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proSabato: Giovanni Comisso, da ‘Un sogno a Bassano’

LA TERRA era rinverdita mirabilmente nelle foglie e nell’erba che dopo la pioggia notturna risultava soffice come la lana. La strada era tracciata sul limite della pianura, dove da un lato principiava lentamente a salire, come il declivio di una spiaggia marina resa scoperta dalla bassa marea, per innalzarsi gradatamente in colli acuti uno dietro l’altro in fila e da ultimo, lontano, si elevano le montagne.
..Andavo verso Bassano per rivedere quella città dopo tanto tempo, ma prima di arrivarvi avrei voluto visitare quel colle dove Ezzelino da Romano aveva il suo castello. Mi era venuto questo desiderio, perché era appunto in giornate primaverili come quella, che reso impaziente dal lungo ozio invernale si scuoteva in una follia aggressiva con le sue masnade per irrompere nella pianura veneta a saccheggiare, a distruggere e a uccidere prendendo d’assalto borgate e città. Tutta la sua follia, che per lunghi anni aveva disseminato il terrore, egli l’aveva poi scontata u quel colle dove con tutti i consanguinei era stato trucidato, squartato, disperso ai venti e il suo pastello era stato spiantato dalle fondamenta.
..La carta topografica distribuita da un ente automobilistico ufficiale non indica questo colle, un’altra datami da un ente turistico mi servì meno ancora, sicché ho dovuto ripiegare sulle indicazioni topografiche fissate da Dante con massima precisione.
In quella parte della terra prava
Italica, che siede intra Rialto
E le fontane di Brenta e Piava,
si leva un colle, e non surge molt’altro

..Neanche con questa guida mi fu possibile raggiungere la meta, finii col disperdermi in stradine sconnesse e disagevoli che mi obbligarono a rinunziare. I colli, non molto alti, sono innumerevoli e tutti stupendi come isolette coralline affioranti sulla pianura in lieve discesa. Credo non vi siano al mondo luoghi più belli di questi, tra il Piave e il Brenta, ma sembra si faccia apposta per non concedere di visitarli facendoci disperdere come in un labirinto. Si usa persino la strategia, nota alle quinte colonne, di mettere agli incroci le tabelle stradali, non prima della svolta, ma dopo in modo da non servire per nulla.
..Sulle cime di questi colli o sui loro pendii vi sono ville, simili a templi solenni, che tra gradinate e logge occupano tutta l’area dei declivi isolati, ridestando con sbalordimento scenari inauditi.
..Mi rimase solo da raffigurare mentalmente quale doveva essere la vita tra quella terra, quando Ezzelino infuriava selvaggio. Erano anni orrendi in cui le città circostanti, Bassano, Marostica, Asolo, Cittadella e Castelfranco cinte di torri e di mura formavano un vasto campo trincerato che bloccava, tra i fiumi e i monti, il passaggio di qualsiasi esercito. Si doveva vivere in un continuo terrore che rendeva deserte le campagne e aboliva ogni linguaggio. Il genere umano era diventato da una parte bestiale, bestialmente rapace, e dall’altra bestialmente muto nell’abbattimento generato dalla paura. Mi riusciva incomprensibile come questo avesse potuto avvenire tra tanto splendore di paesaggio. Il deserto di doveva stendere assoluto, ognuno intontito come in un letargo era facile preda alla foia sfrenata di saccheggiare, di dominare e di uccidere del tiranno. Bisognò attendere trecento anni perché potesse rifiorire la speranza nella vita con Caterina Cornaro che radunava, nella sua reggia di Asolo, filosofi, poeti e deliziosi amanti. Perché il linguaggio potesse riprendere tra gli uomini. Perché dalla città murata di Castelfranco sorgesse Giorgione e in quella di Bassano, Jacopo da Ponte, e ancora bisognò attendere altri trecento anni, perché da quella terra balzasse Canova con la sua contemplazione armoniosa del corpo umano.

..CI SI CONVINCEVA che a periodi il genere umano perde la parola e non riesce a comunicare più, tra uomo e uomo, se non col terrore e la strage, per riprendere solo dopo molto tempo il dialogo fatto sublime dalle arti e dal pensiero. Già queste mie raffigurazioni del lontano tempo passato mi avevano come offuscato l’aria e velato il paesaggio al quale non facevo più attenzione, quando, arrivato a Bassano, mi sentii confermare quanto avevo pensato, vedendo a ogni albero del viale una croce appesa che ricordava i giovani che vi erano stati impiccati durante l’ultima guerra. Tra i molti alberi fioriti di foglie che avevano servito al supplizio ve n’erano alcuni scheletrici e secchi, che sembravano essere morti, non potendo più sopportare l’onta subita.
..Si era dunque ristabilito il deserto, in quella terra veramente «prava» cioè malvagia, come se ancora fosse risorto il campo trincerato, non della guerra prima, quando Bassano era il nostro luogo di delizie tra donne e canzoni, ma delle più oscure lotte medioevali. Dieci anni ormai passati non avevano cancellato l’incubo. Quegli alberi che avevano servito da forche avevano ridischiuso le loro foglie al respiro estivo, i ragazzi che avevano visto, erano appena diventati uomini. Il linguaggio non aveva ancora ripreso a scorrere come intermediario di sentimenti e di pensiero tra il genere umano instupidito dal terrore. […]

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Foglietti di viaggio, In «Il Mondo», Anno VIII, n. 33, 14 agosto 1956.

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