
Il professor D’Amedeo annuisce composto quando Alessandro gli racconta del suo pomeriggio in riva al lago. Poi tiene la bocca aperta come per parlare, per qualche secondo, e non appena Alessandro è abbastanza curioso da sentire di poterlo minacciare comincia.
«Sono contento che lei prenda così sul serio il suo lavoro da fare viaggi per centinaia di chilometri, ma voglio ricordarle che è una tesi, non una biografia autorizzata.»
«Professore», scatta lui di rimando, «la dottoressa mi ha promesso accesso a fatti che non potrei conoscere altrimenti, e materiale inedito, forse in esclusiva. Questo può essere il modo di far diventare questa tesi un lavoro grande, notevole. Non lo dico solo per me, professore, ma anche per il prestigio dell’università. Possiamo lavorare su un autore non ancora indagato, si tratterebbe di un’opera che aggiunge un tassello importante alla conoscenza del panorama contemporaneo.»
«Una monografia su Viviana Santeremo?»
Il professore, capisce Alessandro, è impastoiato fino al midollo nelle vecchie dinamiche accademiche di promozione dei soliti, assodati noti. Il professore è un galoppino della critica rimasticante. Si è trovato un bruto. Meglio chiudere immediatamente con questo discorso, e considerarlo un semplice dispensatore di firme burocratiche da qui alla tesi.
«Professore, mi lasci lavorare e vedrà.»
«Io la lascerò lavorare eccome; bisognerà vedere se l’oggetto della sua tesi sarà altrettanto collaborativo. Ha avuto la geniale idea di offrirle di controllare il suo lavoro, ma il danno è fatto. Solo, si ricordi in questi mesi che la tesi è sua, e non c’è nulla che la signora potrà o non potrà fare per cambiare anche solo una virgola di quello di cui lei è convinto. Per quanto mi riguarda, in bocca al lupo, può iniziare.»
Come se un critico, pensa Alessandro, possa mai saperne di più di un autore, di un qualsiasi autore. Come si vede che il suo professore non sarebbe in grado di distribuire una goccia di tempera con un pennello. Un bruto, si è trovato un bruto.
*
«Vieni, però stai zitto, mi raccomando», dice Viviana.
Alessandro ubbidisce. Non strofina neanche i piedi contro lo zerbino per non interrompere quel suono.
Dal soggiorno arriva, a un volume che sembra quasi silenzioso e che è un tutt’uno con il brano che si espande, l’Andantino della Sonata numero venti di Schubert. E Viviana ha le guance rosse, come se quell’Andantino fosse una persona e lei fosse grata di averla lì, dopo tanto tempo che non si incontravano, a quell’angolo di strada, e ci fosse tempo per bere un bicchiere di vino insieme.
«Lo conosci?», chiede lei.
«Certo.»
Gli occhi di Viviana si illuminano. Per un attimo sembra fiera di lui.
«Ti spiace se lavoriamo lasciandolo in sottofondo?»
«Certo che no. Però non parlare neanche tu.»
Così, mentre Viviana sorride, prendono una tela senza fare il minimo rumore. Ascoltano più volte la barcarola. La sezione centrale, con i suoi forte poderosi. Il ritorno singhiozzato del primo tema. Non lavorano nello studio: Alessandro ha steso per lei dei giornali sul pavimento del soggiorno e lei dà rapide pennellate in piedi, contro una parete, mentre lui resta a guardarla seduto sul divano.
Per un attimo, gli sembra che lei dipinga in tre ottavi come l’Andantino. Che mettendole davanti una tela del tutto vuota, potrebbe dipingere il tema sconsolato e poi la sezione degli accordi furiosi e di nuovo l’ipnosi della chiusa. Se si impegnasse, Viviana potrebbe dipingere in fa diesis minore.
Passa quasi mezz’ora prima che lei spenga il ritorno continuo di quegli otto minuti. Mentre si avvicina al divano per sedere accanto a lui, Alessandro pensa: cosa ha ascoltato mentre dipingevo i quadri che conosco? Come ho fatto a non sentirlo?
«Erano anni che non lo ascoltavo. Grazie per avermelo fatto lasciare.»
«Figurati. Il quadro sta venendo bene.»
«Grazie, ma ormai non so se crederti più.»
Lo tocca sotto il colletto della camicia, gli lascia un piccolo graffio di tempera rossa.
«Scusa.»
«Fa niente.»
«Sembra un’allucinazione, vero?, la parte centrale. Vorrei essere così violenta anch’io nel quadro, e assieme vorrei che si sentisse la barcarola. Rendo l’idea? Vorrei essere desolata. Fare qualcosa di desolato come un animale che è rimasto incastrato in una tagliola e si lamenta e poi diventa furibondo e poi torna tanto triste, tanto triste, rendo l’idea, Alessandro?»
© Giovanna Amato