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Luca Briasco: Americana

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Luca Briasco, Americana, minimum fax 2016, 18 euro

È sempre sulla cresta dell’onda Americana, un volume tutto minimum fax che attraversa le fila di un cosmo complesso e affascinante, percorrendone i motivi di unità, le vette di bellezza come le curiosità dei sottoboschi. Il cosmo in questione è la letteratura a stelle e strisce degli ultimi (all’incirca) cinquant’anni, e l’autore del bel libro è Luca Briasco, americanista, editor, traduttore e giornalista. Dopo un’ampia volata di prefazione che già lascia intravedere le strettissime maglie di un’eco continua tra gli autori selezionati (eco che è dialogo quanto contrapposizione), Briasco mette sotto la lente quaranta autori del panorama americano contemporaneo attraverso l’analisi di uno specifico libro; libro che si configura però come un piede puntato nella porta, che può così aprirsi in ogni saggio fino a toccare l’intera produzione dell’autore e la sua importanza, sempre specifica e sempre tracciabile, nella comunità cui appartiene: quella della parola scritta nell’atto di documentare la storia, la geografia, le tematiche ricorrenti o straordinarie che compongono il vasto universo degli USA ai giorni nostri.
Dico “storia” e “geografia” con cognizione, e non come semplici categorie scolastiche. Il viaggio che Briasco compie attraverso la letteratura americana è suddiviso in sezioni, e queste privilegiano le correnti e le tendenze di appartenenza dei vari autori: abbiamo il postmoderno di Barth, Pynchon, DeLillo e altri; il minimalismo di Carver; la letteratura cosiddetta “di genere”, per quanto un’etichetta simile sia stretta attorno ad autori del calibro di King; e ancora l’avanguardia, il realismo, e un canone ancora da scoprire tra le mani di Franzen, A. M. Homes, Foer, solo per citarne alcuni. Eppure l’impressione che lascia questo documentario cartaceo tanto fitto e ben scandito è quella di una letteratura che, anche quando disancorata da qualsiasi volontà di aderenza alla realtà, è in costante dialogo con la storia e la geografia del continente nordamericano: le cupe città ferrose e le vaste praterie, i noir spietati accanto alle dolenti saghe familiari, con il sottofondo quasi costante della desolata critica al sogno americano. Senza dimenticare due date fondamentali che ricorrono come a scandire uno spezzamento, un prima e un dopo nell’immaginario politico e sociale che gli scrittori non possono, neanche a distanza di tempo, ignorare: l’assassinio di John Kennedy e la caduta delle Torri Gemelle.
Recensire Americana dando giustizia al certosino lavoro di classificazione di autori e titoli sarebbe impossibile, e questa è una fortuna, perché il viaggio andrà compiuto dal lettore mantenendo intatto il gusto dei quaranta saggi inclusi nel libro. Ognuno di questi racconta una trama, né troppo né troppo poco ma abbastanza da suggerire, contestualizzare e far risplendere il significato singolo e corale del libro selezionato. Alcuni saggi contengono vere e proprie perle di curiosità: genesi degli scritti, accoglienze della critica, e anche testimonianze della grande importanza che rivestono, nel processo creativo, figure troppo spesso lasciate al margine dell’epica della visibilità letteraria. Ne è un esempio l’aneddoto sulla nascita di L’assassino che è in me, di Jim Thompson:

Per farsi un’idea di come funzionasse il mondo dei tascabili, non esiste testimonianza più preziosa di quella offerta dagli editor della Lion Books, la collana che avrebbe ospitato quasi tutti i titoli più importanti di Thompson: Arnold Hano e Jim Bryans. Il loro primo incontro con l’autore si concluse con la consegna di cinque sinossi, spunti di trama estremamente schematici e semplificati sui quali si chiedeva allo scrittore di turno di lavorare e costruire un romanzo. Una di queste sinossi, racconta Hano, «riguardava un poliziotto di New York che ha una relazione con una prostituta e finisce per ucciderla. Era materiale per un thriller da quattro soldi, ma Jim gli diede un’occhiata e disse: “Prendo questo”». A due sole settimane dall’incontro, Thompson si sarebbe ripresentato ai suoi editor con dodici dei ventisei capitoli di cui si componeva il romanzo, avendone cambiato l’ambientazione e trasformato la struttura, ma soprattutto avendo letteralmente inventato un personaggio – e una voce – cui sarebbe tornato a ricorrere più volte negli anni a venire. Conclude Arnold Hano: «La grandezza di Jim consiste in ciò che riusciva a fare con quelle sinossi. Prese la nostra banalissima trama e i nostri personaggi triti e li trasformò… beh, li trasformò nell’Assassino che è in me».

I quaranta scrittori (più una forte serie di comprimari) ricorrono come personaggi, le loro carriere si intrecciano, spesso si trovano a dialogare tra loro o attraverso dichiarazioni alla stampa. La sensazione, leggendo il saggio di Briasco, è che gli autori si facciano di carne, tangibili come raramente ci viene in mente che sono. Come nella grande disputa per il premio Pulitzer nel 1998, cui parteciparono Robert Stone, Philip Roth e Don DeLillo; il secondo, con Pastorale americana, era alla sua terza candidatura, vincendo sul già una volta candidato DeLillo con Underworld. O l’intervista di Philip Roth a Repubblica, dove dichiara di aver appena letto «un libro stupendo», La casa tonda di Louise Erdrich, dichiarazione che immediatamente diventa uno “strillo” per la quarta di copertina del romanzo. O ancora le interviste a David Foster Wallace, la sua dichiarazione di desiderare una letteratura che non sia qualcosa di scritto per altri scrittori, teorici o critici, ma che gli faccia dire «Cristo santo, che bello leggere. Ora come ora preferirei leggere piuttosto che mangiare
Chi scrive ha le sue predilezioni, quindi ammette di aver fatto una corsa a spulciare il trattamento riservato a It, celebre capolavoro di Stephen King. Oltre alla lucida recensione della trama, immersa a metà tra le atmosfere lovecraftiane e il puro romanzo di formazione, Briasco afferma qualcosa che non può essere che condivisibile:

Il modo migliore per misurare l’impatto di King sulla letteratura americana contemporanea, di genere e non solo, è saltare a piè pari le polemiche sul livello di riconoscimento che gli è stato attribuito e provare a rileggere It per quella che è la sua vera natura: un gigantesco monolite piantato nel cuore degli anni Ottanta (e del reaganismo); una poderosa macchina narrativa che rielabora – in modo quasi sempre originale e inventivo – i grandi topoi della tradizione americana, offrendone una rilettura aggiornata ai tempi.

Dove invece chi scrive ha lacune – e sono tante – la voglia di andare in libreria a riempirle è forte: ed è questo uno degli obiettivi che Briasco dichiara di essersi posto nella stesura del libro. Impossibile, leggendo i vari saggi, resistere alla tentazione di andare a conoscere più nel dettaglio tutti i tasselli che compongono il mosaico americano.
Un’ultima avvertenza: l’autore ha dovuto effettuare, nella sua scelta, delle rinunce anche dolorose. Ma sul sito della casa editrice sono comparse, da tempo, delle schede di integrazione. Chi volesse leggerle le troverebbe qui.
Buona più che lettura a tutti, allora.

© Giovanna Amato

3 risposte a “Luca Briasco: Americana”

  1. Questo testo è un’ omaggio alla mia grande passione, la letteratura americana contemporanea, come potevo non valutarlo con cinque stelle…. grazie per lo splendido articolo.

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  2. L’ho visto oggi in libreria e sono stata tentata. Ma su 40 autori ci sono 6 donne e, mi pare, nemmeno uno che non sia bianco. Spero di sbagliare. In ogni caso, per quanto sia personale la selezione effettuata dall’autore, mi ferma pensare che non sia un lettore particolarmente avventuroso. (che poi non c’è nemmeno bisogno di andare troppo in fondo all’avventura, se si pensa che il Pulitzer 2016 è stato vinto da Colson Whitehead, per dire) Se conosce – come spero – gli avvenimenti recenti dell’editoria americana, sa che il discorso sulle minoranze è vivace ed interessante, e ha portato all’attenzione di tutti piccoli e grandi capolavori.

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