Di tutte le partenze, una resta impigliata nell’anima
e tu non sai se sia un volo dell’acqua
o un’alga che ti afferri
per stringerti la gola nella nebbia
con una grazia feroce e inevitabile, come
un gatto che giocando t’impedisca di scrivere
strappi via la penna
faccia a brandelli la carta
ne porti un pezzo lontano tra le labbra
per costruirne un topo simulato
una caccia sognata, un gioco preciso e ribelle
un giro più lungo fra la tua mente e le mani
profonde nelle tasche in questo mattino di treni
fischi, vapori, officine faustiane
Questa stazione non assomiglia più a nulla
forse è un dedalo di tracce cancellate
un terminale per gite oziose
a leggere un libro a dormire cullati dal treno
in viaggio turistico verso il passato prossimo
come un bistrot funereo, magari sepolcrale
un bar di cena, un museo…
E tra le statue, le ruote, i chioschi di giornali
si fanno strada ombre, dagherrotipi, vecchie pitture
carte di caramelle, pacchetti vuoti
riviste scolorite con donne grasse e spogliate
preservativi, dischi, aranciate amare
tutto un armamentario crepuscolare
e gli anni, ricordi uccisi dalla fotografia
risucchiati urlando dalla vecchiaia e dalla morte:
e questa partenza non è così perduta
la sua immagine è più che un residuo, un fiato d’allusione
una metafora mentale, la tua impercettibile
correzione del tempo, come quando s’aprono
nuvole in cielo, e splende spaventata
lei, la buona madre dei ladri, pura e muta
Ma un diavolo, un simulacro di Minosse
orribilmente ringhia dai megafoni sulle pensiline
nello scompartimento che puzza di fumo
sul velluto bruttato
da pensieri annoiati, indifferenti e automi…
lei non ha spessore, calore, fuoco d’anima
dice, è nella nebbia che s’apprende ai vetri
del finestrino, lei è come l’inverno
è arrivata tardi, ha perduto la strada
quando ha bussato alla porta il camino era spento
il gatto morto, qualche moscone impazzava per l’aria
con messaggi incompiuti, indecifrabili, infedeli
Sui muri c’era polvere, polvere sugli specchi
sul volto di Ermes ridotto a una piccola scimmia secca
un lare stecchito e sgretolato: ronzano i treni
scivolano via in questo mattino di buio,
so che non fuggirò, sei come Dracula
come lui, che il vantaggio ha del non nato
e del non morto, porta i segni d’un bilico infinito
e dall’inganno suo vita riceve,
tu non hai anima, non l’hai mai avuta
nei tuoi occhi non si infrange il riflesso
il lampo della sera sulla porta
il ritorno di ciò che arde lontano
indifferente, melanconico, alto sui monti
e inaccessibile, la luna
Questo silenzio non è più abitato
da muti fruscii di passi, da segrete
anse del tempo, come se ad un tratto
senza motivo schiudessero le valve
d’una conchiglia fossile, e splendesse
nella roccia l’ardore del cristallo
Questo silenzio è ora pieno d’oggetti
citazioni, reperti, tutti i regesti dell’avventura
monti e mari solcati, come quando un sogno
dura oltre il risveglio, e non si tace
l’eco d’un gesto prolungato ad arte, il suo bramito
da Anatre, notte, in Anni ’80. Poesia italiana, Jaca Book, 1993