Comprare un libro è davvero solo girare per librerie andando a naso o provvisti di nota della spesa? Leggere un libro è davvero solo spaccarsi un polso nel tentativo di reggere I Miserabili a letto? Amare un libro è davvero solo lisciare la giusta fermata di metro perché non si può lasciare a metà la sfuriata di Jane Eyre? Scrivere un libro è davvero solo ridursi psicologicamente a dover tornare a controllare sei volte di aver chiuso il gas?
Quattro recenti esperienze mi hanno convinta di no. Da un anno a questa parte, sono certa che poche cose nutrono la solitaria attività del lettore (e dello scrittore) quanto una robusta interazione, e poche superano in risultato smagliante l’intenzione quanto una bella dose di serendipità.
1. MERCATINO
Faccio parte della schiera di coloro che, squattrinati più che affezionati all’atmosfera, vanno in giro per mercatini a procacciarsi libri di seconda mano. Quando un giorno potrò pagare una bolletta con le royalties dei miei libri, il cielo ricorderà quest’attitudine e farà sì che la società del gas non abbia registrato l’autolettura, ma non prima che io mi sia ritirata a casa depressa per aver trovato su una bancarella una copia del mio libro. Con dedica.
Oltre che per ritirarmi a casa con più libri di quanti possa contenerne la terza libreria montata a mano senza trapani a partire da sei assi in abete grezzo (vedi foto in apertura), il Mercatino è il luogo ideale per chi voglia seguirmi alla ricerca di un consiglio per un libro per sé o per un regalo. Il mio incedere, in questi casi, è a dir poco principesco. Non ho margine di errore: se voglio chiudere subito la pratica, afferro una copia di Il profumo (sono arrivata alla considerazione che sia più stampato della Bibbia). Altrimenti, dopo una rapida occhiata alle ali delle librerie, la conversazione si svolge più o meno in questo modo:
“Sei innamorato?”
(in caso di “sì”, cercare Frammenti di un discorso amoroso; in caso di “no”, procedere)
“Sei impressionabile?”
(in caso di “sì”, cercare Il fantasma dell’Opera; in caso di “no”, procedere)
“Nel senso che ti andrebbe bene barricarti in casa un paio di giorni?”
(in caso di “sì”, cercare Il signore delle mosche; in caso di “no”, procedere)
“Harry Potter?”
(in caso di “non leggo storie coi maghetti e le bacchette magiche”, uscire.)
2. LA FIGLIA DEGENERE
Io e mia madre abbiamo molte cose in comune a livello letterario: le saghe familiari, ad esempio, il realismo magico (anche se io ho abbandonato i sudamericani), la saggistica (antropologia e religione, soprattutto) e il sospetto che la Morante venisse da un altro pianeta. Ma abbiamo anche molte cose che ci allontanano. Con suo sommo sconcerto, non ho mai finito i Buddenbrook né I Viceré, non riesco ad avvicinarmi a Verga e ho seri problemi col Dottor Živago. “Ariosi”, li definisce lei, per quanto pregni di vissuto e di dolore, ma il problema è proprio che sua figlia ha bisogno, per sentirsi a casa, di rifugi angusti. Un piccolo sospetto sul mio immaginario l’aveva avuto verso i miei tredici anni, quando accompagnai un amico a un cineforum e mi ritirai sbadigliando dopo aver visto L’esorcista. Mai poteva immaginare che la figlia degenere l’avrebbe trascinata, anni dopo, a vedere Melancholia, tutta tronfia e contenta per il capolavoro visionario di cui voleva metterla a parte. Bisognò attraversare tutta Roma alla ricerca di un altro film con cui calmarsi, e Carnage di Polanski sembrò, a confronto, una commedia.
Sto molto attenta, insomma, quando consiglio o regalo libri a mia madre. Lei che gira serafica e felice per la cripta dei cappuccini (luogo che io trovo agghiacciante), ma rifiuta qualsiasi modo più tortuoso di mettersi in contatto con la morte, vuole dolori e lutti previsti secondo natura, e saghe familiari.
L’ultima volta che mi sono lasciata trascinare dal mio entusiasmo ho scoperto di cosa è capace il linguaggio di una madre, dall’altro capo del telefono, dopo una notte passata a rimuginare su Solaris.
3. UN AIUTO DISINTERESSATO
Ho aiutato un’amica a rimettere in ordine la sua biblioteca privata. Ci sono voluti alcuni giorni, durante i quali sono stata nutrita e coccolata per:
1) guarire definitivamente dalle vertigini da scaletto;
2) tornare a casa con doppioni di libri pregiati o che ho sempre desiderato avere nella mia libreria;
3) toccare la calligrafia originale di alcuni dei miei autori preferiti;
4) scoprire aneddoti che non rivelerò nemmeno sotto tortura ma cui attribuirete i mio sorriso in punto di morte;
Va detto che per me, abituata a organizzare i libri per genere e grado di affezione (e in qualche caso per casa editrice), il criterio utilizzato – una sorta di geopolitica pacifista, con tibetani a occhieggiare tra i cinesi e tedeschi confinanti con polacchi tramite una danzica di orchidee – era alquanto ostico. Ma ho eseguito diligentemente ogni indicazione, litigando solo sull’imprescindibile (chi nasce Dostoevskijana non può morire abbracciando Tolstoj).
Ci siamo tirate addosso le occhiatacce di non pochi fusi orari ma così, dopo aver risolto il problema algebrico della lingua e, nei buchi liberi, la questione mediorientale, sono tornata a casa con (vagonate di libri e) un ricordo meraviglioso: lei che mi raggiunge a un reading con l’aria bimba di chi ha fatto una marachella, e mi confessa di aver lasciato un libro che non sapeva a chi regalare in bella vista, su un rudere dei Fori Imperiali.
4. CONSIGLI PER GLI ACQUISTI
Non ho mai parlato meglio di scrittura come con un mio amico scrittore con le cui letture non ho assolutamente nulla da spartire. Minimalisti americani, Hemingway, Miller, creature che mi sono sempre state estranee. E Tolstoj, ovunque come il prezzemolo, benedetto uomo epico contro l’uomo tragico che mi strilla dentro “zittiscilo e cambiate argomento, guarda che bella giornata c’è dentro di te”. Quindi ci scorniamo, l’un contro l’altro armati ci puntiamo presunti difetti di costruzione e struttura che non sono altro che nature complementari: dove io striscio, lui galoppa; dove lui brucia, io divampo. O almeno lo spero. E i suoi consigli sono un faro puntato su tutto ciò di cui sono sprovvista, e mi sprona a tentarlo.
Non ho mai parlato meglio di creazione come con un mio amico regista al cui lavoro sono completamente estranea, pura osservatrice. Ha questa strampalata idea per cui bisognerebbe godere delle osservazioni fatte a vicenda sulle proprie opere, specie quando sono ben argomentate, e devo ammettere che ne approfitto. Non credo ci sia sensazione più bella di annuire grati e convinti di fronte a un’interpretazione che mai si era pensato neanche lontanamente di ficcare in un particolare passaggio, e senza la quale, effettivamente, l’intera struttura stava alla nuova concezione come un ecomostro al Taj Mahal.
Non ho mai parlato meglio di lettura come con un’amica cui devo praticamente la metà dei libri che porterei con me nel deserto. I libri che ama sono quelli in grado di solleticare la zona cieca dell’occhio, sollevare la pelle delle braccia, come se la bellezza della prosa e la potenza della storia dessero un segnale elettrico appena oltre il sopportabile. A lei penso quando la mia scrittura diventa troppo aleatoria e cerebrale, e mi domando se lo scarto dipenda da una mia tendenza all’eccesso o dal formarsi di una voce che, in quanto mia, necessariamente deluderà qualcuno.
Probabilmente, questi tre ragazzi sono alcuni tra i miei migliori maestri.
5. CONCLUSIONI
La letteratura è più di quanto chiunque possa mai insegnare in qualche scuola; più di un patrimonio da preservare dallo scioglimento delle calotte polari, e più di quanto sia tutto ciò che è costola di libro in possesso o da possedere, venuta o da venire, o anche solo idea gironzolante nella mente di chi ha una penna in mano.
La mia letteratura è anche ritrovarmi a scrivere un post parlando di persone che potrebbero citarmi per danni morali; è rendermi improvvisamente conto che in questo momento l’intero mondo editoriale potrebbe imbruttirmi perché compro libri di seconda mano; è rischiare la pelle ma uscire vincitori quando mia madre dice che Misery è un libro bellissimo; è lottare contro pesciolini d’argento inferociti che escono da ogni angolo mentre spolvero una libreria; è finire la birra piccola e rassegnarmi a chiederne una media perché ancora non ho finito di mettere a punto una trama con un mio amico, o perché l’altro mi fa notare che i miei personaggi parlano tutti con lo stesso registro, e questo li rende poco credibili, e questo sarà il mio prossimo obbiettivo, perché ha perfettamente ragione.
Ed è anche fare un tentativo, quest’estate, con Anna Karenina. O forse Guerra e pace, non lo so.
Non voglio finire mai.
© Giovanna Amato
2 risposte a “Quattro volte libro”
Stupendo, brava Giovanna! Quando si arriva a intuire che i libri ci posseggono, che siamo noi ad appartenere loro e non viceversa, allora…è troppo tardi, i giochi sono fatti, e a noi no resta che tirar fuori Ronzinante, prendere lancia e scudo e avventurarci nella vita, sperando se siamo fortunati, di avere accanto a noi la proverbiale e antica saggezza degli illetterati!.
Grazie per questo tuo “da conservare” contributo (mi piacerebbe avere il tuo permesso per postarlo sulla mia pagina Facebook, Destinati a leggere, se fosse possibile).
Renato Bruno
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Grazie mille, Renato! Che bellissimo entusiasmo il tuo!
Prendi pure e condividi l”articolo dove vuoi, non posso che ringraziarti.
Alla prossima, allora, da me e da Poetarum Silva. Stay tuned!
Giovanna
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