– Nie wieder Zensur in der Kunst –
Pubblichiamo l'incipit di I profughi di Arno Schmidt oggi, 18 gennaio 2020, a 106 anni dalla nascita dell'autore. (la redazione)
La luna precoce strisciava, rachiticamente curva, oltre il terrapieno della ferrovia; ancora una volta sazia di carne. Cespugli agghindati con un resto di pioggia fresca; e poter ricominciare a fumare. Una grassa nuvola puttana stiracchiò grigie spalle dietro i boschi serali; maccheroni e la crosta di svizzero grattugiata dentro. Due girandole d’aria mi corsero incontro, con fini criniere polverose, corpi gialli trasparenti; vagarono imbarazzate più vicino, agguantarono tremando lo strascico, si girarono e sospirarono incantevoli (poi subito però arrivò il furgone di Trempenau, e dovettero seguirlo, al traino, con lungo fondoschiena da menadi: uno col mezzo ha sempre più possibilità!)
Il sole tramontato lasciò dietro ancora a lungo il rosso di carta assorbente dove da sopra penetravano inchiostri della notte. Pioggia colò poi obliqua tra gli alberi ossuti; vento dava buffetti a capelli e occhi di curvi profughi, prosegui dài, i galletti segnavento si sbellicavano sui colmi dei tetti. Grigio abitato coperto di ardesia; per la fottutissima volta la ronda attorno a Benefeld, giro sempre largo. Nel cielo brullo echeggiò forte il vento; radio sbraitava da tutti gli squallidi abbaini; sedevano lì con rabbiose facce piatte sotto 25 watt; i miei piedi argillosi mi spinsero sul sentiero ridotto a rigagnolo, finché il cuore fu liso come il paltò, quanti casini. Niente danni di guerra, sussidi per la casa, rivalutazione dei risparmi all’Est (siano maledetti i ministri!). Le stelle apparvero come ladri in impermeabile, nei lenti vicoli di nuvole. Ma in compenso tre persone per stanza; ma in compenso riarmo eh : che razza di buoi devono essere quelli che eleggono il macellaio a loro re! Il vento nero gesticolava come un pazzo furioso, spintonava e gridava; il ramo più vicino me lo sbatté in fronte, fischiò a un compare e sputò pioggia : quello giunse ululando da dietro, mi sbalzò il cappello e strinse la sciarpa. Ma in compenso il reinsediamento non funziona sempre; in qualsiasi mestiere a 65 anni una persona è fuori servizio; lo statista però, senilissimus, pare diventi solo a 75 anni maturo davvero, di ghiaccio, totalmente inumano, greve gracchiante grugnente ghignoso gradasso. Tre grigi uomini-pipistrello m’incrociarono in lunghi ondeggianti mantelli, e già appariva il tetto a punta del contadino basso-sassone. Nessuno che non sia agricoltore ha diritto a parlare degli orrori della guerra: gli eterni controlli, caro mio! Che il crivetz vi! Una magra civetta d’argento pende immobile nel fitto dei pini; allo stagno: briganteggiano tipacci arborei in stracci di nebbia, braccia come clave, tenute nodosamente alte. Dentro, la maledizione a tavola sulle fette spalmate di melassa; pareti ammuffite, chi può scaldare questo buco; avanti col Belfagor di Wetzel (deogratias Beier non era ancora arrivato); e questo che stiamo facendo adesso è il cosiddetto esistere. (La zuffa dei venti fuori infuriava senza tregua.)
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