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L’amore non è una questione di merito (di G. Amato)

Trovano molti anni dopo uno scheletro stretto a quello di Esmeralda, ed è uno scheletro con una chiara deformazione alla colonna vertebrale, come una gobba. Una volta trovati, i due scheletri si polverizzano insieme. Quasimodo deve essersi intrufolato lì dove Esmeralda è stata lasciata a marcire per marcire con lei. Forse avrebbe fatto lo stesso, per amor suo, l’arcidiacono Frollo, pazzo di desiderio, che recita in Notre Dame de Paris alcuni dei più bei monologhi sull’amore mai concepiti da penna umana, non a caso quella di Hugo. Ma Frollo è intrappolato in una spirale di senso di colpa per la sua posizione che ne intossica i sentimenti, lo porta alla violenza, lo spinge a minacciare, segregare, decidere morti. Quasimodo ha un amore profondo e quieto per la creatura Esmeralda, per la bellezza umana che gli è sempre stata negata nella bellezza labirintica della splendida Notre Dame, indiscusso suo regno tra i panorami mozzafiato e le campane conosciute per nome. Esmeralda, in tutto questo? Ama disperatamente Phoebus, il bel capitano che la illude e in cui ripone tutte le speranze di salvezza. Phoebus che alla fine, ci dice Hugo giusto al volo perché non merita di più, fa una delle fini peggiori: si sposa (con tutt’altra).
Che l’amore non sia questione di merito lo sappiamo tutti noi innamorati senza requie. Tutti prima o poi abbiamo donato il cuore intero, inevasi, restando perplessi come lemuri al cospetto di quell’esemplare che, vuoi per gusto o per genere o per età, è stato preferito a noi.
Ma mentre tutti noi nella vita reale ci ostiniamo a non capire che essere disposti a portare l’amato bene in braccio per le scale dell’Ara Coeli non è garanzia dell’essere ricambiati, la domanda che mi pongo confrontando qualche testo è: in che maniera, Ara Coeli a parte, se lo chiedono i grandi scrittori?
Di Cyrano de Bergerac la vicenda è nota e declinata in maniera affascinante: apoteosi del dono di sé, Cyrano pretende la felicità dell’amata demandandone il merito al suo rivale. La più grande prova della sua arte, il suo più grande capolavoro, è permettere che qualcun altro prenda quello che spetterebbe a lui. Ma in questo caso l’amore è sì questione di merito, perché la seduzione sovrana è nelle parole, non importa scambiate per quelle di chi. Rossana ama l’intelligenza del cuore, e quella appartiene a Cyrano. È lui a non scoprirsi, lui che pure verrebbe scelto.
Molto più complesso e affascinante è il destino di Erik, il Fantasma dell’Opera dell’omonimo romanzo di Gaston Leroux. Slancio gotico, perturbante, avventura, e costruzione di un uomo di rara caratura. Come si sa, Christine è amata dal giovane Raoul che solo al vedersela soffiare, realizzata nel canto e amata da una misteriosa figura, si decide ad amarla davvero e si sbraccia per cercare di riprendersela dalle grinfie del Fantasma dell’Opera. Leroux non nasconde ironia nei suoi confronti, né nasconde la grandezza di Erik, proprietario anche lui come Quasimodo di un labirintico regno di cui conosce ogni anfratto e ogni, anche qui, potenzialità musicale. Erik è voce, e così è Christine. Sfigurato, abbandonato, reietto, quest’uomo vede nella ragazza le potenzialità di una voce sublime e la cura, le permette di realizzarsi nel suo talento. La ama, ma il suo amore, lui che non ha conosciuto altro che segregazione e violenza, spezza il cerchio di violenza e segregazione e permette a Christine di fuggire e scegliere, sotto i nostri occhi allibiti, una vita lontano dal genio, lontano dalla passione e dall’amore assoluti, nelle rassicuranti braccia dello stolido Raoul. E noi lettori, va detto accompagnati da alcune spie del testo, comprendiamo che non si tratta di un lieto fine di un equilibrio ristabilito, ma del più grande spreco di sentimenti che sia mai stato messo in scena.
A proposito di violenza e segregazione, sarebbe utile ricordare che uno degli uomini che viene considerato in molto immaginario comune come il non plus ultra dell’innamorato, Heatcliff, si è macchiato di brutali e svariati reati che ora considereremmo di violenza domestica. Probabilmente un Erik, che ha conosciuto solo violenza e ha risposto con il dono e la libertà, dovrebbe guadagnare almeno qualche posizione.
Severus Piton ha educato almeno un paio di generazioni di ragazze di tutte le età (una di queste ragazze è mia madre) a innamorarsi senza quartiere di un uomo disposto a vivere e morire nella discrezione di un amore non corrisposto. Gli è stato preferito il bulletto della scuola. E lui, fedele al ricordo della donna mai avuta, spezzato dalla sua morte, ne protegge di nascosto il figlio, fino al sacrificio finale. È vilipeso, odiato, soprattutto da noi lettori, con un acme perfettamente identificabile con l’omicidio con cui si chiude il penultimo dei libri. Quando tutto si spiega, ci vergogniamo. Lui non è dalla parte del Bene, non è dalla parte del Male. Lui è servo devoto di un amore mai consumato, qualsiasi ne sia il costo.
Eppure ancora manca un tassello, in questi uomini che hanno creato immaginario, ed è stato riempito con un libro non eccessivamente ben scritto ma assolutamente pazzesco nell’idea e nell’impianto, elementi sempre benvenuti nei best-seller per ragazzi.
In Hunger Games, a seguito di una rivolta, dodici distretti la cui vita è progressivamente misera a mano a mano che si allontanano da Panem, il centro, sono obbligati a dei giochi all’ultimo sangue in un’arena. Due rappresentanti per distretto sono pescati per sorteggio e mandati a massacrarsi finché non ne resterà soltanto uno. C’è Panem, e loro sono i Circenses. Il colpo geniale, in questa struttura che già occhieggia alle crisi sacrificali, è la diretta tv, la presenza degli sponsor, l’enorme meccanismo di visibilità che viene dato al massacro: una critica ferocissima alla società della spettacolarizzazione del dolore.
Katniss, che diventerà simbolo e capo di una rivolta generale, ama Gale, ma è amata da Peeta. Gale è ombroso, ribelle, cacciava con lei, fomenta la rivolta, arriva a procurare vittime civili con la sua irruenza. Peeta da piccolo le ha lanciato il pane del suo forno, l’ha seguita nell’arena, l’ha protetta, si è lasciato usare in una finta storia d’amore che li cavasse dall’impaccio di uccidersi a vicenda e ha sopportato di essere messo all’angolo al ritorno, è stato riprogrammato per ucciderla e non ci è riuscito. In ogni modo possibile, l’ha appoggiata e tutelata.
Gale è il ragazzaccio che sarebbe stato forse troppo facile suggerire come scelta a un pubblico di preadolescenti. Peeta è il giovane uomo che, discreto nella quotidianità ma deciso nelle emergenze, protegge senza paternalismo ma come automatismo del suo amore, che pure non cade nell’errore dello svuotamento e chiede in cambio, ma è paziente rispettoso. Spesso leggendo mi sono chiesta dove un’autrice così letta come Suzanne Collins avrebbe puntato la bussola, modellando necessariamente le aspettative di un’età così delicata. E che meraviglia quando a fine libro Katniss decide che è Peeta il compagno che vuole per sé. Un amore che è, finalmente, questione di merito.

© Giovanna Amato, che ringrazia per la prima scoccata di riflessione il magnifico gruppo di Aperitivo con libro, a cura di Anna Maria Curci, Cristina Polli e Patrizia Sardisco, e Silvia Giannini per la proposta di parlare, meravigliosamente, di Gaston Leroux.

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