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Il Secondo Futurismo, la letteratura e la ceramica d’avanguardia (di Gianfranco Barcella)

L’anguria lirica. Poema futurista, Tullio d’Albisola, 1932 – © dal sito dell’artista

Nei primi decenni del Novecento, Savona era una città molto vivace dal punto di vista culturale e tra il mondo degli imprenditori e quello della cultura, i legami erano molto stretti. Uno dei momenti più fruttuosi di questa comunione d’intenti è stato sicuramente quello legato alla nascita del Futurismo per iniziativa, nel 1909, del poeta e scrittore Filippo Tommaso Martinetti. Il Futurismo, che divenne in breve tempo il movimento artistico di avanguardia di maggior novità, a Savona trovò immediatamente seguaci. L’esaltazione estrema della modernità fece proseliti in ogni campo culturale e coinvolse anche personaggi quali il capitano di lungo corso, Vincenzo Nosenzo, che una volta sbarcato aprì a Zinola (Savona) − era 1927 − uno stabilimento quasi in riva al mare, forse proprio per non discostarsi del tutto dal suo ambiente preferito. L’opificio fu destinato alla produzione di contenitori di latta. Il capitano Nosenzo venne poi a contatto con Marinetti che frequentava ad Albisola, Tullio Mazzotti, pittore e ceramista, ma soprattutto artista a tutto tondo, passato alla storia del Futurismo come Tullio d’Albisola. Ecco nascere dall’estro di Tullio l’idea di un libro, utilizzando fogli di latta, anziché di carta. Il primo volume ad andare in stampa fu Bombardamento di Adrianopoli di Marinetti, trenta pagine formato 220/230. Il peso del volume, illustrato da Tullio d’Albisola, si aggirava sui 600 grammi. Un secondo libro, L’anguria lirica dello stesso Tullio d’Albisola era arricchito da composizioni di Bruno Munari. Entrambi i libri realizzati in lamierino ebbero una tiratura di 200 copie. Oggi sono praticamente introvabili. Per celebrare tale evento culturale è uscito un numero monografico della rivista «Resine», edita da Marco Sabatelli, dedicato al tema: “Futurismo a Savona, Albisola, Altare”. Quello citato è uno degli esempi più significativi dei propositi del Futurismo, denunciati da Marinetti: riformare le lezioni comuni della letteratura, ormai logorata dalla miseria delle idee e dalla stanchezza delle forme, incapace di trovare nuove ragioni di vita ed appagata ormai di sole esercitazioni estenuanti. Marinetti era un buon osservatore di quello che avveniva all’estero, principalmente in Francia e la sua educazione era stata consacrata nell’atmosfera del Simbolismo.

Non gli era stato difficile sentire che qualcosa non funzionava più come prima in campo letterario. Anzitutto si rese conto che la strada già imboccata dalla società europea e sia pure con ritardo dall’Italia, era quella della rapida industrializzazione e portava la sua attenzione e la sua simpatia alle componenti di questa nuova realtà: le macchine, i grandi complessi industriali e le grandi masse operaie, le città moderne, le metropoli, l’automobile nuovo mito nascente. «Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità, un’automobile da corsa col suo cofano adorno dai grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… Un’automobile ruggente che sembra correre sulla mitraglia è più bello della Vittoria di Samotracia». In questo i Futuristi erano ben più moderni di d’Annunzio e dei Crepuscolari, che risolvevano con una evasione dal reale (l’uno rifugiandosi esteticamente in un mondo di pura bellezza, gli altri idoleggiando, sia pure ironicamente, un mondo di piccole cose) il problema fondamentale per ogni artista, del rapporto con il mondo contemporaneo. Ma l’accettazione delle nuove caratteristiche che la società andava assumendo era un’accettazione supina, acritica, che faceva coincidere il positivo, i nuovi valori con l’industrialismo, anzi dalle leggi e dalle necessità del nascente capitalismo, faceva derivare nuove norme, una nuova etica, basata appunto sulla competitività, sull’aggressività. In altri termini, il Futurismo è un caso esemplare di rapporto tra situazione sociale e letteratura e gli atteggiamenti letterari fanno da copertura ideologica al meccanismo dell’industrialismo capitalistico. Questo fondamentale rapporto poco chiaro forse all’inizio, quando nelle file e nei manifesti futuristi c’era posto per posizioni anarchiche o di sindacalismo rivoluzionario o per il proposito di cantare le marce delle rivoluzioni nelle capitali moderne, risulterà palese in seguito, quando il Futurismo esalterà la “guerra sola igiene del mondo” e il nazionalismo, quando Marinetti scriverà un poema per la conquista della Libia e i Futuristi saranno i più rumorosi fra gli interventisti prima, fra i fascisti poi, quando il movimento aggressivo, “lo schiaffo e il pugno” da metafora letteraria, diventerà prassi politica. In campo letterario il Futurismo è contro l’arte del passato, fatta di languori sentimentali, o di freddo ossequio a tradizioni mummificate: da qui esortazioni come «uccidete il chiaro di luna! O suvvia! Date fuoco agli scaffali delle biblioteche!…» E il loro programma letterario si può così sintetizzare: 1) Distruzione della sintassi e parole in libertà: un mondo dominato da nuovi valori e da nuovi mezzi: la velocità, la rapidità di diffusione di una notizia, la possibilità di comunicare contemporaneamente alle masse (si pensi all’importanza che l’industria cinematografica cominciava ad assumere in Italia). 2) Immaginazione senza fili “Per immaginazione senza fili, io intendo la libertà assoluta delle immagini o analogie, espresse con parole slegate, senza fili conduttori sintattici e senza alcuna punteggiatura (Marinetti) L’analogia non è altro che l’amore profondo che collega le cose distanti apparentemente diverse ed ostili”. Occorre pertanto non svalutare le acquisizioni formali e teoriche che la letteratura e l’arte europee devono al Futurismo Italiano.

Marinetti e Tullio Mazzotti ad Albisola – © dal sito dell’artista

Nel Marinetti teorico si riconoscono intuizioni valide anche in merito alla psicologia dell’ispirazione. Ha saputo mettere in luce un tema centrale della poetica futurista: l’ossessione lirica della materia come frutto della più pura ragione. Il Futurismo si ammanta così anche di una ricerca metafisica e nessun tentativo rivoluzionario in campo artistico, a mio modesto parere, è stato così liricamente nuovo.Il geniale dilettante Marinetti è riuscito inoltre a dimostrare che la letteratura, concepita come agonismo dello spirito, permette di raggiungere buoni risultati con assidui allenamenti fino al raggiungimento del traguardo della celebrità poetica. Anche così il Futurismo si è conquistato la palma dell’avanguardia delle avanguardie. Ciò sia in relazione ad altri movimenti storici, come il Dadaismo e il Surrealismo, sia in relazione all’impetuoso revival neo-avanguardistico seguito al ’68. La rivoluzione linguistica, lo scardinamento delle convenzioni morfosintattiche e lessicali, lo sberleffo alla logica tradizionale sono gli strumenti e insieme gli emblemi del mutamento che si aspetta. In una parola: l’avanguardia e il Futurismo in essa è diventata di moda. Basti pensare al linguaggio pubblicitario che oggi imperversa in ogni dove, il concetto ridotto a slogan che aveva già nutrito l’eloquenza del regime fascista. Pasolini comincia con un giudizio su Marinetti che riecheggia le antiche e sommarie condanne: «facile da descrivere, facile da collocare storicamente, facile da disprezzare, facile da riscoprire» (in Descrizioni di descrizioni). Anche storicamente il profilo tracciato è negativo: «faceva di sé un enigma attraverso l’addizione mera e meccanica delle contraddizioni. Marinetti può essere accettato solo cinicamente, per esempio, per creare una tradizione avanguardistica italiana». Entrambi i giudizi meritano qualche riflessione. Che Marinetti non sia arrivato a una sintesi e ad una risoluzione delle proprie contraddizioni è cosa pacifica, ma ciò si pone proprio come elemento programmatico essenziale del suo movimento: il Futurismo afferma se stesso in quanto negazione sia della storicità sia della struttura e ambisce ad esprimersi unicamente e totalmente attraverso l’autoaffermazione. La liberazione della storia dal passato dalle convenzioni sociali e da ogni pastoia trova il suo fulcro (e al tempo stesso l’invalicabile limite) nell’io che si appropria di quella liberazione come di uno strumento da usare con assoluta discrezionalità. Accumulare contraddizioni senza curarsi di conciliarle è dunque parte integrante e originale del Futurismo, è l’ambiguità positiva, l’aspetto lucido, la “follia del divenire” e anche l’ambiguità negativa, parimenti necessaria, il suo comprendere, nello stesso tempo e sullo stesso piano, una valenza libertaria e una valenza totalizzante. Non sembra iniquo concludere che fu lo stesso Marinetti a provincializzare il proprio internazionalismo. La vera “igiene del mondo”, operata dalle avanguardie, è stato scritto, fu lo scatenamento dell’irrazionale. Non è soltanto la patina del tempo a rendere suggestivo questo album di storia e vita. Sfogliandone le immagini, le foto di gruppo, le caricature reciproche, le straordinarie foto d’autore, si coglie bene il senso dell’intensità con cui quegli uomini vivevano il tempo della loro storia e anche, in definitiva, il sostanziale disinteresse. La rivoluzione futurista fu una rivoluzione, cioè del fatto e dell’idea e del ruolo dell’arte, legata all’innovazione del progresso meccanico ed industriale, appunto (si pensi all’idea della scenografia mobile che ha innovato la storia del teatro). La sua originalità nel quadro delle avanguardie storiche è duplice: è una rivoluzione garantita esistenzialmente, in prima persona, dagli artisti che ne sono protagonisti e si fonda sull’equazione arte-vita posta con grande forza: vita come arte e arte come vita. Il mondo avrebbe dovuto essere liberato da tutto: storia, logica, leggi, limiti per fare spazio all’arte che avrebbe dovuto riempirlo della propria storia, delle proprie leggi, della propria logica, governata dall’io fantastico. In questa luce, l’irrazionale futurista non va contro la ragione, non ha i colori cupi del rovesciamento e della rovina, ma è soltanto un altro nome della fantasia sovrana. La realtà del Futurismo ha la sua storia nell’incessante proposta di novità espressive che hanno contribuito non poco a svecchiare le forme dell’arte, ma ha la sua vera ideologia nell’utopia. Non a caso «movimento futurista – ha scritto Martinetti – vuol dire incoraggiamento assiduo, organizzato, sistematico dell’originalità creatrice, anche se apparentemente pazza». Pertanto non deve stupire la frenetica attività che il padre del Futurismo condusse creando proseliti anche fuori dai tradizionali ambiti culturali e letterari. Per questo motivo, forse, la copiosa produzione di manifesti, indicanti le direttive da seguire nei vari campi interessati dalla ricerca del movimento di inizio secolo, non tralasciò di curare le cosiddette, fra cui è annoverata anche la lavorazione della ceramica, attività fiorente nel centro rivierasco di Albisola. Ma ciò che potrebbe attrarre l’attenzione di un lettore di un lettore dei “Manifesti Futuristi Savonesi”, è senza dubbio un breve periodo che, esulando per un attimo dall’argomento trattato, fa riferimento ad Altare, patria ligure del vetro. Nel trattato riguardante la ceramica futurista, Martinetti, sottolineando l’impegno profuso dagli albisolesi nella sperimentazione di nuove tecniche produttive, afferma: «….analoghe ricerche esercitarono l’antica corporazione Artistico Vetraria di Altare, guidata con fortuna dai Grosso, Saroldi, Bormioli, nobili maestri dell’arte infuocata di Futurismo». Per ritornare ab ovo dobbiamo sottolineare che la tumultuosa esperienza futurista passa in particolare attraverso le sperimentazioni compiute nel campo della ceramica, unendo spesso tematiche decò a figurazione modernista, semplicità formale ed essenzialità decorativa, pratica artigianale ed avanguardia. L’adesione al Futurismo si impegna nell’impiego di decori nuovi, inizialmente applicati a forme di derivazione popolare con una progressiva tendenza alla deformazione plastica. Rientrano in questa tipologia alcune opere dove si evidenzia l’utilizzo di materiali poveri, quali il bruno di manganese direttamente sull’ocra dell’argilla sotto cristallina. Da un lato si dà vita ad una produzione commerciale dove la modernità delle forme e dei colori convive con la funzionalità del prodotto, dall’altro si sperimenta sulle potenzialità plastiche dell’oggetto ceramico dando precedenza alla ricerca rispetto alla preoccupazione di riproducibilità seriale o impiegando materiali nuovi in parallelo a nuovi effetti cromatici. Alle tecniche tradizionali si affianca l’uso di smalti applicati ad aerografo, l’impiego di superfici lavorate a “buccia d’arancia” o “mat” (tipico smalto opaco granulare). La Casa Mazzotti avvia in questi anni da un lato consistente produzione e progettazione di arredi futuristi in ceramica (proposti anche per corrispondenza), ove la modernità di forme e colori non è spinta all’eccesso e convive con la funzionalità dell’oggetto, dall’altro canto prosegue una più decisa trasformazione dell’oggetto accentuandone valenze plastiche e pittoriche. Nel 1929 Tullio d’Albisola realizza 80 opere come descrive lui stesso «eseguite volutamente legnose, mutanti, sproporzionate ed inutili ad oltranza». Viene modellata una nutritissima serie di ceramiche come arcivasi, biboccali, tuberie, bomboniere elettriche, bottiglie, boccali policentrici, aeroceramica, ecc. che vengono presentate alla mostra “trentatré Futuristi”, alla galleria d’Arte Pesaro di Milano e danno il via a quella fitta rete di interrelazioni con i maggiori interpreti del futurismo italiano. Grazie alla ideazione (protodesign) di Fillia e Dulgheroff si introduce nella ceramica una coscienza progettuale correlata alla funzione e alla serie. L’orientamento futurista trova rispondenza anche presso altre manifatture di Albisola che spesso impiegano stilizzazione decorative e soggetti futuristi ancora oscillanti tra inclinazioni moderniste e futurdecò. Diversamente dagli anni Dieci e Venti, negli Anni Trenta si configura un clima interessante anche per l’architettura nonostante la produzione artigianale albisolese non si fosse mai attestata specificamente sulla ceramica per l’edilizia. La produzione di piastrelle per l’arredo, sotto forma di pannelli, riceve in questo periodo un rinnovato impulso. Con il Secondo Futurismo il risultato artistico combaciava perfettamente con quello di produzione. Se è vero che la ceramica futurista degli Anni Trenta costituiva una produzione limitata perché rappresentava “un’urtante novità” che poco incontrava il gusto della clientela, è altrettanto vero e lo dimostrano gli operati per la loro riproduzione, che l’idea dell’artista futurista era quella di una produzione industriale dell’oggetto che costituiva il perno sul quale ruotavano l’interesse e la filosofia di chi ne creava i modelli. Il fatto poi che fosse inserita nei cataloghi di vendita dimostra come la serialità dell’oggetto “d’artista” avesse preso campo, riuscendo anche ad ampliare la gamma produttiva. Un ideale trait d’union tra il multiplo d’artista inserito in produzione e la ceramica degli anni Cinquanta, può essere rappresentata dall’attività artistica di Arturo Martini. Le sue ceramiche a stampo erano legate all’idea della loro riproducibilità. Queste opere infatti avevano lo scopo di essere diffuse come piccole sculture di arredo e interessavano Martini soprattutto dal lato plastico, mentre l’aspetto pittorico che doveva seguire le indicazioni di massima dell’artista, era affidato alle maestranze che ne eseguivano la decorazione..

© Gianfranco Barcella


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