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“Muro di casse” di Vanni Santoni. Recensione

muro di casse

Considerare Muro di casse di Vanni Santoni soltanto un romanzo sarebbe riduttivo ma, di fatto, lo è: un romanzo contemporaneo, forte e potente come suggerisce il titolo, che assorbe e incorpora molti elementi, molte cose. Questo volume – che ha da poco inaugurato la nuova collana Solaris della casa editrice Laterza – è una testimonianza romanzata del mondo delle ‘feste’, una mappatura dei free party e della “cultura rave” degli ultimi venti, quasi trent’anni, messa a fuoco con lo strumento della letteratura che, come l’autore stesso annuncia nell’introduzione, può dirsi l’unica forma in grado di raccontare un tema come questo. L’invenzione dei personaggi e la narrazione sono funzionali a uno scopo e fanno da collante al racconto di alcuni fatti, tengono insieme documenti, articoli, ricordi, immagini e musica. Santoni tenta una formula propria, riunendo tutto ciò che ha a disposizione, interponendo le fonti, facendo spesso cortocircuitare i punti di vista (ad esempio nei dialoghi, molto efficaci) e i fatti, seguendo una sorta di flusso che poi è anche quello dello spostarsi dei protagonisti e dei personaggi, da una nazione all’altra, da una ‘festa’ a un’altra ‘festa’, senza soluzione di continuità. L’autore si arrischia nel racchiudere varie componenti in un solo libro, appunto, includendo anche la filosofia, l’etnomusicologia, la musicologia e certe riflessioni ‘politiche’, senza però calcare la mano sui generi, che non risultano quindi preponderanti ma fanno da contorno alla letteratura mettendosi a servizio di quella storia, di quelle storie che Iacopo, Cleo e Viridiana tracciano. Il risultato è convincente: i loro volti diventano dei punti di riferimento per conoscere le tribe, i luoghi di tutta Europa in cui la free tekno ha svolto un ruolo di aggregazione, unendo provenienze varie, facendole mischiare e impattare; ma il lettore si avvicina così anche alla cultura delle droghe, scoprendo la loro origine e la funzione che hanno avuto nei vari contesti “rave”, com’è mutata negli anni e perché. L’analisi critica di certi aspetti che hanno radicalmente cambiato il modo di vivere le ‘feste’ conduce chi legge al presente, al qui e ora, in cui Iacopo, Cleo e Viridiana ricordano, le sperimentazioni senza freni, un po’ incoscienti (letteralmente), ma dirette e vere. L’inversione di paradigma rispetto alle generazioni precedenti, quelle influenzate da On the road di Kerouac e da quell’“andare-senza-dove” divenuto un inno alla libertà del singolo che si fa poi plurima, nel romanzo di Santoni è definitiva. I motivi sono soprattutto storici e culturali, anche se qui si deve ricontestualizzarli di nuovo. Quando si parla di letteratura italiana si conviene sul fatto che “viaggio” e “movimento” sono diventati, negli anni Ottanta e Novanta, un vagare esperienziale con dei confini precisi, che limitano il valore dell’esperienza all’esperienza stessa; ripensando ad Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli (uscito nel 1980 per Feltrinelli) si trova la misura dell’individuale che non riesce a farsi collettivo, dove appunto quest’ultimo si è sfrangiato o infranto, dopo il ’77 e oltre. D’altronde, con quel filone siamo già a ridosso della caduta del Muro di Berlino così come accade nell’opera di Santoni (e si potrebbe dire che non è un caso la scelta del titolo, dunque); il romanzo guarda indietro, al 1989, e arriva all’oggi, fermandosi per un buon tratto tra gli anni Novanta e primi Duemila, dove il tentativo di rimettere al mondo un’”adesione a qualcosa”, facilmente, più che in passato, si è dissolto.
Può essere tuttavia utile ricordare che, nel 2005, Marco Mancassola pubblicava per Mondadori Last Love Parade – Storia della cultura dance, della musica elettronica e dei miei anni; se lo si (ri)legge parallelamente a Muro di casse si può notare come i due libri a tratti si completino, trovino punti di contatto, strade comuni, siano – insieme – dirompenti. Non si tratta soltanto di un fatto generazionale (Mancassola è nato nel 1973 e Santoni nel ’78): per scrivere questa storia “in comune” a ciascuno dei due scrittori è servito qualcosa di più, ossia l’importanza ancestrale della musica ma soprattutto del ritmo, componente imprescindibile di qualunque narrazione, letteraria o musicale, e di ogni “festa” che sia degna d’essere chiamata in questo modo. La sfida, vinta, è proprio questa: riuscire a portare agli occhi e all’orecchio del lettore la bellezza di un senso di appartenenza completo e totale, che risiede lì, dove tutto questo è accaduto, che continua nel ritmo di chi scrive, e arriva infine a chi legge perché è – soprattutto, e a chiudere il cerchio – di chi vive.

© Alessandra Trevisan

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