Rosetta Loy, Cesare, Einaudi, 2018, pp. 132, € 17,00
È uscito da pochi mesi il volume Cesare di Rosetta Loy dedicato all’opera di Garboli, in cui l’autrice attraversa una parte della saggistica del “critico” legando le pagine edite a brevi e intensi momenti in cui la sua voce si intrecciava alla vita quotidiana. Matteo Marchesini, in una recensione apparsa a settembre su «Radio Radicale» (qui), ha indicato la natura di difficile definizione di questo nuovo libro del tutto slegato da un progetto antologico e, allo stesso tempo, non “intimo” e personale, non biografico in senso stretto. I legami di Garboli con Delfini, Penna e Longhi, i saggi su Pascoli e Molière − per ripercorrere qualcosa di noto −, quelli con la Ginzburg e la Morante tra gli altri (tutti menzionati da Marchesini anche) rendono ciò che è già stato proposto nel caso della prima autrice: un “ritratto a figura intera”. C’è da dire, tuttavia, che Rosetta Loy compie un’operazione necessaria quanto dinamica, dentro l’amalgama dei momenti e fuori dalla struttura del ricordo, memoriale tout court. Non muove affatto verso il tributo: re-impasta invece gli ingredienti fondamentali del lessico garboliano, li ripresenta; fornisce la ricetta “rinnovata” di una voce che si impose con una diversa indole nel proprio panorama intellettuale.
L’interesse rivolto a Garboli ha fatto sì che, negli ultimi anni, uscissero almeno tre volumi che insistono sulla necessità non di riscoprirlo − sarebbe ingenuo − ma di rileggerlo, ri-osservare e ri-comprenderne l’opera seguendo percorsi interni ai suoi scritti che non siano stati considerati prima. Garboli. La critica impossibile è il titolo della raccolta a cura di Silvia Lutzoni con prefazione di Massimo Onofri uscito nel 2014 per i tipi di Medusa mentre, nel 2016, Adelphi ha pubblicato La gioia della partita a cura di Domenico Scarpa e Laura Desideri; in entrambi, anche se considerati i ‘diversi movimenti’ che hanno portato alla loro stesura, si segnalano scritti rari, sparsi, interviste che vanno a ri-popolare la costellazione della più larga Bibliografia di Cesare Garboli edita nel 2008 dalle Edizioni della Scuola Normale Superiore di Pisa.
La direzione sino a qui tracciata permette di considerare il lavoro di Rosetta Loy come imprescindibile dal momento che, nel quadro delle pubblicazioni e ripubblicazioni che tengono conto di articoli “andati perduti”, dimenticati o solo finiti per essere trascurati, mancava un passaggio a fondo nei volumi editi in vita, un passaggio che seguisse una cronologia ragionata e, attraverso essa, proponesse nuove relazioni testuali. Esse si intessono anche guardando e “sentendo” la vita di Garboli, collocandola nel tempo e nelle ragioni del suo lavoro, come Rosetta Loy fa, svolgendo quel compito che Garboli stesso ha insegnato a chi accoglie la sua opera, ossia l’avvicinarsi sempre alla vita, del “critico” (termine che, come sappiamo, non amava affatto attribuire a sé) e degli autori da lui frequentati, per amicizia e per il suo lavoro. Ed è fondamentale, in questo senso, rileggere le lunghe prefazioni ai libri che Garboli fa, riannodando domande e questioni anche a distanza di alcuni anni dalla scrittura. Non un Garboli che glossa sé stesso ma accoglie una nuova possibilità di rielaborazione ‘sopra’ i suoi testi o di allargamento degli orizzonti entro cui gli stessi si muovono.
Non so se si possa sentire la mancanza di un Meridiano dedicato a Cesare Garboli, domanda che non si può fare a meno di porsi leggendo Cesare. Probabilmente, nel rispetto delle intenzioni e delle inclinazioni che Rosetta Loy mette in luce, la risposta sarebbe no, perché pare propria della natura di Garboli − oggi diremmo una natura molto poco mainstream – uscire dagli approcci della tradizione critica per reinventare un proprio approccio alla letteratura, meditando non su come rivoluzionare le cose “nel fuori” ma su come ribaltarle “da dentro”, con cognizione di causa. A proposito delle forme e di una definizione critica di esse è stato Paolo Gervasi in Vita contro letteratura. Cesare Garboli: un’idea della critica (Sossella 2018) a proporre il primo recente studio complessivo sull’opera garboliana, punto d’arrivo anche di un’innovata spinta alla definizione, alla collocazione e alla comprensione dell’opera. Chi oggi scrive considera principalmente il lavoro di Loy e propone quello di Garboli non come un esercizio di critica ma come il tentativo riuscito di cambiare un punto di vista vigente fino a tutti gli anni Sessanta italiani almeno, agendo con la vita sulla parola, con grande passione vitale. L’invenzione garboliana nel senso di “scoperta” è stata quella di muovere dall’interno per modificare la comprensione (esterna) all’occhio di chi legge. Il suo lavoro non è stato perciò esterno-esterno, né di solo aggancio ai testi degli autori come quello di molta altra critica del suo tempo: Garboli ha trovato un altro canale di sperimentazione dentro-fuori del tutto nuovo, che ha probabilmente inciso su molta critica venuta dopo. E la vera differenza l’ha fatta il “suo essere” come persona − verrebbe da dire citando il Gaber di Io come persona −, quell’”essere” che Rosetta Loy soltanto poteva raccontare.
© Alessandra Trevisan