Notte del 20-21 marzo 2001
equinozio di primavera
Silvia, Silvia là sul confine
quasi aspra, quasi
imperterrita, sentendo
nel primo farsi della giovinezza
autodisfarsi il tuo corpo,
che non è corpo, che non è luogo,
che non è stasi, ridominio ma
collocazione di stoico muto furore
. muta, innocente impossibile indifferenza –
. tu che ti sentivi progettata – ecco –
. in altre “lingue”, in altre strutturazioni
. di te, che non possono in alcun modo ferire
. perché tutto in te “avrebbe” fine con te
. ma non l’ha
. a tutto opponi la lingua ungherese
. una muraglia ungherese perfetta e priva
. d’ogni superbia ma vettore
. interminabile d’estraneità
. alle lingue, al mondo, alla breve
. fessura di questa che vita diciamo
. e non lo è che in parte, autodeterminandosi
. oscure, schiamanti, taglienti tessuti di lingua ungheresi
. ti sostengono, seguono, inseguono e tu
. a noi lasci il tuo indicibile
. segnale di tremenda energia
. il tuo sguardo sfidante innocente
. l’estremo luccichio della tua mente
. che laggiù nuota verso i canneti dell’ungherese
. e in esso ci abbandona ma
. non più abbandonandoci perché è già eternità –
. nel senso di inconoscibilità di maschera
. più luminosa che lo stesso tuo lago nel suo
. momento che di fresco-sereno domani
. fu da te dominato e suadente qual frutto
. maturo e inconoscibile, illinguibile, tu
. “Jó estét, kisasszoni!”
. mi risuoni di ricordi
. lontani di lontananze
. di mia madre lassù
. verso il tuo lago
. ossequiata da ungheresi invasori.
.
© Andrea Zanzotto, Conglomerati, Mondadori, 2009
Una replica a “I poeti della domenica #111: Andrea Zanzotto, “Silvia, Silvia…””
che bella!
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