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“Pasque: sigillo di un engagement”. Su Andrea Zanzotto (di Renzo Favaron)

Serpente
Disegno di Renzo Favaron

“Pasque: sigillo di un engagement”

di Renzo Favaron

Come ha ben evidenziato Stefano Agosti, Pasque (Milano, Mondadori, 1973) non introduce un tema nuovo nella già cospicua varietà di motivi presenti in tutta l’opera precedente di Zanzotto. Tuttavia, al di là di un richiamo che affonda le sue radici in Dietro il paesaggio, dove sono introdotti alcuni nuclei paradigmatici (la ripresa su uno sfondo sacramentale già istituito della passione di Cristo e i riti della germinazione e della veglia) che riaffioreranno più tardi in immagini più martoriate e sempre più espressione di un universo ctonio, Pasque si configura in termini innovativi soprattutto sotto il profilo della deflagrazione grammaticale, già inaugurato con la Beltà, segnando, a sua volta, una svolta più decisiva nel consolidare un sistema di composizione che non appare più soltanto percussivo, ma anche diffusivo, e che dimostra addirittura una certa affinità con il discorso musicale più prossimo alla dodecafonia. In effetti, gli elementi che compongono la pagina scritta non si congiungono in serie armoniche proporzionate e convenientemente intervallate, ma sono organizzati in una sequenza intermittente di scatti fonico-ritmici che trasbordano dai modi usuali di segnare e combinare accordi e nessi tonali, per dare vita a una partitura che si costituisce in un rapporto con la realtà capace di accogliere tutte le modulazioni e qualità sonore in esso presenti; non solo, come è stato più volte sottolineato, ha luogo in Pasque il passaggio tecnico dal monologo alla polifonia (per altro già nelle IX Ecloghe alla voce monologante si alternava il dialogo), ma si assiste altresì a un’ulteriore variazione nella tessitura dell’ordito poetico, dal momento che la dislocazione dei versi procede sulla scorta di un continuo sbocciare e scoppiare, per quanto sia altrettanto evidente l’operare di una forza che esercita un ferreo controllo nell’ordinare il magma composito scaturito dalle ripetute deflagrazioni verbali. Lo stesso Zanzotto asserisce che lo spessore polifonico e polidisfonico della poesia si riversa nella messa in scena del luogo-lingua e, contemporaneamente, nel suo essere, in quanto testo, “potenziale sovrapposizione di tutto su tutto”; in questo senso la poesia di Pasque si snoda tralasciando qualsiasi forma sequenziale, costituendosi anzi come contrappunto di voci che esprimono ciascuna una speciale melodia, dove appunto i molteplici elementi trasposti sul testo si dispongono seguendo una “mobilità pendolare” che gravita nell’ambito di “un punto onnivoro”, ossia esigendo un riscontro sincronico sul piano sia spaziale che temporale. L’esempio di Pasque a Pieve di Soligo è forse quello più significativo nel rendere conto di una simile operazione poetica: nella poesia in questione l’autore recupera infatti una forma di componimento in cui le iniziali dei periodi di versi si succedono in modo da formare dei nomi, ciascuno dei quali designa l’avvio di un’azione che in sincronia si giustappone alle altre senza trapasso, come se si trattasse di un frammento che va a comporre un eterogeneo collage. Lungi dal prendere le forme di un discorso dialetticamente risolto, il lavoro di Zanzotto risulta strutturato da mille pointillés, o incrinature entro cui si apre il discorso delle letture, degli avvicinamenti, i quali, a ben guardare, una volta avviati sulla strada di un possibile incontro, di un sospirato imbattersi tra loro, assumono all’improvviso direzioni opposte, divaricanti, come di punti di fuga.
…..Del resto, se in Pasque è evidente la polarizzazione massiva di ogni traccia trascritta sul testo, altrettanto evidente appare il vicendevole intersecarsi di termini e temi storicamente e culturalmente lontanissimi. E unitamente a ciò, l’autore se da un lato si distacca da ogni modello fondato su ritmi e metri inscrivibili in istituti culturalmente acquisiti, o comunque subordinati a una norma codificante, dall’altro sembra impegnato a organizzare i materiali dei testi in una “forma carica di molteplici sensi linguistici e stilistici rivolti all’unificazione”.¹ L’unione delle parti, peraltro, è il risultato di un arbitrario esercitarsi dei singoli elementi esibiti, esempi di una partitura tonale costituita massicciamente da un’esibizione di potenti a solo; la fusione, in questa luce, assume allora una fisionomia difforme e poliforme, entro la quale confluiscono i tratti fonici di voci, così spesso sfocianti in xenoglassie, che intorno ad alcuni nuclei tematici invarianti si cimentano mediante modi alquanto variabili e dissonanti.
In Pasque agiscono sia forze esercitate nel senso di sperimentare le vaste possibilità dell’universo semantico (e frequenti sono i casi in cui si riscontrano esempi riconducibili al repertorio letterario tradizionale intervallati a tecnicismi della vita moderna), sia forze concentrate invece intorno a un oggetto circoscritto e limitato, che può risultare altresì periferico e marginale rispetto alla realtà maggiore, e che nonostante ciò viene eletto a entità culturalmente significativa, assurgendo cioè a uno statuto di maiuscola grandezza a partire da un fondo privato contrapposto alla degradazione della storia (si veda a questo proposito la poesia Biglia).
…..Nel dispiegare il complesso sistema di voci della sua poesia inventariale, Zanzotto opera sulla scorta di un procedimento fondato su uno statuto di indistinguibilità e convertibilità; facendo comunque attenzione a non riprodurre una poesia ispirata a una ormai improponibile comunione panica, l’autore asseconda un processo dove le molteplici figure e immagini legate all’io e al passaggio s’agglutinano a vicenda, e nello stesso tempo scaturiscono l’una nell’altra. L’unione di natura e individuo è insieme onnipresente e ricusata; a testimoniarlo è la virulenta polarizzazione degli strati linguistici, tra i quali non avviene mai una “chimica” fusione e miscela. Fatta oggetto di un’analisi spietata, la Pasqua di Zanzotto è pervasa da antinomie insanabili: svilita e reificata da un’industria del consumo che tutto travolge e riduce a merce, spolpata della sua essenza religiosa e cristiana (direi svalutata a semplice richiamo che si esaurisce nella scrittura evangelica), essa diventa il luogo di un conflitto aperto, e comunque mai risolto in una sintesi superiore in cui sia ricucito il dissidio di una Pasqua oltraggiata, spesso rimossa nella sua originaria realtà di travaglio e liberazione, infine abbassata a evento impossibile («non sarai da queste parti/, né di là sei solo nel sacco del tuo non sarai»), con l’annuale suo essere oggetto di cerimonie e consolidate usanze (compresa quella di trascorrere il weekend pasquale in “orribili neocase”).
…..Dibattuto tra “un’Arcadia eroica” e una non meno sentita inclinazione a misurarsi con le sollecitazioni provenienti dall’universo metropolitano, Zanzotto, forse, proprio perché non ne ha alcuna intenzione, dà corpo con Pasque a una poesia d’insospettato valore civile; dosando i toni di un’urticante ironia con quelli di una lucida e disperata protesta, l’autore sembra recuperare le istanze di un rapporto storico e culturale con la realtà, pur restando all’interno di un discorso che assume la poesia come “unica storiografia reale”, dalla quale traspare il riverbero di una coscienza etica acquisita contro la propria indole.

¹ M. Forti, Le proposte della poesia e nuove proposte, Milano, Mursia, 1972.

© Renzo Favaron

Alcuni versi da Pasqua di maggio, contenuta nella raccolta Pasque

da Pasqua di maggio


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