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proSabato: Cesare Zavattini, Verdi

A Cesare Zavattini (Luzzara, 20 settembre 1902 – Roma, 13 ottobre 1989) è dedicata questo mese la rubrica proSabato sul nostro blog.

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VERDI – 21 ottobre 1956 – Dentro la Villa di S. Agata dove Verdi ha lavorato trent’anni, il silenzio è rotto dai maligni geroglifici delle zanzare, due visitatori hanno infilato il cancelletto di uscita in punta dei piedi per non dare la mancia al custode. Ho provato piacere vedendo in un lettera di Verdi un errore di grammatica e in un’altra che dice al suo fattore: nei fondi ben amministrati la paglia e lo strame bisogna farli in casa e non spendere per comperarne. C’è una spinetta cariata e qualche pelo di barba vera rimasto attaccato alla sua maschera di gesso, ma non sento niente di ridicolo o di macabro neppure nei velluti e nelle pergamene commemorative dei comuni italiani che inneggiano al cigno di Busseto. Si prova in mezzo a questo vecchiume solo la soddisfazione infinita, da pianura, di lodare un uomo. Me ne sono andato verso sera dalla bassa parmense lasciando alle mie spalle la polvere dei trattori Fiat e Fahar e galline come tante mezzelune a beccare sulle concimaie fumanti. L’automobile attraversava campagne civili forse viste da Verdi, chissà se c’erano queste siepi di dalie davanti alle abitazioni di contadini che trattengono la luce del giorno fin dopo che le biciclette hanno acceso i fanali. Gruppi di ragazze frantumavano con le zappe frettolose i blocchi di terra troppo grossi smossi dall’aratro, qualcuna si mette i guanti durante il lavoro affinché il ballerino poi non senta ruvide le sue mani. Dopo Parma arrivò il buio e qualche folata di nebbia. Qui nei campi lavorano anche di notte, il motore di un aratro faceva il rumore cupo, non si vedeva né l’aratro né il guidatore, ma i due fanali traballanti. Guadagnano tempo perché le macchine sono poche e la stagione della semina sta per finire. Arriverà tempestiva la pioggia, speriamo, a impastare bene il seme nelle zolle. A Reggio Emilia lo scorso martedì di mercato ho visto degli erpici in vetrina come gioielli. Non sono mai stato tanto a lungo d queste parti, tre mesi di seguito, e ogni contatto mi sembra emblematico. Cerco d’inserirmi negli usi e costumi più comuni, volgari, col rimpianto d’aver tardato ad avere difetti e pregi locali, perciò precipito volentieri nel baratro dei canti e delle bestemmie battendo il tempo sui tavoli delle osterie che hanno alle pareti i calendari dei concimi chimici e il manifesto della chiamata alle armi del 1935. Le donne vibrano come corde alle esclamazioni maschili.

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© Cesare Zavattini, in Straparole, Bompiani 1967


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