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Paolo Steffan, Zona Rossa (parte terza)

Prosegue la narrazione ZONA ROSSA. Piccolo racconto del coronavirus di Paolo Steffan che, in questi giorni, presentiamo sul nostro blog il venerdì e sabato pomeriggio. La prima parte qui e la seconda qui.

particolare d La nave dei folli di H. Bosch (1494)

Un governatore

…..Ore 9 – Questa epidemia è sicuramente un problema, ma siamo un popolo grande, che non ha mai preso paura davanti a un microbo. Per questo ritengo che non ci sia da diffondere il panico; la nostra regione non ha bisogno di chiudere, basta stare attenti e, con la superiorità morale del nostro popolo, saremo più efficienti del resto d’Italia nel contenere il virus, senza bisogno di frenare la nostra economia! Quindi, invito il Presidente a rivedere le misure restrittive che ci ha imposto senza neppure consultarci: il nostro popolo sa il fatto suo ed è giusto che abbia la propria autonomia decisionale. Siamo una regione trainante per l’economia di tutto il paese, per cui non possiamo permetterci frenate brusche: le nostre aziende devono poter lavorare a pieno regime. Il comitato scientifico regionale è del nostro stesso avviso.

…..Ore 13 – Il bollettino aggiornato mostra un incremento preoccupante del contagio. Peggio che in Cina. Stiamo riunendoci d’urgenza con gli esperti per capire la situazione dei nostri ospedali. Non c’è da allarmarsi. Sarete aggiornati quanto prima. Forza popolo, forza lavoratori! Siamo più forti del virus.

…..Ore 18 – Il governo centrale è in ritardo nell’introdurre misure più forti. Noi abbiamo sempre detto, fin dall’inizio di questa crisi epidemica, che le restrizioni imposte fino ad ora sono troppo blande e lo ribadiamo con forza. Il nostro popolo è forte, ma noi dobbiamo tutelarne la sicurezza. L’economia va in secondo piano quando la salute è a rischio. Siamo soggiogati da un virus che viene da gente sporca, che mangia scarafaggi e lucertole vivi! Avevamo detto fin da subito di chiudere le frontiere e isolare tutti quelli con gli occhi a mandorla, ma il governo centrale non ci ha ascoltato. Chiediamo con decisione che, non solo tutta la nostra regione, ma l’intera Italia divenga zona rossa.

…..Ore 22 – Il Presidente finalmente si è pronunciato e ha dato seguito a buona parte delle nostre scelte, che erano le più caldeggiate anche dal nostro comitato scientifico: all’unisono chiedevamo fin dall’inizio che le misure fossero draconiane. Popolo, so che vi si sta imponendo un sacrificio, ma noi siamo i migliori, e anche in questa situazione sapremo essere l’eccellenza in questa Italia zona rossa. Il vostro Governatore è con voi acca-ventiquattro, per la difesa della sicurezza. Faremo ulteriori pressioni su Roma, con la chiarezza di posizione che da sempre contraddistingue la nostra identità!

Un prete

…..Com’è vuota, quest’aula, Signore. Non è una basilica, una cattedrale o un duomo, che mi hai dato da gestire: ha una sola navata, questa chiesetta dedicata a san Rocco. Fu costruita nel Seicento, come voto dopo la fine di una pestilenza. Quante anime nei secoli si sono raccolte nella sua accoglienza, fatta di un soffitto a capriate del legno dei nostri boschi ora scomparsi; di un presbiterio disadorno, ma abbellito da Te, che pendi da una croce attribuita al Brustolon o a un suo seguace. Oggi, come da molti giorni, sono solo a contemplarti.

…..È così piccola e ora così solitaria, quest’aula. C’è un’eco che mi fa quasi paura, quando ti scandisco le mie preghiere. Eppure so che sei qui, in mezzo a noi anche ora, soprattutto ora che ci troviamo nel deserto. La tentazione di uscire, di fare la vita di sempre è grande. E anche chi vi resiste è perché gli viene garantito che tornerà a quella vita: ma davvero, Signore, si può pensare questo? Se i flagelli che affliggono i popoli possono avere un senso, è proprio per dire che qualcosa andava cambiato, prima che intervenisse un fattore esterno. “Giustizia mosse il mio alto fattore”, sta scritto sulla porta dell’Inferno. Davvero ne ce ne accorgevamo? Davvero quei versi di Dante li abbiamo letti tante volte invano? Davvero invano li facciamo studiare nelle scuole?

…..Ti prego, Signore – da quest’aula che ha perso ogni suo valore, se rimane così, sprangata, chiusa all’incontro – ti prego di aiutare quest’uomo smarrito a ritrovare il sentiero, a capire che ha sbagliato tutto. Sì, una colpa grande ce l’abbiamo noi, noi che abbiamo inculcato per secoli regole fredde a generazioni che le hanno replicate senza sentimento oppure avversate per spirito di contrarietà. Noi che, per contro, nell’intento di rimediare a questo irrigidimento, nel secolo scorso abbiamo ceduto alle lusinghe di un progresso diabolico: “Via l’aspersorio / prete, e il tuo metro!”

…..E siamo corsi incontro a un abbraccio malefico, quando Satana ci ha aperto le sue braccia benevolo. Con lui siamo saliti su un treno che ci ha portati giù giù a capofitto con velocità esaltante: “Un bello e orribile / mostro si sferra, / corre gli oceani, / corre la terra” e giù giù: “Come un turbine / l’alito spande: / ei passa, o popoli, / Satana il grande. // Passa benefico / di loco in loco / su l’infrenabile / carro del foco”. Il fuoco illumina, se è santo. Ma brucia, quando è satanico.

…..Signore, dammi la grazia di rivedere gremita questa tua chiesa e che l’assemblea che la popola non sia passata distrattamente, impunemente, per questo flagello. Che non sia quel fuoco cantato dal Carducci quello che torna alla nostra guida, ma una luce vera, innamorata, “luce intellettual, piena d’amore”.

…..In Nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

…..Mi accingo anche oggi, o Signore, a celebrare questa Santa Messa senza un’assemblea che risponda. Davvero, è il più intimo dialogo che con te abbia avuto, quello di questi giorni di isolamento. Mi ricorda il tempo dell’ardente vocazione, quando sì stavo ore a parlarti in lunghe notti di raccoglimento. In tempi di entusiasmo vivo e in tempi di rinuncia alle cose mondane si palesa l’esigenza vera di averti accanto, e dentro, Signore, come questo pulsare del cuore in petto che mi sembra di sentire riverberato dalle pareti di questa navata.

…..Credo in unum Deum, Patrem omnipotentem, factorem cæli et terræ, visibilium omnium et invisibilium. Et in unum Dominum Iesum Christum…

Un poeta

…..Tutti consigliano, in tempo di pandemia, la lettura di libri di qualità che illuminino sul tema: La peste di Camus, Cecità di Saramago, giù fino ai classici: le pagine più appestate de I promessi sposi di Manzoni o del Decameron boccacciano; o ancora, a ritroso: La guerra del Peloponneso del greco Tucidide, che ho odiato e amato in prima liceo.

…..Ma come la peste, anche in tempo di coronavirus, è tenuta distante la poesia, che non è merce, ma materia rara per degustatori, tenuta a stagionare nelle camerette dei più raffinati fruitori. A questa attingo, ora che anch’io mi trovo nel forzato raccoglimento in cui siamo. Nella mia cameretta, ho scelto i sonetti romaneschi di Giuseppe Gioachino Belli. Ci si può trovare un esilarante botta e risposta tra gli avventori di un’osteria di Trastevere ai tempi dell’epidemia di colera, la “porcaccia infamaccia ammalatia” a cui tenta di sfuggire anche Giacomo Leopardi a Napoli, nel 1836, rifugiandosi con l’amico Ranieri fuori città, nella villa di Torre del Greco, dove morrà. I testi in questione sono i trentaquattro sonetti intitolati Er còllera mòribbus, che Belli scrisse tra 1835 e 1836.

…..Nei loro versi, si vedono serpeggiare fole e pregiudizi circa il contagio, in una gara a chi la spara più grossa. I preti si salveranno perché hanno amicizie in alto, anzi, le donne si salveranno perché “sò amiche de San Rocco guasi tutte”. No, si salverà Roma tutta, perché è sotto la protezione del Papa: ma non tutti son d’accordo, “che mmòribbus siggnifica se more” e via con le false etimologie, come con le fake news: per sentito dire, si viene a sapere da qualche fantomatico dottore “ch’er rimedio è lo stà de bbon umore”, ed ecco che il verdetto è dettato: “maggno, ingrufo, spasseggio e mm’imbriaco”. Fuori è tutto fermo: “questo è er primo Natale che ss’è vvisto / senza manco un boccon de piferari”. Come la Quaresima in zona rossa, intorno a noi, la prima senza messe, o perlomeno con messe a porte chiuse. E il Papa? Non si affaccia più sulla piazza di San Pietro, che ora è sprangata, come la basilica stessa. Molti uomini potenti si sentono esposti, quelli anziani sanno che il virus può essergli letale.

…..Come oggi e sempre, anche allora vi erano speculatori, che “hanno vennuto pe ttre vvorte er costo / li ppiú rrancidi fonni de bbottega”; di questi tempi lo fanno con disinfettanti e mascherine. Ma davvero l’Ottocento ci è così distante? Può un eccesso di tecnologia avere davvero cambiato la nostra sostanza?

…..C’erano alcuni uomini ricchi e potenti che si prendevano l’onere decisionale, ma molti altri che si limitavano a rabbonire la gente, minimizzando e dandosi alle gozzoviglie. Che, poi, questi ultimi, si dice in un sonetto, non sono neppure destinati al contagio: chi parla dice rassegnato che il colera è solo per i poveri: “E li ricchi staranno in ne l’interno / de casa lòro, curati e assistiti / da un medico e un piantone der governo”. Non è scientifica come legge, ma forse non ha torto. Si sono difatti anche oggi diffuse notizie e foto di un certo ottuagenario magnate che, preso il suo elicottero e la sua nuova fiamma di trent’anni, se n’è andato a rifugiarsi al sicuro a Nizza, in una gigantesca villa sul mare di proprietà della figlia…

…..Attenzione, caro magnate, che qualcuno all’osteria trasteverina diceva che il morbo “a Nninza fa ppiazza pulita”!

…..“A bbon intennitor poche parole”!

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© Paolo Steffan


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