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‘Gli alfabeti intatti’ di Francesca Fiorentin. Nota di Carlo Tosetti

Francesca Fiorentin, Gli alfabeti intatti, Osimo, Arcipelago itaca edizioni, 2017, pp. 76, € 13,00

 

Luglio 2014

Paradossi

Non mettere i fiori in cimitero
che poi i fiori, così belli, odoreranno di morti.

(da Gli alfabeti intatti, pag. 34)

Provo una nitida vicinanza agli stati d’animo che imprimono vibrazione alle poesie di Francesca Fiorentin, quantomeno per le immagini e per le emozioni che il testo rivela o che io riesco a dedurre, in quanto – a tutto diritto e, aggiungo, sanamente – la poetica di Francesca è nella giusta dose “ermetica”; non mi riferisco ai temi affrontati dalla corrente novecentesca (benché alcune tematiche affiorino “per contrasto”), ma alla “patina” linguistica che talvolta dissimula il senso dei componimenti.
Il fremito che pervade la sua opera prima (Gli alfabeti intatti, ArcipelagoItaca Edizioni, 2017) mostra un animo indagatore e riflessivo, disposizione per cui la collocazione nel quotidiano e, più precisamente, nell’attuale quotidiano, appare spesso “fuori tempo”.
Mi riferisco alla cadenza delle giornate del secolo corrente, le quali (le giornate economiche, politiche, quindi sociali) possiedono una organizzazione puramente nominale e che in realtà, anzi “sotto” la realtà sensibile, malcelano un trafficare inesaurito, un caos disordinato e, soprattutto, inumano: un disordine “antibiotico” travolge totalmente il nostro secolo.
Tentando di affondare ulteriormente l’analisi in questa direzione (interiore), ciò che più condivido di questa visione della realtà, è il rifarsi – anche in questo caso, se non direttamente, per contrasto – ad una legge antica, ormai sepolta dalle sabbie tecnologiche e scientifiche, una sapienza che indica, nell’apparente semplicità delle relazioni fra gli enti, la via, unica, vera, della vita.
Per questa ragione ho aperto l’articolo con la succinta poesia Luglio 2014 (poche poesie recano un titolo, le più una data): la natura, malgrado la sciagurata rotta tracciata dall’umanità, si poggia su fondamenta composte da risonanze, da accordi che nutrono gli enti naturali e questo distico regala una chiave di lettura della poetica di Francesca Fiorentin.
La bellezza (la vita) è in accordo con la bellezza stessa, nelle sue molteplici manifestazioni e questa è la “legge eterna” sottesa agli eventi.
Tragicamente, ecco l’amaro sapore del “succo” dei nostri giorni: il frammischiare l’uomo al disumano, sempre e comunque. Disumana non è soltanto la morte, la fine del nostro tempo (tema che nel libro è toccato), ma tutto ciò che in vita s’oppone ad essa, ostacolandola, alterandone i movimenti iscritti nell’ordine naturale delle cose. Questo sentire – ineluttabilmente – porta la poetessa ed il lettore ad identificare i “nemici” del vivere, in quanto lo stesso uomo ha costruito (in materia e in idee).
Con ciò, non voglio presentare Francesca Fiorentin come un’anacronistica (e incantata) luddista, ma è fuor di dubbio che le affannate giornate umane… oggi di umano abbiano ben poco.
Mi ritrovo, allora, con quanto ha scritto Paolo Lago, nella prefazione del libro: la poesia, per Francesca Fiorentin, è liberarsi “da un potere più forte di lei, un potere cieco e materiale ma anche vuoto e inetto, istupidito dal suo arido cinismo.”
La poesia, scrive sempre Lago, per Francesca Fiorentin è anche lotta; una lotta esplicita.
La raccolta contiene poesie composte dal 2011 al 2017; io trovo più agevole la lettura partendo dalle poesie più datate, in quanto questo ordine mi permette di seguire l’evoluzione della poetica dell’autrice, e meglio comprenderne gli aspetti salienti.

2011:

Le poesie datate 2011 sono contrassegnate da simbolismo, anche esotico, da linguaggio e struttura più “morbide”; è il caso di pag. 44:

10 agosto 2011

Dove tenui cascate
lambiscono pareti di granito
accedi alla via di basalto
a nord il fiume calmo
a est ed ovest le vie delle stagioni
e lune senza macchie.

Poesia dalla quale traspare, siano immagini puramente simboliche o luoghi reali, vissuti di persona, la necessità per l’autrice (e per l’uomo) di altri scenari e di ben diversi ritmi vitali. Esigenza forse ribadita anche a pag. 41, dove l’autrice contrappone una spettacolare ma infuocata immagine a una opposta: “Diverso vento e non fumo/ spira sulla mia spalla/ i laghi ghiacciati del Nord, la fredda cautela.

Fra tutti i componimenti del 2011, spicca quello a pag. 47:

20 agosto 2011

Professore

L’afa creò Milano, i venti Lisbona, le navi i Tropici
le strade i Romani, ma non è così, lo so.
La campagna verde ha nel retro ciclopiche lave
………………………………………………………….[incandescenti
io voglio vedere queste, professore.

Poesia che ritengo importante per la comprensione del libro: si dichiara l’istanza maggiore dell’autrice, istanza dalla quale, lungo il tempo e lungo il libro, necessariamente deriva la maturazione ed il consolidamento di una precisa presa di posizione, che (a mio parere) è il senso compiuto della raccolta.

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2014:

Oltre alla poesia posta in apertura della recensione, a pag. 33 incontriamo una poesia che contiene un’immagine ricorrente (assieme ad altre, utile per entrare nel mondo dell’autrice): i santi.

A Camus, a Peguy

‘Ogni santo’, dice Dio, ‘è un blasfema’.
Pensano così, come me, anche Charles Peguy e Albert
……………………………………………………………………..[Camus.
Ogni santo mi dà ordini
mi chiede, mi comanda di non essere triste
mi dice che agirà per il mio bene
come se io non ne fossi capace
come se avessi bisogno del suo aiuto
per essere buono!
Il santo non si fida nemmeno di me, Dio.

Incontriamo nuovamente la figura dei santi a pag. 66, nell’anno 2017: “I giusti […] hanno trombe che svegliano i santi fausti/ dei paradisi, i savi immacolati/ dai silenzi ignavi.”
Questi “attacchi” alle avanguardie terrene (per quanto trapassati) delle religioni, mostrano uno dei volti della lotta e della liberazione da ogni potere vuoto (potere esercitato da essi con mutismo e ignavia, solo riflettendo – a mo’ di mistico ripetitore – l’intento di uomini in carne ed ossa). Malgrado la tensione affatto differente, l’immagine della poesia mi ha ricordato la statua di San Luigi, in Amarcord di Federico Fellini; emaciata, ma sorridente e impassibile, la statua del santo – stando alle parole del parroco – potrebbe piangere, a causa degli atti impuri commessi dai ragazzi.

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2016:

26 dicembre 2016

Tempo, stando al mio passo,
scandisci chiaramente
l’esteso linguaggio del cosmo
a questo labbro, che muove pochi idiomi.
Ma se ripeto, le tue parole
sono shibboleth.
A me sei straniero,
infinito, indefinito,
calice di una sete da cui bevo nebbia,
brattea mai ossidabile
da cui cadiamo,
morti petali, da millenni.

Il tema del tempo, del rapporto uomo-tempo, è mirabilmente affrontato nella poesia a pag. 27. Il tempo, a precise condizioni (al mio passo), ci parla, ma esso possiede una lingua incommensurabile ed una natura sfuggente, illusorio è il tentativo di penetrarla (Ma se ripeto, le tue parole/ sono shibboleth.) e pur essendo immersi nella dimensione del tempo, pur cercando di alzare il velo che cela questo arcano, esso ci restituisce invariabilmente mistero, mentre ci divora i giorni.
In me permane il sentire, inoltre, dello scollamento fra il tempo “sociale” ed il tempo “universale”. Noi risuoniamo (o meglio risuoneremmo) con ritmi universali e vitali, palpitazioni cosmiche, permeanti leggi naturali, a patto che il passo sia il medesimo, a condizione che noi si segua il metronomo universale e non la frequenza “alterata e innaturale” delle sovrastrutture socioeconomiche costituite.
L’accenno a queste strutture, in buona sostanza al nostro vivere, compare a pag. 15 (Tende il muscolo la nostra colonia penale/ una litania si leva a lamento, ma stride come la sua macchina/ No del mio respiro a questa macchina/ Sono i tacchi del padrone/ (va a caccia)/ sono i conigli che tremano, sono i lavori operai) e viene ripreso nei componimenti più recenti (2017).

Corre l’obbligo di riportare la poesia a pag. 17:

Giugno 2016

Ad Amelia Rosselli

Amelia
raschiami la gola
deforma la geometria del tempo
lega i lacci delle scarpe alla falena
la notte non restituisce buio ma roventi colate
di argento, su tutti i movimenti freddi, indeboliti
da germi malsani che bucano la terra.

Quasi una laica e dura preghiera, una supplica, rivolge l’autrice alla famosa poetessa e certo la Rosselli ha incarnato – da certi punti di vista – la ribellione all’ordine costituito, anche linguisticamente, temi che si incontrano, come già enunciato, ne Gli alfabeti intatti.
Scriveva Mengaldo che la Rosselli, sul finire degli anni ’70, ancora non aveva raccolto il successo meritato. La definì “un fenomeno abbastanza unico nel panorama letterario italiano, legandosi piuttosto ad altre tradizioni […] e la surrealista francese, di cui prosegue direttamente, con aspro vigore, gli atteggiamenti più ex lege” e inoltre sottolineando “l’isolamento personale della scrittrice dalla società intellettuale”, e “la formazione plurilingue […] da lei finalizzata alla ricerca di una sorta di linguaggio universale […] sta in parte all’origine della lingua vistosamente deviante delle due prime raccolte […]”. (Poeti italiani del novecento, Pier Vincenzo Mengaldo, Arnoldo Mondadori Editore, 1978).

 

Sezione 2017:

Nelle poesie più recenti, si definisce ancor più la posizione dell’autrice, o meglio sono ben delineati gli “avversari”, a ben significare che la volontà di vedere le “ciclopiche lave incandescenti”, che “La campagna verde ha nel retro” (pag. 47), non è rimasta solo un’intenzione.

Torna il tempo, a pag. 50:

4 gennaio 2017

Tu tempo, canale
da cui defluisce il dolore
sua unica maniera di scomparire,
tu ricatto, del quale per forza devo scandire i secondi
tu ineludibile ringhiera
inaccettabile senso unico
tu che uccidi.

Torna il “padrone”, il nostro mondo economico, come a pag. 51: “Una sola è la specie di attore/ e sarà anche la vittima:/ il gladiatore, che ha come padrone/ non un senatore romano, ma un general manager/ di origini Globali, diffuso in tutto il mondo.” E ancora: “Come si sta fuggiti/ dall’egro affare dei commerci/ sulla scia di Plutone”. (pag. 53)

Esplicito il messaggio, a pag. 56:

29 gennaio 2017

Il padrone si riconosce dalla caratteristica
smorfia che il viso assume quando esprime la solita
………………………………………………………………..[lagnanza:
“Cresciamo. Oggi, uno a zero per gli altri.
Discesa, salita, premi, trimestre. Pagelle.
Vendetta sia, vendetta è il nome del potere”.

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Nuovamente emerge “l’essere fuori tempo” (pag. 58):

31 gennaio 2017

Tu, di mutare stagione o genere,
bulbo di gennaio, anch’io, attraversando
l’aria di piombo e di cortine, di mutare
secolo o genere,
la serra fredda è, e buia –
ho desiderato.

La mia trattazione del libro non può comprendere tutti gli spunti ed i rimandi incontrati nella lettura (il recensire “incontrollato” sfama l’ego, ma rischia di sottrarre energia allo scritto), ma altri, rispetto ai citati, ne incontrerà il lettore: per esempio è interessante il ruolo dei corpi celesti nella poetica dell’autrice, e, a tale proposito (nonché per il piacere della lettura), consiglio anche le poesie pubblicate da «Nazione Indiana» (il 23/12/2016, nella sezione Extraterrestrial activity, a cura di Renata Morresi, qui).
In conclusione, Gli alfabeti intatti è un libro di resistenza umana e come tale può rinsaldare, attraverso poetiche confessioni, la consapevolezza della priorità della vita vera, nella sua essenza, facendo risaltare i pesanti drappi che la abbuiano.
Leggo quindi moniti nelle parole di Francesca Fiorentin e in essi, con essi, “Di riserva, di speranza, ritrovo i serbatoi”, come la poetessa scrive a pag. 43.

© Carlo Tosetti

Francesca Fiorentin è laureata in Filosofia ed ha conseguito un master di “Perfezionamento in discipline filosofiche”. Gli alfabeti intatti è la sua opera prima, ma una sua breve silloge poetica è apparsa su “Nazione Indiana”.
Ha inoltre pubblicato diversi articoli e racconti sul blog letterario “Il Pickwick”(col quale collabora).
Sul sito Necrologika.it trovate il poema Il Don Giovanni, scritto in collaborazione con la poetessa Francesca Tuscano.

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