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‘La vocazione della balena’ di Claudio Pagelli. Recensione

www.mondadoristore

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Quando il mammifero è ciò che ti resta di me
A corpo libero, in tutto l’istinto che c’è.

Mammifero, Subsonica in Amorematico, 2002

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Non è un caso che Claudio Pagelli scelga un titolo nominale per la sua raccolta poetica La vocazione della balena (L’arcolaio, 2015. Collana La costruzione del verso diretta da Gianfranco Fabbri), utilizzando due sostantivi come ‘vocazione’ e ‘balena’. L’animale che Pagelli sceglie è un mammifero, come l’uomo. Non è un azzardo citare quindi un noto successo pop dei Subsonica, posto in testa a questa recensione; la balena potrebbe da subito apparire come l’altro-uomo che s’inoltra “a corpo libero” nelle peripezie della vita quotidiana e che tenta di viverle sino in fondo lanciando una sfida in versi allo scorrere dei giorni, competizione che poi potrebbe essere la sua ‘elezione’.
È lucido lo sguardo del poeta, ben evidenziato nella prefazione concisa di Guido Oldani, che esalta la qualità del ritmo, l’efficacia delle similitudini rovesciate, che lo annuncia come un autore con il piede nel terzo millennio. Di certo il bestiario di Pagelli – anche titolo di una sezione, Bestiario d’ufficio, ma il luogo di lavoro è più volte richiamato e traslato in tutto il volume − ci porta a rileggere il nostro presente, a considerarlo intriso di un senso di obliquità che appartiene a tutti, e da cui non possiamo sfuggire. È complice ogni immagine che ci invita non a interpretare ma a cogliere “oltre”. In questo la forza dei versi, irriverenti, contenuti dalla (e nella) forma. Si può citare, ad esempio, il doppio ritorno delle “meduse” (“le cuffie sono meduse leggere”, p. 16; “le soffici meduse dei pollini/ 
nuotano esatte la vasca d’aria/ 
all’ultimo piano dell’edificio –”, p. 26), qui zoologicamente intese ma che potrebbero anche essere trasfigurazione del mito e di un portato culturale quindi, in un senso contemporaneo. Il senso di precarietà – di cui fin troppo si abusa oggi – è sotteso nella scelta linguistica dei titoli, nella punteggiatura, nella scelta delle minuscole in luogo delle maiuscole. La sezione Burattini fa pensare a chi è assoggettato al potere di qualcun altro, anche al giogo della parola, ma anche la precedente Caffè in sette quarti ammette che le sue quartine siano da leggere “sorbendo” un tempo dispari. Il 7/4 è un tempo che in musica dilata idealmente l’idea del tempo – utile all’assorbimento del caffè -, ma resta dentro la criticità del dispari, è nervoso, e quindi richiama un certo equilibrio transitorio. Pagelli, tuttavia, ci suggerisce tutto ciò utilizzando il metro della tradizione e affidandosi alla rima, non lasciando nulla al caso stilisticamente, con il collo (e l’orecchio) di tre quarti teso al passato, anche a quello più recente del citato Simone Cattaneo o di Ivano Ferrari, solo per fare qualche nome. Questa l’originalità del suo poetare e della sua voce.

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“call center”

ora che tutto riparte
in questa selva lampeggiante di voci
le cuffie sono meduse leggere
sulle teste degli operatori che oscillano come boe marine
e le bocche gonfie di parole, promesse d’occasioni
nel mercato virtuale
l’abbonamento migliore alla novità in visione –
l’estrema spremitura della buona volontà…

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“terzo piano”

anche milano balla
la rumba del sisma –
nella pancia di mezzogiorno
il vetro oscilla, qualcuno grida
la tipa in fondo la fila
scatta come un topo e se la svigna dalle scale.
il capo, invece, ricurvo
fra i cavilli di un contratto
neppure s’accorge
della scossa del grido del ballo di gruppo…
(roba da poco l’oscillazione del globo
se la clausola si nega all’espulsione
se l’equilibrio è di carta e l’inganno la sola visione)

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“le oche”

ingozzati come oche
destinate all’esplosione
si resta nella cella
in attesa della cena,
la maschera che s’apre
e la voce che riparte
nel solito carnevale
(la sera che scende, il sole che sale) un pensiero s’infila
quasi per sbaglio nell’aria –
che serve la mia presenza
la zampa rotta dal peso
se neanche so se è vero
il dio della tua preghiera,
se il grande cielo che vedo
è l’esordio della buona novella
o il culo azzurro di una balena…?

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“meduse”

le soffici meduse dei pollini
nuotano esatte la vasca d’aria
all’ultimo piano dell’edificio –
sembra una metafora del male
più che il bussare della primavera…
e l’urticante indifferenza delle cose
striscia il respiro vicino, buca piano
il corpo del mondo, senza avvertire
il minimo dolore, il danno frontale dello schianto…

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“quartina n.1”

tutto di fretta, anche questi versi
rubati alla bocca del tempo
come fiori nati sul cemento
fratelli degli altri, ma diversi…

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“quartina n. 5”

dice di essere un vero imprenditore
uno che viaggia in prima da gran signore
per affari di radio e televisione
qui solo per svago a sudare sotto il sole…

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“l’attore”

che si contorce e dà voce
alle voci, smaschera mascherandosi
le rose sottili, le spine atroci…
eccolo – signore e signori – lontano
dal centro, dal rogo invisibile delle cose,
gira su se stesso come un frullatore
abbaia alla luna come un cane –
non c’è niente che non possa fare
nessuno che non possa surrogare
io sono il sogno, il grillo di zucchero
che sfama la bocca grande della sera,
sono il padre e la madre, l’errore e la catarsi
e posso pure insultarti
dire quello che penso ed il suo rovescio
e tu applaudimi sempre, anche se dal palco in testa ti piscio…

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“la vocazione della balena”

aperta la bocca
come una grande balena
la lingua di gradini
aspetta la prima cena –
timidi mitili, pesci azzurri
ed altre specie minori in arrivo al binario sei
(dice la voce inudibile
nella pancia della stazione….)
e come pesci non si domanda
s’entra a branchi involontari
ognuno col suo bel colore
avuto in prestito dal caso,
chi prega chi pensa chi legge il giornale
chi bianco in volto chi gonfio come un gommone
chi già rosso con la lingua che cade…
l’ombra di granchio del vecchio professore
sbanda un poco sulle scale, nella borsa marrone
qualche lisca di sogno, una frase di commiato
sugli appunti dell’estrema lezione…

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Claudio Pagelli nasce a Como nel 1975. Autore de L’incerta specie (LietoColle, 2005), Le visioni del Trifoglio (Manni, 2007), la plaquette Ho mangiato il fiore dei pazzi (Dialogo,2008) e l’e-book Buchi Bianchi (Clepsydra, 2010).
Premiato e segnalato in numerosi premi letterari di interesse nazionale tra cui “Il Fiore”, “Antica Badia di San Savino”, “Città di Capannori”, “De Palchi Raiziss”, “Dialogo”, “Il Lago Verde”. Sue poesie compaiono in cataloghi d’arte, riviste di settore e siti a tema. Presidente dell’Associazione Culturale Helianto, vive e lavora a Rovello Porro (CO). Quella che oggi proponiamo è la sua ultima raccolta.


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