Uscite quest’anno a poco tempo l’una dall’altra, Fantocci di legno e di suono a cura di Antonio Pane e l’edizione commentata di Lo splendido violino verde a cura di Umberto Brunetti sono opere che arricchiscono la bibliografia di Angelo Maria Ripellino sul duplice fronte della produzione critica e poetica. Entrambi già curatori ripelliniani per l’opera in due volumi Iridescenze. Note e recensioni letterarie (1941-1976) pubblicata lo scorso anno per i tipi Aragno, i due autori propongono oggi nei rispettivi lavori focus differenti anche per la cronologia: uno sulla gioventù del Ripellino studioso e uno sulla poesia della sua maturità.
Attraverso le prime lande della meraviglia
Recensione di
Angelo Maria Ripellino, Fantocci di legno e di suono
A cura di Antonio Pane
Aragno 2021
Per chi sia pronto a cogliere le fattezze dello studioso attraverso le rifrazioni dei modi e dello stile, dell’impostazione prospettica e della scrittura, è davvero «un bel ‘ritratto dell’artista da cucciolo’» – come confessa lo stesso curatore Antonio Pane citando in esergo Dylan Thomas – quello che di Ripellino emerge da Fantocci di legno e di suono (Aragno, pp. 87, € 12,00). Lieve riscatto dovuto per il pegno della raccolta completa di note e recensioni Iridescenze, questo volume snello e agile offre al lettore un’effige dell’autore ventiseienne ottenuta dalla composizione di due studi giovanili coevi: entrambi del 1949 e provenienti dalla rivista «Convivium», riuniti nel libello come in un locket a doppio inserto, i due saggi Il teatro di marionette nel romanticismo ceco e Chlèbnikov e il futurismo russo testimoniano infatti «un discrimine del suo destino».
Autore dall’età di diciassette anni e con una bibliografia ampia ed eclettica, il giovane Ripellino di Fantocci di legno e di suono è quello che indirizza la sua produzione saggistica verso i «due ambiti privilegiati» del russo e del ceco: e se nella differenza d’argomento gli studi ivi presenti tracciano già i confini «del terreno di gioco» – letteratura russa e ceca, teatro e poesia – allo stesso tempo, nelle convergenze tra i discorsi critici, essi designano quell’insieme di tratti che renderanno distinguibili, ad esempio, le pagine di Letteratura come itinerario nel meraviglioso. «Ripellino è già Ripellino», asserisce Antonio Pane, e ciò si ravvisa in primo luogo nella sua scrittura, erudita e mai pedante, bensì colta e curiosa, capace di trasportare il lettore nella stessa curiosità con cui lo studioso nutre le proprie passioni. Ma la scrittura che prende corpo in questi testi, riportati dal curatore secondo un criterio conservativo, non è il solo luogo, seppure essenziale, da cui traspare il carattere dello studioso: il fitto intreccio di notizie e documenti, aneddoti e giudizi è volto a materializzare per quei brani di storia culturale un racconto il cui narratore ha lo «sguardo lungo e stereoscopico»: dunque desideroso di restituirne, assieme alla veridicità, la vivacità.
I ritratti dei protagonisti e i panorami di ambienti e immaginari, reciproci e quasi sovrapponibili tra loro, spiccano in questo senso, grazie alla precisione dei relativi riferimenti filologici o aneddotici – tra fortune e soluzioni di continuità – i quali, nel continuo passaggio dagli «arbusti sottesi agli alberi monumentali» agli alberi monumentali stessi, donano profondità al rilievo dell’oggetto di studio: il risultato sono dei cammei complessi e raffinatissimi, vividi, ottenuti attraverso sia osservazioni dirette che mediate da interposizioni. Ripellino «tratta i suoi materiali come miti», ci dice ancora Antonio Pane, e ciò evidenzia la necessaria creatività insita nella ricostruzione fedele operata dal saggista – palese nella scrittura – così come la stratificazione di elementi, quasi insieme di vulgate, che è sottesa alla possibilità di decriptare l’interezza del materiale trattato e di cui egli nella ricostruzione si fa carico.
Matěj Kopecký e il teatro di marionette che simboleggia così come Chlèbnikov e il fermento poetico che trova in lui un capostipite sono allora presentati come figure e realtà sfuggenti, quasi appannate dai pregiudizi o dalla fama, dalle idee circolanti a proposito, motivo per cui la loro intima e autentica conoscenza può essere raggiunta solo attraverso la raccolta e disposizione delle tracce disperse e di quelle disponibili, sia che le abbiano prodotte, sia che le abbiano provocate. Altrimenti inaccessibili, lo studioso sembra tramutarsi in un geografo o un avventuriero pronto a cogliere dai rivoli i segnali di un possibile valico che lo porti più dentro i territori d’interesse, verso le fonti che hanno motivato determinati risultati. E connotati fin da subito come personaggi mossi da una inesausta tensione ideale, si voglia per tradizione da ridimensionare con i documenti o per impeto effettivo da avvalorare con i testi, gli stessi Kopecký e Chlèbnikov a loro volta appaiono come i protagonisti di una quête in cui le necessità della vita non hanno peso minore dei casi della letteratura. Seguendo le vicende a loro legate ci si trova dunque anche a seguire la lingua ceca dalle scene di Praga Bouda e u Hybernů ai baracconi da fiera in cui il teatro di marionette girovagava per le province boeme, infine alle parodie che di questi «pimprlata» si fecero per lo svago di salotti e circoli della società cittadina; similmente l’utopica arte verbale del poeta da Astrachàn e dal nome di «Gileja» – carico di allusioni arcaiche aperte ai primordiali kurgany e baby sciti – ai gruppi di pittori cubofuturisti di Mosca e al conflittuale incontro con Marinetti a Pietroburgo, dal mitologismo asiatico pronto a fornire assieme ad anacronismi «fantocci sonori» per la «sintassi infantile» e la «struttura disarticolata» dei poemi fino al suo zaum’ rivolto all’origine atomica e produttiva della lingua e diretto al cosmo.
Parafrasando la citazione con cui il volumetto si conclude, sebbene Ripellino non sia di certo tra gli studiosi più dimenticati, come non apprezzare e ricordare anch’egli come un «Colombo di nuovi continenti» qui ritratto all’imbarco, in partenza dalla sua Palos?
© Costantino Turchi