1.
Bisogna che io parli di Samir. Non perché mi piaccia farlo – piuttosto perché è necessario per capire. Questo è il suo ventunesimo viaggio: sulla tratta Taranto-Milano è ormai un habitué il cui curriculum conta otto fermi, due arresti, quattro notti in galera e un pestaggio serio. Il viaggio, anche questo, è stato la solita traversata che non finisce mai. Sono partiti da Taranto alle sei di mattina, quand’era ancora buio, il treno polveroso e semideserto come piace a lui, i soliti, lui Farid e Ahmed, hanno spanato subito i sedili tolto le scarpe si sono buttati a dormire, ma coi trolley agganciati al gomito casomai qualcuno al volo non si sa mai; tutto tranquillo per un po’, a Barletta è iniziata a salire un po’ di gente, ma quando si affacciano nello scompartimento subito richiudono la porta e rimangono nel corridoio a sbuffare e brontolare ancora intontiti nel mezzo sonno, solo che poi però a Foggia guarda caso è salita la polizia per un controllo, loro sono scattati via subito ma poco da fare, Ahmed l’hanno preso e gli hanno tolto il trolley, e allora ad Ahmed gli è venuta una crisi di quelle brutte, s’è messo a lottare coi due agenti per non farsi portare via il trolley, ha paura di Tonio Corvetto, Samir l’ha capito, come dargli torto, poi Ahmed è un fratello e la sua paura di Corvetto del tutto comprensibile ma tanto ormai è andata così, che combatti a fare, tanto il trolley non te lo lasceranno mai tenere, non ha senso opporre resistenza, tanto vale evitare di farsi pestare; invece Ahmed l’hanno addirittura dovuto ammanettare e ancora lui si rotolava per terra e si divincolava come un pazzo o una bestia, con la maglia strappata e il busto magro tenuto a fatica dai poliziotti e urlava a squarciagola: “Avvocatoooooooo! Avvocatoooooooo! Voglio mio avvocatoooooooo!”, giacché nei film che vedeva aveva capito che quando gli sbirri ti mettono le mani addosso bisogna dire così, e tutti gli spettatori affacciati sui finestrini e la banchina a godersi la scena, ché mica succede tutti i giorni di vedere un corriere negro che viene arrestato con un trolley pieno di roba e gli prende un attacco di panico di quelli brutti, violenti, Ahmed continuava a divincolarsi e a strillare, se prima forse no adesso è proprio sicuro che lo portano in centrale a Foggia e lo pestano di brutto, è stato stupido da parte sua. Dai finestrini di un altro scompartimento Samir e Farid l’hanno guardato anche loro come tutti trascinato via per i gomiti lungo la banchina della stazione, hanno fatto finta di non conoscerlo, Samir è un po’ intristito ma come dice Farid – è colpa sua, se non si faceva prendere dal panico gli toglievano il trolley ma non l’arrestavano, si è fatto prendere dal panico, non dovrebbe succedere ma succede, che vuoi farci – Ahmed è fatto così, non è colpa di nessuno, forse abbiamo fatto male a svaccarci a quel modo sui sedili, forse è stato qualcuno dei pendolari a dirlo al controllore e quello ha chiamato la polfer, ma è andata così ormai e proseguiamo. Da lì in poi, pure con la macerazione e il caldo e la noia e l’ansia e il rap messo su da Farid tutto è andato nel modo più tranquillo fino a Milano. Ed è qui, a questo punto, nel crepuscolo di un caldissimo, crudele pomeriggio autunnale, appena sceso da un intercity gremito, quando lascia il trolley a Farid e gli dà appuntamento un’ora dopo al Tobbler perché ora “ho da fare una cosa” – sotto i faraonici capannoni della Centrale e poi nella piazza prospiciente lunare e livida nella luce troppo bianca dove già è iniziato, a brevi scatti nervosi, lo spaccio d’eroina – che decidiamo su di lui lo sguardo.
2.
Ruggerino lo aspetta come di consueto accanto all’area posteggio dei taxi con la golf grigia inutilmente accesa – fa caldo, ha una camicia azzurrina a maniche corte, la fronte lucida, il sorriso pronto. Ci sono state volte in passato in cui Ruggerino era andato a prenderlo con l’auto blu, guidata da lui – allora si faceva chiamare solo col cognome, Palombi, poi col tempo era venuto prima il nome di battesimo e poi addirittura il diminutivo, prerogativa degli amici. Ma i tempi sono cambiati, c’è stata la casta e gli scandali e le gogne e le dimissioni per infinitamente meno, nel partito avevano inaugurato la linea dura tolleranza zero, allerta totale, chi fa uno sgarro anche minimo è fuori e se ha qualche carica si dimette seduta stante, condotta morale inflessibile, totale trasparenza, conti spese online; alcuni ci avevano messo un po’ ad abituarsi, ma fatto sta che ora Ruggerino lo va a prendere con la golf della moglie e non si veste neanche da politico, se porta la giacca non porta la camicia e viceversa, la cravatta poi mai per nessun motivo “ché comunque attira sempre l’attenzione”.
“Ha fatto ritardo il treno?” chiede a Samir già dal finestrino, con quel suo modo meridionale di mettere il soggetto alla fine della frase. Entra nella macchina che ha il buon profumo delle donne del nord, disordinate ed efficienti.
“Sì, è successo un casino a Foggia”.
“Ah sì? Che casino?”.
“Niente, hanno preso uno” dice Samir mentre Ruggerino mette in moto e imbocca via Scarlatti. Mezz’ora dopo sono a Gorla, parcheggiati vicino alla Martesana e Samir ha il cazzo di Ruggerino in bocca, gonfio e duro, viscido di saliva. Chino su di lui, sente sulla narice i peli del pube odorosi di sudore. Si chiede vagamente – bisogna pure che pensi a qualcosa – si chiede che succederebbe se passasse qualcuno lì davanti – c’è la pista ciclabile, e non è poi così tardi – e li vedesse, lo vedesse, Ruggerino, con gli occhi appannati come una bestia intenta alla minzione. Sente la sua mano sulla testa, a imprimergli il ritmo dello stantuffo, con l’esattezza di un pendolo che però ora si affanna e si trafela accelerando, perdendo grazia, col respiro raschiato, i testicoli contratti. Gli ricorda, quella mano sulla testa, quella pressione, che quello non è un rapporto libero, che la gerarchia è ben definita. In quella pressione padronale, da sensale benevolo, c’è tutto il vuoto che separa il povero dal ricco, il servo dal signore; quella morbida ma autorevole pressione è una pacca non sull’individuo che sta succhiando il cazzo bensì sul meccanismo che lo permette, l’ingranaggio che colloca entrambi nei loro ruoli. Nonostante ogni tanto quella mano si soffermi per una rapida carezza fra i ricci, a mimare un affetto, nonostante le apparenze di una qualche forma dell’amore, è bene non scordarsi che c’è sempre uno che succhia il cazzo e l’altro che lo tiene giù con la mano, e questo è incontestabile: Ruggerino gli sborra amaro nella gola, vischioso come colla fresca o resina, Samir ingoia rapido per non tossire, si ripulisce col dorso della mano, si tira su e mentre l’altro ancora sospira usa la bottiglietta appoggiata sul cruscotto per sciacquarsi la bocca, sputa nel buio fuori dal finestrino più lontano che gli riesce.
“Sarà un’estate caldissima”, dice Ruggerino. Samir non sa che rispondere e quindi dice: “Sì”. Ruggerino si ripulisce con un fazzolettino che poi appallottola e butta fuori dal finestrino aperto. Samir mette le mani in tasca e giocherella con le dita sul telefonino, a tentoni sui tasti come un cieco. Passa una ragazza in bicicletta, un gatto stride, forse è in calore.
“Allora per l’11 dovete essere almeno una trentina” dice Ruggerino.
“Tranquillo ché te ne porto quaranta come minimo” risponde Samir sorpreso di sentirsi rompere dal petto la normale voce di sempre. “Te la facciamo noi la manifestazione, tranquillo”.
“Ma lo so, lo so che tu sei una sicurezza Samir. Ah, prima che me ne scordi” – si sporge e prende dal cruscotto una busta e gliela porge – “Questo è il forfettario del partito, distribuisci ai tuoi amici, decidi tu le parti come credi, insomma vedi tu. Ci ho messo qualcosina in più, quello è per te”.
“Grazie”.
“Macché scherzi, sei tu che mi fai un favore. Però mi raccomando eh, ché se siete meno di trenta mi fai fare una figura di merda”.
“Ma te l’ho detto devi stare tranquillo, ti ho detto me la vedo io e me la vedo io. Quando vedrai quanta gente ti porto a quelli del partito glielo dovrai dire: Samir è uno con due palle così”.
“Bravo, bravo. Allora ci vediamo direttamente l’11”.
“Sì, sì, certo”.
“Poi lì ci sarà un baracchino, una tenda, capito, vi daranno le bandiere, gli striscioni, tutte quelle cazzatine lì”.
“E i portachiavi, bro”.
“Come?”.
“Ci danno pure i portachiavi?”.
“Certo, certo, pure i portachiavi”.
Samir ride. “Ci pensi se una volta ti registro, bro? Così poi ti posso ricattare”.
Lo sguardo di Ruggerino scatta da morto in vivo in un attimo, gli occhi gli si posano addosso col terrore di una bestia accecata dai fari di un’auto al centro di una strada. Ma è un attimo: Samir scoppia a ridere, Ruggerino anche – “Stronzo, mi hai fatto spaventare” gli dice e gli accarezza lo zigomo col pollice, come un pittore che stempera il tratto di un disegno – “Dove vai adesso? Ti accompagno”.
3.
Si fa lasciare nei pressi del Tobbler, dove ha appuntamento, in via Pezzotti, ci sono gli altri fuori dal club: parlano così forte che li si sente fin dall’inizio della strada. Ovviamente è Rayan, si sente solo la sua voce, sicuro s’è già fatto qualche botta, anche se comunque è ancora presto. Fuori c’è una ragazza che vomita fra due auto parcheggiate e un’altra accanto che la guarda e ride con il suono di un cane che raspa contro una porta – lì davanti la chiesa ha una croce che svetta alta nella notte azzurra, splende acida l’insegna dell’Esselunga, tra le erbacce tiepide passa ogni tanto il 15 pieno di fantasmi – sosta qualche secondo poi col suo frullo stanco precipita verso Milano sud: Cermenate, Volvinio, Abbiategrasso, sempre più giù: Missaglia, Gratosoglio, Rozzano. Rayan sta come al solito intrattenendo un gruppetto di cinque o sei spacciatori, ci sono anche Farid e Karim, salutano Samir senza parlare, con le mani, perché Rayan se lo interrompi s’incazza. La pozza di vomito ha iniziato a puzzare, la ragazza si è seduta sul marciapiede con la schiena contro un’auto e fissa il vuoto, l’altra è scomparsa. Dall’interno della disco viene un tonfo ovattato, un bagliore violetto. Il monologo di Rayan si ferma solo quando s’avvicina qualcuno a chiedere una palletta o una striscia, ma non è che smetta di parlare, no, tiene il discorso in folle, sosta sugli intercalare finché dura lo scambio, lascia l’argomento fermo ma acceso e poi riparte fluido: “Vi dico queste cose perché le ho viste, eh, mica me le invento, vi faccio un favore cazzo a raccontarvele, che ve lo dico a fare – insomma vi dicevo: c’è questo cinese a Gabrio Rosa che ha ucciso un tizio, ma una cazzata eh, niente di serio, tipo che quello gli aveva insultato la sorella, o il cellulare, ora non mi ricordo, insomma fatto sta che com’è come non è quello una sera gli ha tagliato la gola davanti a un bar. Tu li vedi buoni buoni questi cinesi ma invece col cazzo, questi che stanno a Corvetto poi non c’hanno un cazzo nella testa, ma fin qui ancora niente, sapete poi cos’ha fatto il tizio?” – arriva un ragazzo per comprare del popper – “Non ci potete credere, vi giuro, non ci potete credere, è una roba troppo assurda, se ve lo dico voi non ci credete” – intanto il tizio dà i soldi prende la roba si allontana – “Se l’è mangiato! Signoreddiosanto vi giuro se l’è mangiato! L’ha fatto a pezzi e se l’è mangiato, porcodio!”.
“Non bestemmiare, cazzo” dice Omar che a differenza di loro altri che sono tutti musulmani lui è cristiano evangelico. “E comunque”, aggiunge, “questa è una cazzata, è una storia che hai sentito dire. È la storia dei cinesi che quando muoiono li mettono nella pappa dei ristoranti, è la stessa storia però rifatta come se fosse una cosa di negri”.
“Che c’entrano i negri, bro, ti ho detto che sono cinesi”.
“So’ cinegri” dice Karim per far ridere però nessuno ride. Rayan ammutolisce e rimugina fra sé e sé e non parla più così ora è Omar che prende la parola e racconta della ragazzina che due sere prima avevano violentato a Parco Nord, stavolta la storia è vera, anche Samir l’ha saputo perché la storia è finita sui giornali e la polizia ha fatto i rastrellamenti veri, la ragazza era scesa da Monza col suo ragazzo a cercarsi l’eroina a due euro solo poi che il ragazzo arrivati lì le ha detto vai tu che io ti aspetto qua, e quella era talmente a rota che ci è andata da sola, e due negri se la sono inculata contro un albero prima uno poi l’altro. La roba però gliel’hanno data lo stesso, gratis, se ci vai a parlare sono convinti che sia stata un’equa trattativa. No macché somali, nigeriani, nigeriani cattivi, animali sono quelli: animali. Il cazzo grosso come l’avambraccio – “Io ce l’ho grosso sì però cazzo non così grosso”.
Decidono che hanno fame, Karim viene mandato a comprare i kebab da Yosef in via Brioschi, mangiano in piedi con la schiena contro le macchine in fila davanti all’ingresso della disco, quando i ragazzi vengono a comprare la roba Rayan si esibisce nel numero della mano, riesce cioè a fare lo scambio – strappare la dose, contare i soldi – con una sola mano, col cartoccio del kebab nell’altra, è una sua specialità, ha proprio un talento nel fare le cose con una mano sola, nessuno come lui. Mentre mangiano è il turno di Farid che racconta di Stepan, un egiziano di comune conoscenza che sta a Maciachini e non si sa come è riuscito ad avere l’ultimo iphone prima che uscisse nei negozi.
Stepan spaccia fumo agli studenti in Bovisa e ogni tanto fa certi maldestrissimi scippi in metro; si vocifera però che faccia l’attore porno, avendo in dotazione un casso grosso ma proprio grosso grossissimo, voce che questo pettegolezzo dell’iphone sembra supportare, ché sennò come te lo spieghi l’iphone in anteprima, anche se poi il nesso tra il mondo della pornografia e l’iphone in anteprima resta oscuro, ma nessuno lo dice: Farid l’ha affermato con una certa sicurezza, e va bene così. Nel frattempo scoppia una rissa fra certi tizi fuori dal Tobbler e il buttafuori, un tizio nuovo, uno di Lodi, è il naturale seguito della prima rissa, avvenuta un’ora prima, tutto si è svolto secondo la consueta procedura: qualcuno su di giri insulta il buttafuori, il buttafuori lo pesta, il pestato va a chiamare gli amici, gli amici tornano armati di spranghe e bastoni e a loro volta pestano il buttafuori; il giorno dopo il buttafuori lo dice ai compagni d’agenzia o di palestra e nel giro di una settimana rintracciano i tizi e li pestano così forte da chiudere il ciclo fino all’episodio successivo, con altri interpreti, tutto si svolge sempre identico, con variazioni minime, come un numero di repertorio. Qui siamo allo stadio intermedio, spranghe-e-bastoni: fuori dalla disco si crea un capannello di gente divertita, sono già tutti fatti o ubriachi, e anche loro si fermano a guardare, limitandosi a qualche incitamento. Quando il buttafuori è riverso sul marciapiede intontito e zuppo di sangue Rayan gli porta un bicchiere d’acqua e gli raccoglie il cellulare schizzato via poco lontano.
Poi telefona Corvetto a Samir e gli dice che servono tre persone per fare uno sgombero di scantinati a via Padova, Karim ha la macchina, decidono di andare oltre a Karim e Samir anche Farid, ché Rayan e gli altri devono fare nottata. “Devo alzarne almeno altri duecento oggi, sennò non ci sto dentro”, dice, e inizia la sua imitazione del milanese tipico: “Figa fatturato figa fatturato” continua a ripetere come un belato. Samir e gli altri si mettono in macchina, Farid propone di rapinare quei due ragazzetti ubriachi nel sottopasso di Tibaldi, facile facile veloce e senza sangue, ma non c’è tempo.
© Fabrizio Sinisi; a domani per il secondo e ultimo episodio.