In una poesia – in ogni poesia – si scopre sempre un verso capace di imprimersi nella mente del lettore con particolare singolarità e immediatezza. Pur amando una poesia nella sua totalità, il lettore troverà un verso cui si legherà la sua coscienza e che lo accompagnerà nella memoria; il verso sarà soggettivato e anche quando la percezione della poesia cambierà nel tempo, la memoria del verso ne resterà quasi immutata (o almeno si spera). Pertanto nel nostro contenitore mentale conserviamo tanti versi, estrapolati da poesie lette in precedenza, riportati, con un meccanismo proustiano, alla superficie attraverso un gesto, un profumo, un sapore, contribuendo in tal senso a far emergere il momento epifanico per eccellenza.
Perché ispirarsi alle bustine di zucchero? Nei bar è ormai abitudine zuccherare un caffè con le bustine monodose che riportano spesso una citazione. Per un puro atto spontaneo, non si va a pescare la bustina con la citazione che faccia al proprio caso, è innaturale; si preferisce allora fare affidamento all’azzardo per scoprire la ‘frase del giorno’ a noi riservata. Alla stessa maniera, quando alcuni versi risalgono in un balenio alla nostra coscienza, non li prendiamo preventivamente dal cassettino della memoria. Sono loro a riaffiorare, da un punto remoto, nella loro imprevista e spontanea vividezza. (D.Z.)
Valerio Magrelli è certo il poeta che, dalla sua prima raccolta Ora serrata retinae – il titolo richiama la linea seghettata della retina, il «margine della percettibilità della retina» come riferì il poeta stesso in un’intervista, a testimoniare l’importanza della visione poetica che traduce l’esistenza in parole –, naviga «nel mare del testo», concentrandosi «su quel confine fra reale e immaginario, in cui la vita si muta in scrittura […] e si secerne in parole» (Marco Forti). Ma la visione, ci suggerisce Carmelo Vera Saura, è «soltanto una delle isotopie testuali che confluirà nel noema della metapoesia, nell’atto autoriflessivo della scrittura». Poesia dalla «spiccata metaletterarietà […] infinita riscrittura dove la realtà viene ridotta a segno» (Francesco Diaco), quindi paesaggio linguistico ripiegato su di sé e per cui il poeta, introiettando la metapoiesi fin nelle viscere del testo, trasmette un erotismo del segno; poesia quale atto meditativo e fenomeno conoscitivo nella sua perpetua percezione; poesia del pensiero («il cervello è il cuore delle immagini») che concede al biografico giusto quanto può essere innalzato su un piano oggettivamente riflessivo, rendendolo apocrifo, nascosto, pacatamente allusivo («che importa/vedere dietro la filigrana,/ se io sono il falsario/ e solo la filigrana è il mio lavoro»). E nel disvelamento del segno un ruolo importante è svolto proprio dalla funzione del nascondimento. Se per Manganelli la parola è menzognera e ambigua e tende all’occultamento, se dietro la sottrazione della soggettività emerge ciò che per Barthes è «la morte dell’autore», allora comprendiamo che per Magrelli il meccanismo poetico non è esente da questo «spogliarello al contrario», per usare le parole di Vargas Llosa, un meccanismo maieutico capace da una parte di depurare il verso dalla soggettività e dall’altra di far emergere una parola che sia limpida. Pertanto l’ambiguità propria della parola poetica non è fine a se stessa, l’oscurità non resta la fitta bruma dell’incomprensibile, anzi predice un successivo disvelamento: tale sottrazione da parte della scrittura alla realtà è utile affinché l’interlocutore, il lettore, possa riconoscere nella poesia la spinta, l’impulso endogeno, il noto acceleratore brodskijano della coscienza. In altre parole: ci porta a capire, a sentire ciò che ci manca a partire da un’assenza che subito si tramuta in dolore, distanza, nostalgia e, successivamente, ricerca. Il poeta Magrelli, nella sua qualità di padre di segni da lui partoriti al lume della coscienza, racconta una geologia di pensieri che da sempre spingono l’essere umano a interrogarsi, determinando così le infinite sfaccettature dell’esperienza. Allora la poesia si configura quale punto nevralgico, terminazione nervosa che riceve ed elabora i segnali, le intermittenze più vitali dello sguardo, in quel margine della retina che diviene osservatorio e finestra d’ingresso del sapere e del vivere.
Bibliografia in bustina
V. Magrelli, Ora serrata retinae, Milano, Feltrinelli, 1980.
V. Magrelli, Le cavie, Torino, Einaudi, 2018.
D. Del Giudice, Un vero poeta invita al lavoro, intervista a Valerio Magrelli apparsa su Paese sera, anno XXXI n° 175, Roma, data 30 giugno 1980.
M. Forti, Navigando nel mare del testo, articolo apparso su «TuttoLibri» (supplemento de La Stampa), Torino, anno VI n° 26, 12 luglio 1980.
C. Vera Saura, La metapoesía de Valerio Magrelli, saggio apparso su «Philologia Hispalensis», vol IX, anno 1994 (in originale nel testo: «la visión parece ser el tema central, sin embargo, sólo es una de las isotopías que confluirá en el noema de la metapoesía, en el acto autorreflexivo de la escritura».
F. Diaco, Riflessioni sul primo Magrelli, in «Ticontre. Teoria Testo Traduzione», VI (2016), articolo reperibile al sito http://www.ticontre.org.