WEST
Taccuino di viaggio
Yellowstone
. È paura?
. . . . . .
. Il bosco s’è mutato
. in allarmata radura
Caproni, Il franco cacciatore
Intorno al lago la foresta è bruciata,
restano i tronchi senza rami come lance,
mozziconi di corteccia color cenere.
Un bisonte dorme in mezzo alla falange,
ha lasciato intorno frange di pelliccia
appese ai rovi e agli spuntoni.
Le piante già cadute si disfano
tra sterpi e capocchie azzurro pallido
di fiori molto piccoli (ranuncoli di varia specie
e polemonium pulcherrimum qui detto
Jacob’s ladder – la scala a pioli di Jacob).
I copertoni gettati tra l’erbaglia chiara,
quasi albina, sono ceppi carbonizzati.
Dove il legno si sfarina
compaiono corolle di fritillaria pudica.
*
In macchina, una Rover
fatta per non essere sfondata
dall’impatto animale, percorriamo
la Hayden Valley che si sfama
in un viluppo di polvere e spore.
Nei formicai farfalle parassita
depongono le uova e le formiche
succhiano zucchero dagli afidi.
Un uccello incespica dopo il volo,
ragni trasparenti dalle lunghe zampe sottili
attraversano pozze d’acqua e fango.
Quando ci fermiamo un cervo
ci vede e s’inselva. È sera e dalla salvia
di prateria si leva un odore incerto, familiare
ma come appena scoperto. Il fumo di un altro
incendio imbratta il cielo – ci spiegano
che senza fuoco le pigne non si aprono,
gli alberi cominciano a morire dalla base
rimasta senza sole e ci vogliono grandi roghi,
miglia di abeti arsi, perché i semi siano sparsi.
Nuovi nati di un verde originario,
quasi innaturale, a sud già riparano il crinale
bruciato ormai da qualche estate.
*
Siamo dentro la caldera di un vulcano,
scorreva lava su questa porzione di continente
dove il bosco ora riposa
nella sua fodera di nebbia e fiati.
Scendiamo la riva fradicia di un fiumiciattolo
verso le tane delle lontre e pare di calarsi
lungo il pendio del tempo
fino alla lava inosservata, raccolta nei crateri
e di nuovo verso la molecola, i batteri
l’occhio della bestia e la gola
da cui è soffiata la parola, mentre intorno
esisteva l’esistente e nel suo rovescio
il niente e la sera intanto è diventata notte,
quel punto scuro che corre lungo il declivio
oltre i borri e il fiume, è un lupo.
*
Si fermano tutti a fotografare, i binocoli
passano di mano in mano. Sobbalziamo
quando l’ululato come fiamma strina l’aria,
precede l’afflizione del cervo al guado,
mentre gli uomini attendono impazienti
sul ciglio della strada.
Non si vede più e fa freddo.
Un rombo di cielo di un blu appena meno nero
s’apre oltre le cime nere degli abeti.
I binocoli sono riposti negli astucci,
le macchine abbandonano la piazzola
una ad una – insetti ricoprono i fanali.
Qualcosa avviene faticosamente
in un buio che sempre ci respinge.
*
Di giorno nel folto, facendo rumore
per non sorprendere l’orso,
su un sentiero a volute lente
che come un sonno scende a fondovalle,
bordato di cespugli a foglie brune
(potrebbero nascondere grugni
schiene irsute).
Il tratteggio delle pietre sul ruscello
rende agevole il passaggio
dal presente del bosco al trapassato.
La chiamano foresta pietrificata,
querce fossili rimaste in piedi
come candele con la cera mezza sciolta
impolverata.
Sulla spianata dei geyser invece
i tronchi imbevuti di silicio sono bianchi,
giacciono su una crosta di luna
tra fiotti e polle smeraldo o nerofumo.
Qualcuno prova a sconfinare,
con in mano un panino alla maionese
si sporge sull’acqua tersissima e letale.
Subito la guida gli raglia contro,
lui fa il sorriso timido e poi ironico
di chi è sorpreso a chiacchierare in chiesa.
Forse non ha capito che quella piscina
lo spolperebbe o non soffre il pellegrinaggio
alla natura, la compita ammirazione e i recinti
che ci tengono fuori dalla scena.
Un pezzo di stagnola gli sfugge,
s’invola. La seguiamo con lo sguardo
finché atterra sulla creta molle del Paintpots.
*
La riserva
In bus circola una fotografia:
una famiglia Shoshone nel tepee
divaricato dalla serpentina dei rami
da queste parti un secolo e mezzo fa.
Ma siamo arrivati alla cascata, si scende.
Non dormite nella riserva,
ci dicono giorni dopo due cowboy
con le mani tremule di Alzheimer.
Sapete, si tratta di Nativi.
A Browning, Montana, un gruppo di donne
siede a tempo perso
davanti alla sede del Partito Democratico,
una baracca a dire il vero.
Sono Siksika o Piedineri, fanno ondeggiare
dei sacchetti pieni, portano giacche pesanti
con sopra berretti e scialli.
Le Montagne Rocciose cariche di neve
fanno muro alle loro spalle,
davanti hanno le Grandi Pianure spelate,
una vasta colata di giallo,
silos, vitelli, staccionate.
La incontriamo, l’indiana ubriaca,
fuori dal museo, nel mulinare del vento
che spira forte dal ghiacciaio.
Sotto una tettoia prova a raccontare
la creazione del mondo dal fango
trovato in bocca a una tartaruga,
il ritorno al mondo dopo l’alluvione,
il toporagno è importante in qualche modo,
le sue zampe simili a mani
forse, non ricorda, intanto il vento
continua a stracciare le nubi su Browning,
nulla qui soffia o posa in endecasillabi
non il paesaggio
non i misteriosi atti degli uomini.