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«And love finds a voice of some sort». Omosessualità e (auto)censura nella letteratura inglese e francese (1870-1930)

«And love finds a voice of some sort». Omosessualità e (auto)censura nella letteratura inglese e francese (1870-1930)
Carocci editore, 2020
Nota di Paola Deplano

L’amore che non osa dire il suo nome, il peccato muto, il vizio innominabile dei Greci: tutti modi di dire non dicendo un amore come un altro, quello tra persone dello stesso sesso. Il dire non dicendo tipico del passaggio fra Ottocento e Novecento, in cui l’omosessualità era osteggiata dalla morale dominante e punita dalla legge, ma che pure – parafrasando Galilei – si muoveva, naturale come l’amore, nella società dell’epoca. Del resto, non se la passavano molto meglio neanche le opere in cui si dava spessore carnale agli amori eterosessuali: fu accusata di pornografia persino la poesia Nuptial Sleep di Dante Gabriel Rossetti, che descrive in termini più romantici che boccacceschi il risveglio dopo una “normale” prima notte di nozze di un “normale” matrimonio di una “normale” coppia formata da un uomo e da una donna. Come si vede, la censura del periodo vittoriano e edoardiano si abbatteva su qualsiasi scritto osasse descrivere passioni che per il solo fatto di essere “passioni” si trovavano automaticamente ad essere etichettate come “proibite”.
È proprio tale complesso intrecciarsi fra detto e non detto nella letteratura tra i due secoli che viene illustrato nel libro «And love finds a voice of some sort». Omosessualità e (auto)censura nella letteratura inglese e francese (1870-1930), edito da Carocci e curato dal professor Michele Stanco, docente di Letteratura Inglese all’Università Federico II di Napoli. Questo saggio si propone d’indagare, attraverso una serie di contributi di vari studiosi, i meccanismi di censura e di autocensura di alcuni scrittori che hanno pubblicato opere sull’amore fra due persone dello stesso sesso.
L’idea del volume è nata da un seminario sulla censura nella letteratura inglese e francese fra Ottocento e Novecento rivolto agli studenti dell’Università Federico II di Napoli. Durante i lavori è emerso che gli studiosi chiamati a parlare avevano tutti approfondito autori omosessuali ed è quindi sorto spontaneo il desiderio di indagare ancora più dettagliatamente il legame fra l’amore “muto” per definizione e la sua censura, sia interiore che esteriore.
Senza tanti giri di parole, ne è uscito un bel libro, un libro bello innanzitutto perché, come avrebbe detto Oscar Wilde (a cui sarebbe piaciuto un sacco) è “scritto bene”. Per scritto bene si intende non solo sul piano dell’accuratezza formale, ma anche la chiarezza nell’esporre i concetti che s’intendono veicolare al lettore. È scritto bene perché gli autori sono cinque, ma parlano, grazie all’accorta curatela del professor Stanco, una stessa voce. Si intravede tra le righe un continuo lavoro di squadra, nutrito da un costante confronto tra uno studioso e l’altro, tutti concordi nella tesi che più la società e l’autore stesso censuravano l’amore omosessuale, più la sua descrizione, velata o meno, si ritrovava nelle pagine di molte opere d’arte del tempo. È scritto bene perché si fonda su una conoscenza puntigliosa e accurata del periodo e degli autori proposti, muovendosi non solo tra le loro opere e biografie, ma anche nei meandri della loro psicologia e tra i faldoni delle leggi proibizioniste che cercavano in ogni modo di conculcare la loro espressione artistica e umana.
Più nello specifico, la struttura dell’opera è chiara e fruibile a chiunque, non solo agli esperti di letteratura inglese e francese. Dopo l’introduzione e il primo saggio su Oscar Wilde, scritti da Michele Stanco, si succedono contributi altrettanto interessanti: Paola Di Gennaro ci parla della cosiddetta “poesia uraniana”, Aureliana Natale della letteratura pornografica nell’età vittoriana, Raffaella Antinucci di Maurice di Forster, Tiziano Mario Pellicanò di Proust. Come si vede, si alternano aspetti finora poco indagati della letteratura con i grandi nomi universalmente riconosciuti come pilastri della letteratura stessa e tutto ciò, è bene ribadirlo, con una rara ed encomiabile capacità di coniugare l’erudizione ad una esposizione chiara, brillante e mai noiosa.
And love finds a voice of some sort è un libro che ci fa entrare nel pozzo della solitudine di scrittori che hanno avuto la sola colpa di nascere in anticipo rispetto a un mondo che li rifiutava. Eppure, nonostante i divieti, l’ostracismo, le punizioni esemplari, questi artisti non rinunciavano ad esprimere sé stessi e a lottare, coi mezzi e le forze che l’epoca consentiva, per raggiungere la serenità e la pace che qualsiasi essere umano merita. Symonds, in una sua lettera, disse: «Continuerò a scrivere perché sono certo di amare, a modo mio, e l’amore trova sempre una sua voce, di un qualche tipo.” Una voce che il saggio curato da Michele Stanco fa risuonare nel nostro presente con tutto il suo carico di vergogna e di dolore, ma anche di ostinata speranza in “un anno più felice» (questo?).

© Paola Deplano

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