della sua autrice. O forse era solo accomodante, perché io ero piccina.
Avrei voluto fare una fotografia, per postarla qui (di Lella Costa, non della mia lettera); ma quando mi sono avvicinata sotto il palco lei ha detto: «non fate foto per favore, che poi io da qui vedo le lucine, poi sento le voci e mi viene da liberare Orléans, se volete fatemene una sola adesso, tanto sono così tutta la sera, non cambio, non mi evolvo come i Pokémon». Capirete che ero troppo impegnata a sperticarmi per cogliere l’attimo.
Scopro che anche Aldo Busi ha scritto alla Aspesi. Le ha posto la domanda che avrei voluto farle sempre io: rimaneggia le lettere, o davvero la situazione è così confortante, riguardo alla bellezza di scrittura di tutte le lettere che le arrivano in redazione? Aspesi, scopro dalla sua risposta, ha un unico criterio di esclusione: le lettere perverse, le lettere di insulti, le lettere che potrebbero mettere in imbarazzo chi le scrive davanti ai lettori.
Mi fermo un attimo, mentre ascolto, e guardo piazza Castello. Un altro dettaglio è che qui, dietro di me, dietro questa panca, dietro il muro perimetrale del museo con cui il cortile confina, riposano “gli amanti”, i due scheletri trovati abbracciati insieme. Un’amica me li aveva fatti scoprire nel duemilasette, quando furono ritrovati, da un ritaglio di giornale. Avevo pensato: chissà se mi capiterà mai di vederli. Chissà se metterò mai piede a Mantova. Ci avrei messo piede sette anni dopo, ma sono riuscita a vederli solo l’anno scorso. Erano commoventi, straordinariamente piccoli.
Guardo la folla di piazza Castello e cerco di capire cosa sia dettaglio solo per me, in questo mio ricordo forse troppo personale, e con che dettaglio facciano bagaglio tutti loro che guardo, con la testa protesa verso il palco a battere le mani.
Un dettaglio di tutti è il blu-Festlet, sulla cui scelta mi viene improvvisa voglia di informarmi. Un dettaglio di tutti sono le sdraio a piazza Alberti, a disposizione di chi è stanco. Un dettaglio che voglio sia mio, per il suo essere arrivato preciso come una bandiera, è la poesia di Bartolo Cattafi che all’improvviso un volontario mi ha messo tra le mani:
Tu che scorri accanto
come un’acqua fedele nel cammino
di volta in volta raddrizzi paesaggi
storte visioni
alle cose imponi
una dolce chiarezza
e l’enigma è sciolto
tutto in un filo
il cammino allungato.
© Giovanna Amato