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Ormai l’ombra aveva vinto anche gli ultimi bagliori del tramonto e scivolando dal cielo s’era insediata, fonda e segreta, dappertutto.
Il Carlo sollevò la bicicletta dalla siepe. Poi, fedele alla promessa di lasciarsi lì dove nessuno avrebbe potuto vederli, s’avvicinò alla Rina.
“Allora a domani”, disse. “Qui. Alla stessa ora.”
“Domani. Alla stessa ora.” Domani era il giorno decisivo: il giorno delle promesse e degli impegni.
Senza bisogno di dir altro, le facce dei due ragazzi s’avvicinarono un’altra volta. Un lungo bacio. Poi un secondo.
Sull’erba l’aria aveva cominciato a scivolar leggera e a far tremare tutto, come se, invece che dall’alto, nascesse lì, dalle siepi e dai prati.
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© da Il Fabbricone (1961), ora in Giovanni Testori, Opere/1 [1943-1961], Milano, Classici Bompiani, 2008, p. 1020