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Notti, guai e spini. Gli “Altri libertini” di Tondelli (di Fabio Libasci)

Notti, guai e spini. Gli Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli
di Fabio Libasci

 

Nel gennaio 1980 un giovane venticinquenne della provincia emiliana, Pier Vittorio Tondelli, dà alle stampe Altri libertini, una raccolta di racconti che suscita subito interesse e scandalo: tre edizioni in pochi mesi e il sequestro ordinato dal procuratore dell’Aquila per oscenità e oltraggio alla pubblica morale, a memoria l’ultima volta che ciò accadde. Nel giro di qualche mese Natalia Aspesi e Giovanni Giudici lo intervistano, D’Alema, Fachinelli e Roversi ne parlano sull’Espresso; si sprecano le filiazioni con lo sperimentalismo e i beat, Arbasino e Bukowski: è nato il caso Tondelli. Perché tanto successo? Perché tante parole spese sui sei racconti che compongono il “romanzo”? Chi sono i protagonisti?
Oggi non fatichiamo a definire quei racconti come generazionali; dentro ci sono gli anni Settanta, soprattutto i tardi, quelli che vivono pericolosamente a cavallo tra terrorismo e riflusso, impegno radicale e ritorno al privato, ideologia e droga; i giovani nati a metà degli anni Cinquanta e ancora troppo piccoli nelle ore calde del ’68, i non garantiti, gli studenti universitari annoiati e fuori corso immersi nel caro vita e nella disillusione. Anche se Tondelli smentì sempre il carattere autobiografico dei racconti, nel suo io di finzione, nella sua voce narrativa non è difficile riconoscere l’istantanea di un tempo, la trascrizione a caldo di esperienze immediate, pericolose, quasi sempre private e amorose, il grido di una provincia odiata e senza speranze, ovattata e grigia. Scrittura emotiva si disse allora, scrittura delle emozioni, potremmo dire ancora oggi leggendo i racconti nella loro successione.
Altri libertini è la notte: i personaggi vivono la notte, quella emiliana e quella bolognese, cittadina e di periferia, quella di Bruxelles e Amsterdam, tutte le storie raccontate sono notturne, cupe. La notte ha i suoi riti, i suoi ritrovi, le sue parole, i suoi drammi che sembrano però dileguarsi al mattino in attesa di una nuova notte. Nella notte sfilano i personaggi che di giorno non si vedono: i travestiti, i drogati, gli ubriaconi, la gioventù annoiata e tutti si ritrovano in posti di frontiera, bar di periferia o di stazione, non-luoghi frequentati da non persone dove tutte le situazioni sono accettabili, osservabili e degne di essere trascritte. La città, che sia Modena o Reggio o Bologna, è misurata dal suo silenzio, un silenzio dove è più forte la voce malinconica dei protagonisti delle scorribande notturne sempre alla ricerca di nuove cose, nuove storie, nuovi incontri. È l’Emilia notturna quella raccontata da Tondelli, l’Emilia comunista e consumista, come ebbe a dire Pasolini in un articolo; le ville sui colli, le auto e le moto, le osterie e i racconti epici di chi ricorda un mondo diverso con nostalgia. I racconti di Altri libertini sono attraversati dalla noia, dal tentativo di provocare le cose, di capire cos’è quella nausea che alla fine tutti provano nei racconti e che soffocano nella droga, negli spini, nelle pere, nei viaggi e allora ogni sera pronti a far accadere situazioni e incontri che si risolvono in nulla e così dopo bisogna sempre ricominciare e poi correre, quasi scappare. Il terzo racconto, Viaggio, comincia con un lungo incipit che racconta la notte di un diciannovenne: «notte raminga e fuggitiva lanciata veloce lungo le strade d’Emilia a spolmonare quel che ho dentro, notte solitaria e vagabonda a pensionare in auto verso la prateria, lasciare che le storie riempiano la testa che così poi si riposa, come stare sulle piazze a spiare la gente che passeggia e fa salotto e guarda in aria, tante fantasie una sopra e sotto all’altra, però non s’affatica nulla», il desiderio di fuggire, e quindi il viaggio verso il nord Europa, Bruxelles e Amsterdam e scoprire tutt’insieme in un romanzo di formazione per tappe forzate la birra e il sesso, l’evasione e il desiderio e quindi l’omosessualità. Altri libertini disegna i contorni di un’omosessualità fuori dagli schemi della letteratura o meglio fuori da una certa idea di rappresentazione dell’omosessualità. I suoi protagonisti somigliano a quelli di Arbasino, ai viaggiatori instancabili e picareschi dei Fratelli d’Italia per poi guardare soprattutto a Burroughs e a chissà chi altro fuori dalla nostra provinciale nazione. Gli omosessuali di Tondelli sono soli, si cercano, si disperano, amano, si insultano e vengono picchiati, inventano amori che non durano e rimpiangono quasi tutto il tempo, sono teneri e disperati, disperatamente teneri, hanno amici e sanno che dall’omosessualità non devono né guarire né scappare come gli eroi della generazione precedente. Hanno amici che si bucano e chiedono di morire. Non sono tutti così, diceva D’Alema dalle colonne dell’Espresso, ma molti dovevano pur esserlo se leggevano in massa il libro riconoscendosi; devono averlo letto i delusi del febbraio ’77 che per il narratore è solo il mese che ha segnato la fine della sua storia con Dilo. È il ritorno del privato, delle emozioni che chiedono voce e non aspettano più di sfilare dietro la grande Storia, ed è forse il primo vagito dell’individualismo, della ricerca della coppia a sfavore del gruppo. Gli eroi di Tondelli sono a-ideologici – lui stesso dirà che bisognava parlare di fatti e non teorizzare – non credono in nessuna rivoluzione, sono schegge romantiche, un po’ dark, hanno paura di affogare nella città e di finire risucchiati dalla provincia dalla quale faticosamente sono scappati, non hanno gli ideali dei genitori ma non ne hanno ancora di propri o forse sì ma sono fragili. Nel frattempo consumano le loro notti tra guai e spini, incontri fortuiti e troppo veloci, mentre tutt’intorno la campagna ha sempre la solita lentezza. La droga così presente in Altri libertini, gli spini soprattutto, sono il collante di una generazione, il rito che cementa il gruppo o che al contrario ne accelera l’allontanamento, sorta di farmaco-veleno a un tempo sociale e antisociale.
«Anni di rincoglionimento generale, però belli e vivibili né più né meno degli altri», anni che Tondelli registra quasi in presa diretta, come in una jam session, mimetizzandosi linguisticamente nella lingua dei suoi freaks, ispirandosi a Céline e a Celati, suo professore al DAMS, insieme a Eco. Anni che lo vedono crescere immediatamente e insieme a quella crescita un vuoto enorme.
Nel racconto omonimo, il penultimo della raccolta, Tondelli descrive le vacanze di Natale in provincia, quelle che si somigliano sempre e si ripetono con poche variazioni, quando si aspetta e si teme con la stessa intensità l’eventuale novità, le vacanze che danno al narratore l’occasione per raccontare adesso e infine le giornate, la troppa televisione, i cartoni animati, la noia dei riti e persino delle trasgressioni, la sensazione che tutto necessariamente si ripeterà ancora così. «Lacrime lacrime non ce n’è mai abbastanza quando vien su la scoglionatura, inutile dire cuore mio spaccati a mezzo come un uovo e manda via il vischioso male, quando ti prende lei la bestia non c’è proprio nulla solo stare ad aspettare un giorno appresso all’altro». È questo Tondelli, l’espressionismo, i colori, la rincorsa senza fiato di sensazioni che difficilmente le parole possono tradurre e allora bisogna togliere le virgole, ripetere e riprovare ancora. Del resto Tondelli per sua stessa ammissione e dietro consiglio di Aldo Tagliaferri scrisse e riscrisse i racconti molte volte. E poi la fuga da solo verso in Nord, l’Austria e quell’inquietudine che non si arresta.
Si chiude con un invito all’avventura Altri libertini, in macchina, in movimento, l’eroe è diventato un moderno Don Chisciotte. Gli anni ’80 saranno così, anni veloci, leggeri, futili diranno. Tondelli li attraverserà per intero cambiando pelle più volte, abbandonando la scrittura rock di queste pagine per abbracciare quella sinfonica di Rimini (1985) e di Camere separate (1989), l’immediatezza del vissuto sarà pian piano abbandonata a favore dell’interiorizzazione e il libertinaggio farà posto alla malinconia e al rimpianto. Eppure Tondelli è già tutto qui; la voce, la ricerca di qualcosa che non c’è, il tentativo di trasmettere i propri anni, i cambiamenti e poi l’amore, la ricerca di una possibilità, di un incontro giusto dietro il consumo di corpi e desideri. Forse perfino la sua ricerca religiosa è già qui presente, in quel senso di vuoto col quale termina tutti i suoi racconti, nei viaggi dai quali torna più disperato.
Altri libertini sono il romanzo della crisi, di quelli che hanno smesso di leggere Marx e si abbandonano ai Frammenti di un discorso amoroso, di quelli che cercano e cercano e instancabilmente lo fanno ancora, di quelli che gridano nella notte e annaspano. Quarant’anni dopo quel grido è ancora intatto, smentendo quanti avevano giudicato questo libro fatto per durare una sola estate, quella del 1980.


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