LA CITTÀ MI UCCIDE
I
Datemi pure da mangiare il pane della questua
nero indurito, ho tanta voglia di lavorare.
Si sono mangiati i miei calcagni
queste strade d’asfalto dure a pestare.
Era nel vento una pioggia di piccoli prezzi
sulle immobili merci delle vetrine.
Sfolgorava sui cartelloni gente
che usciva quella volta dall’incognito
e io che minuzzavo alacremente
la cronaca viola dei miei passi perduti.
Oh stanco appendermi lo sguardo
alle luci al neon infinite,
donare il mio corpo a chi lo vuole
può mettersi a stare manichino.
Sentite furie: alberghi e panifici
e padroni che muovete questa ruota
orrenda che ci stride sulle carni,
ditte, navigatori, capitani sentite:
eccovela la testa del mercenario
accalappiata nel vostro frustone,
desidero anch’io il mio posto in città,
lì dove i giornali declamano
le guerriglie della civiltà.
Mi avete inutile respinto
ad alloggiare nelle ville
accanto agl’immondi vespasiani
e la notte mi bastonano i ladri
le prostitute mi sputano addosso.
Gerusalemme, Gerusalemme.
I porci hanno invaso gli ulivi
sotto la luna lontana
la moda ha trovato il suo posto
nei templi sontuosi.
Bari, Napoli, Roma, Milano
i fiori, gli uccelli, la donna
qui si comprano
e noi si cammina con la mano al cuore
perché a forza potrebbero rubarlo.
II
Tutte le ho girate queste vie
da lanzichenecco i posti di ristoro
e non ho visto un solo sorridere
degli uomini che camminano in fretta.
Non ho nemmeno raggiunta
la grazia dei poveri, astrusa.
E prendere la via del ritorno
non mi duole che per vergogna.
E quanto pesa questa sigaretta
a me viaggiatore delle nubi
or che invoco di rientrare in paese
di contrabbando, a luci spente.
(Bari 24-10-1947)
© Rocco Scotellaro, La città mi uccide in Franco Fortini, La poesia di Rocco Scotellaro, Roma-Matera, Basilicata editrice, 1974.
Una replica a “I poeti della domenica #58: Rocco Scotellaro, La città mi uccide”
L’ha ribloggato su sergiofalcone.
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