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Goliarda Sapienza, tra Sicilia e continente

Questo testo di Alessandra Trevisan è frutto dell’elaborazione di quanto espresso durante la conferenza omonima all’interno della rassegna © «Ottobre poetico 2017» curata da Fabio Michieli per il Comune di Cavallino-Treporti (VE).

L’aver intrapreso lo studio dei testi di Goliarda Sapienza, che prosegue da oltre sei anni, ha molto mutato il mio approccio critico antecedente. Va da sé che tutto il lavoro svolto sinora proprio su «Poetarum Silva», insieme a Fabio Michieli (che qui si è occupato dell’autrice) e a tutta la redazione, ha modificato, nel tempo, il mio modo di scrivere. La ragione per la quale ho scelto quest’autrice molto diversa da me è triplice; Goliarda Sapienza mi ha messa ‘in crisi’ sin dalla prima lettura de L’arte della gioia, e posso dir d’aver iniziato da subito insieme a Fabio a leggere i suoi libri e la critica prodotta su di lei. Era il 2010. In quel momento c’era una grande attenzione da parte del pubblico ma anche da parte dell’accademia nei confronti delle sue opere; si stavano iniziando a pubblicare i volumi postumi di cui dopo parlerò. Quando parlo di “crisi” intendo che non ho trovato, da subito in Sapienza, un’appartenenza; c’è voluto del tempo per individuare quegli elementi critici che mi spingevano verso di lei con passione. Spesso nel mondo della critica la sovrapposizione tra biografia e letteratura ha portato a un’identificazione critico-autore che io invece non sentivo. L’attrazione nei suoi confronti non mi era del tutto comprensibile rispetto a quella che avrei potuto nutrire per altre scrittrici. Poi ho capito che il suo coraggio intellettuale è stato un grande motore per me: il coraggio di essere schietta, di dire ciò che ha detto senza badare alle conseguenze. Ciò mi è servito in Una voce intertestuale: riuscire ad evidenziare punti d’interesse trascurati, nodi di cui non si era occupato nessuno, fornendo anche nuove interpretazioni dei testi. Ma il suo coraggio è stato soprattutto “vitale”, come lo è quello da lei trasmesso nell’arte attoriale. La sua fu un’esposizione artistica dal vivo, cosa che riguarda anche la mia vita come cantante e sperimentatrice vocale.

Un terzo aspetto che si è rivelato sin da subito nella sua opera è quello della ‘realtà’; mi è sempre sembrata un’autrice lontana dall’immaginazione. Tutto ciò che ha scritto è fortemente autobiografico ed è vero; c’è poca mediazione tra il vissuto e il narrato. Poi, negli anni, credo d’aver assunto una posizione ambivalente rispetto a questo nodo – una parte della critica odierna tenta una continua attinenza tra biografia e critica, non sempre appropriata secondo me. Eppure, questo continuo sguardo sulla realtà ha trovato significato anche nel mio fare artistico personale, nel mio modo di scrivere e fare musica, secondo diverse forme. La voce, in effetti, che ho posto la centro come “tema” della monografia per La Vita Felice, non solo mi riguarda ma è un aspetto cruciale per leggere Sapienza.

Nell’affrontare la proposta “tra Sicilia e continente” – rispetto ad altre studiose tengo a precisare che non mi sono mai davvero occupata dei luoghi – si può avere un punto d’inizio complesso, che tocca diversi livelli di difficoltà che tenterò di sviscerare.

Partendo da tre parole chiave tracciamo il percorso nella proposta; esse sono: paesaggio, luogo e spazio.

Il «paesaggio» riguarda qualcosa che ha a che fare con la geografia secondo l’Enciclopedia Treccani, anche se esiste il paesaggio interiore che pure c’è in Sapienza. «Luogo» fa riferimento a una “parte dello spazio limitata”, talvolta legato “all’anima” di chi lo vive. Lo «spazio» è definito come “luogo indefinito e illimitato” ma è anche il limite entro il quale avviene, per Sapienza, ‘un’esperienza’, come quelle del palcoscenico e del cinema, e come quella del carcere, spazi pregnanti per il suo ‘essere’. Ritengo che il rapporto con la terra natìa, la Sicilia, e con le città riguardi mno l’ambito dello “spazio” e più il “luogo” Vedremo come.

La tensione che c’è tra queste tre parole chiave sarà governata dal punto di vista tematico e biografico.

È molto complesso occuparsi di Goliarda Sapienza senza seguire il filo della sua biografia, soprattutto guardare ai testi postumi, salvo L’arte della gioia − di cui mi sono occupata poco. Goliarda Sapienza rivela sempre delle sorprese di lettura in lettura, dal momento che “si rivela” anche negli interstizi della sua stessa scrittura. È un’autrice complessa anche se la comunicabilità sembra essere la sua bandiera; un’autrice in cui si sente forte una posizione politica anarchica che, negli anni, le farà assumere delle pose stilistico-tematiche molto diverse.

Se si pensa alla Sicilia de L’arte della gioia, il grande romanzo, si noterà adesso, a cinque anni dalla pubblicazione della raccolta poetica Ancestrale (La Vita Felice 2013), come quella terra sia già tutta nei versi. Questo lo affermano Fabio Michieli e Anna Toscano nei loro testi critici. Così nei racconti di Destino coatto – in una parte di essi – c’è quella «Sicilia ferace» per dirla con Adele Cambria; c’è un rapporto con la terra, con i suoi colori, con la botanica, con il mito e con molto altro, com’è in una certa tradizione letteraria del meridione. Eppure, dal punto di vista poetico, lei resta una voce isolata rispetto ad autori affermati negli anni Cinquanta tra cui, ad esempio, Salvatore Quasimodo, che pare – secondo Fabio Michieli, con un’opinione condivisa da me – essere voce distante da Sapienza. Esiste un’affinità stilistica con Rocco Scotellaro e con Vittorio Bodini; è un ‘certo modo’ quello con cui Sapienza si pone nel panorama a lei coevo, in termini più “letterari” che geografici. Il suo utilizzo di colori sarebbe un “cromatismo simbolico” (Fabio Michieli) in grado di contenere non solo l’immaginario ma anche il versante psicanalitico, ad esempio. Tutti gli elementi che riguardano la morte in Ancestrale – «canzoniere in morte» per Sapienza, iniziato il 5 febbraio ’53, dopo lascomparsa della madre Maria Giudice – si legano al colore bianco e ai fiori e frutti di una terra lasciata alle spalle: sono il gelsomino e il mandorlo.

Il suo rapporto con la terra e con la lingua sarà fortissimo (anche nelle poesie siciliane) e distaccato al tempo stesso; c’è nel territorio siciliano una presenza della madre e del padre di cui ci si deve liberare. Così sarà vero anche nei romanzi Garzanti, Lettera aperta (1967) e Il filo del mezzogiorno (1969), in cui si segue un itinerario in due tappe al fine di “uscire dalla Sicilia infantile”. Nel primo volume si traccia la vicenda della famiglia anarco-socialista con riferimenti forti alla Sicilia fascista in cui Sapienza è cresciuta, nella Catania degli anni Venti e Trenta; qui la morte, soprattutto quella del padre – che avverrà nel 1949 – è centrale. Lunghi i flashback e il recupero di una ‘memoria estrema’ che deve essere fissata per riuscire a emancipare l’outsider Sapienza. Nel secondo volume, il luogo diventa spazio, a mio avviso; siamo in un set psicanalitico stretto, claustrofobico. La Sicilia è rievocata attraverso i suoi sogni e nel dialogo con Ignazio Majore, il dottore che la curò realmente nei primi anni Sessanta dopo gli elettroshock subìti. Il luogo-Sicilia ritorna attraverso lo spazio psicanalitico secondo uno stile ellittico; il lettore sente di essere dentro quella ‘cattiva terapia’, dentro la revisione del passaggio alla vita adulta dopo la morte della madre. Così, la sua terapia diventa scrittura, come sarà anche per – tra tanti e altrove – Anne Sexton. Il loro rapporto con la loro contemporaneità è distante eppure analogo.

La psicanalisi e il sogno come elementi trainanti fino al ‘69 sono già in Destino coatto – la raccolta di racconti uscita postuma nel 2002 per Empirìa – e in La rivolta dei fratelli, pièce del 1969 − anche se l’ambientazione non è siciliana.

La prima fase della produzione della nostra vede, perciò, queste opere importanti per il diagramma ‘paesaggio-luogo-spazio’.

L’altro spazio significante, prima della scrittura, resterà sempre il palcoscenico, da cui il suo iter artistico inizia. Questa tesi, tra ‘corpo teatrale’ e ‘corpo letterario’, la sostengo da diversi anni. I due ambiti di movimento sono strettamente connessi; il secondo dipende dal primo: si tratta di un’esperienza diretta con la parola pronunciata, lo stare sulla scena, la teatralità. Così ‘realtà vs. immaginazione’: l’attrice non interpreta se stessa e si misura, in un secondo tempo, con una forma d’arte che pone la possibilità di mettere in gioco il ‘fingere di sé’. Un’‘occasione particolare’, nel travaso da un’arte all’altra.

Già nelle prime opere di Sapienza è fondamentale la costruzione identitaria di cui molta critica ha trattato, soprattutto – dal mio punto di vista – considerando la pura autobiografia. Il problema della costruzione dell’identità resta importante anche per molta critica odierna. Lo stesso «sperimentare» nell’incipit di Lettera aperta riguarderebbe l’arte della recitazione e arriva fino alla psicanalisi, per poi trasferirsi in un’altra sé completamente d’invenzione: la Modesta dell’Arte della gioia. Lo spartiacque, dunque, saranno gli anni Settanta: il momento in cui ideologia e storia sono poste al centro di un discorso più ampio.

Il rapporto con la lingua siciliana – è stato già evidenziato – sarà d’interesse nei romanzi Garzanti mentre il legame con le città è proprio dei racconti di Destino coatto e sarà pregnante nei Taccuini postumi oltre che in Io, Jean Gabin (risalente al 1979) e Appuntamento a Positano (scritto nel 1984).

Città simbolo (o “città mondo”) sarà soprattutto Roma ma, tra anni Settanta e Ottanta, anche Catania e la costiera amalfitana torneranno spesso – nel prima e dopo Rebibbia. Molta Roma borghese è presente, tra anni Cinquanta e Sessanta, a Positano; come nel caso de L’arte della gioia, si verifica una lettura “tra Sicilia e continente”: infatti Positano è il luogo da cui scorciare il presente a partire da un’altra angolatura – dalla ‘giusta distanza’. Quello (1984) sarà un periodo di revisione della relazione con Maselli, col PCI, col mestiere d’attrice, e di molto altro. In questo romanzo ritroviamo un’autrice ‘critica’ con la vita del ventennio precedente. Lo sguardo periferico sarà di tutti gli anni Ottanta e già risale all’incarcerazione del 1980, quando si osserva la città di Roma da una cella. Gli anni Ottanta, diversamente dal prima, vedranno al centro un continuo tentativo di abbandonare il ventre materno, che inizia già con il romanzo dedicato a Gabin; lì, oltre a questo tema, troviamo anche un’analisi acuta della situazione politica europea di fine anni Settanta e degli anni di piombo ma anche una Catania diversa rispetto a quella dei primi romanzi. La città sarà pretestuale all’affermazione di un’idea anarchica radicata, già espressa – secondo altri termini – nel “grande romanzo” antecedente.

Da dopo Io, Jean Gabin, Sapienza si è sentita una straniera in patria; la Roma di Cinecittà si è esaurita e si sta trasformando. Ha preso il suo posto una Roma che è simile a quella violenta che Goffredo Parise descriverà nel racconto omonimo contenuto nel Sillabario n. 2. Rispetto ai “territori emotivi” dei decenni precedenti, il suo rapporto con il mondo è cambiato per sempre.

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© Alessandra Trevisan 

Questo intervento non riporta − volutamente − i riferimenti saggistici che desidero citare qui:
Bazzoni, Alberica, Writing for Freedom. Body, Identity and Power in Goliarda Sapienza’s Narrative, Peter Lang, 2018
Bazzoni, Alberica, Bond, Emma, Wehling-Giorgi, Katrin (a c. di), Goliarda Sapienza in context, con interventi critici di M. Andrigo; A. Bella; A. Di Rollo, M. Farnetti, L. Ferro, E. Gobbato, L. Fortini, M. Hernández González, M. Morelli, G. Polizzi, C. Ross, A. Bazzoni, E. Bond e K. Wehling-Giorgi, Farleigh Dickinson University Press, 2016
Farnetti, Monica (a c. di), Appassionata Sapienza, con interventi critici di M. Vigorita, L. Rotondo, L. Cardone, E. Gobbato, A. Pellegrino, M. Farnetti, L. Fortini, M. Fraire, C. Barbarulli, G. Ortu, Milano, La Tartaruga, 2011
Le Piane, Fausta Genziana, La Meraviglia è Nemica della Prudenza
invito alla lettura de “L’arte della gioia” di Goliarda Sapienza,
Ragusa, Edizioni EventualMente, 2012
Providenti, Giovanna, La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza, Catania, Villaggio Maori Edizioni, 2010
Ead. (a c. di), «Quel sogno d’essere» di Goliarda Sapienza. Percorsi critici su una delle maggiori autrici del Novecento italiano, con interventi critici di A. Bazzoni, A. Trevisan, A. Cagnolati, T. Maffei, N. Castagné, T. Rodigari, M. B. Hernández González, M. Andrigo, A. Langiano, M. Arena, M. Martín Clavijo, A. Gensabella, A. Toscano, A. Coppola, C. Ross, M. T. Maenza, A. Carta, E. Gobbato, G. Fasolo, G. Providenti, Roma, Aracne, 2012
Ead., La porta della gioia, Roma, Nova Delphi, 2016
Pellegrino, Angelo Maria, Goliarda Sapienza, telle que je l’ai connue, Paris, Éditions Le Tripode, 2015
Rizzarelli, Maria, Goliarda Sapienza. Gli spazi della libertà, il tempo della gioia, Roma, Carocci editore, 2018
Toscano, Anna, Michieli, Fabio, Trevisan, Alessandra, Voce di donna. Voce di Goliarda Sapienza, Milano, La Vita Felice, 2016
Trevisan, Alessandra, Goliarda Sapienza: una voce intertstuale (1996-2016), ivi, 2016

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