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Anna Toscano, Una telefonata di mattina. Recensione

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Anna Toscano, Una telefonata di mattina, prefazione di Valeria Viganò, Milano, La Vita Felice, 2016, € 12,00

«Poetarum Silva» non è nuovo alla poesia di Anna Toscano, e anzi ha seguito tutto il suo itinerario poetico con grande attenzione. Dopo l’anticipazione dello scorso 4 aprile di alcune poesie dall’ultima raccolta, per entrarci facciamo un passo indietro, ritorniamo cioè al passato-futuro con le parole critiche di Fabio Michieli e di Giovanna Amato, che hanno dedicato alla precedente Doso la polvere due interventi da rileggere qui e qui. Già prima, nel 2011, lo stesso Michieli aveva definito questa rotta – che giunge quest’anno ad una quarta tappa toccata – un «percorso in controluce» che rifugge qualsiasi forma retorica, avvicinando Anna Toscano a Sandro Penna, Attilio Bertolucci e a Patrizia Cavalli, autori mai davvero abbandonati dall’autrice – ma qui, si legge ed è sottolineato anche dalla prefatrice Valeria Viganò, fa capolino pure l’uruguaiano Mario Benedetti. In Una telefonata di mattina un riferimento a quell’ironia leggera soprattutto di Cavalli è «dosata» nei luoghi, nei tempi, nel tu di riferimento, in Come vorrei: «Come vorrei esserti più vicina/ un caffè un cinema/ una telefonata di mattina/ per dire poi passo/ o per sentire/ prendo lo scooter/ e vengo da te./ Una vita, insomma,/ con dei perché.»
La scelta delle parole è per Toscano fondamentale, lo è sempre stata d’altronde, così come lo è la misura dei versi (talvolta prosastici) e non solo; se si pensa al gusto della rima, si avverte un senso musicale che si struttura in questo libro più che negli altri, diventando cifra. Nel titolo, di nuovo (ma si è abituati a questo; un caso è all’ora dei pasti, volume del 2007 per LietoColle, di cui ha parlato sempre Michieli qui), troviamo ‘un cosa’ e ‘un quando’, che in questo caso ammettono sin da subito un contatto con ‘il tu’, con l’altro, anche inteso come ‘il dove’ che nel titolo manca, che sono forse i tanti luoghi della raccolta, le città e i Paesi visitati, e che si rinnovano ancora rispetto al volume del 2012, o si tratta di un Portami dove: «Portami dove sono già stata/ dove c’è un buon tempo/ tenerezza di cuore.// Portami dove sono già stata/ dove tutto ha un senso/ dove non c’è bisogno di.// Portami dove sono già stata.»
Forse tre parole in grado di definire questa nuova prova sono il binomio “nostalgia-realtà”, che sopravvive nelle poesie di stampo civile – già approdo di Doso la polvere, come ha evidenziato Michieli – ma è anche centrale in tutte le altre, più intime e puramente liriche; poi c’è la parola “consapevolezza” del sé poetico che nel tempo è mutato senza perdere la limpidezza e la forza che l’hanno sino a qui guidato, come in Ora: «Ora mi domando se/ godermi e vivermi la vita/ potesse essere altro/ di quel correre/ da un capo/ all’altro/ delle cose». E questo “capo all’altro delle cose” (in cui vige un respiro interno, una dimensione, la ricerca di un senso già trovato forse) è fuggevole ma anche armonico, nel senso che comprende, ammette i volti, i tempi, i luoghi che l’io poetico vive o ha attraversato, e sono soprattutto le città di Venezia, Bologna, San Paolo; ci sono poi le dediche, le mancanze, le perdite e la dimensione del ricordo: «E poi ci sono le persone/ mia nonna ai fornelli/ ad esempio/ mica è andata via/ è qui/ come allora,/ con tutta la sua liturgia.» Ancora la nonna, nella poesia che segue: «[…] il sorriso di chi ce l’ha fatta,/ anche quest’anno./ La fatica e la gioia,/ le tue frittelle un’epifania.», dove “liturgia-epifania” non solo fanno rima, ma sono anche parole pregne di un altrove, in continuità fra loro. Ancora “consapevolezza”, che etimologicamente porta in sé la “complicità” di chi la esprime, la partecipazione, l’empatia, dunque.
Non può mancare, infine, l’utilizzo degli immancabili oggetti, com’è espresso nella poesia che apre la raccolta, Io con le parole: «Io con le parole faccio cose/ […] Con le cose faccio parole:/ scelgo un baule/ e lo riempio di sillabe nuove.»
A ben vedere ciascuna poesia del libro porta un titolo che segue una scansione pensata che ricorda – si può azzardare – un album di musica leggera o pop, esprimendo tuttavia anche un ritmo, quello dell’io poetico che “dice”, e nel suo «dire» c’è una chiarezza che coinvolge o meglio include, perché la levità della comprensibilità di Anna Toscano non ci lascia indifferenti e non può mai sospendere la nostra emozione.

© Alessandra Trevisan


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