la ragnatela appesa al ramo del castagno
e i capelli genuflessi
il passaggio è aperto ma
sembra un varco sottile
dove si passa solo al buio
la bocca si è sciolta tempo fa
nei vigneti di mio nonno
bruciati dalla fatica
un invito
a cui ora non so più rispondere
come giustificare la nostra
disarticolazione?
ci profondiamo in formalismi
ci soppesiamo
possibile che non ci scuota
il desiderio di rapina?
è matematica distante, il nostro amore
staticità
potrebbe durare secoli
e non aprirsi mai
accusalo per le sovrapposizioni di fragilità
e non strapparti la mandibola a morsi
per una colpa imprecisa
la colla attacca le vibrisse
che ti scuoiano lentamente
mentre il fuoco si spegne sotto il sole
le punture dei rebbi sono troppo sottili
per non farsi sentire
hai fame di delicatezza
sommergiti
te l’avevo detto
che dovevi soffocarla nel sogno
la tua metà imprecisa
evitare il contagio
ti sembra poco?
il platano davanti a te
ha una cavità:
potresti nasconderti
in quello spazio umido
uno a uno
prendono commiato
oggi è il turno dello zio
e il presepe perde un altro pezzo
a volte
credo che dovremmo rinnegarci
o annegarci
arriveranno martedì
in un involucro di polietilene
protetti
da millenni
ci mandavano solo cartoline
ma ora scrosteremo il loro intonaco
troveremo argilla
sotto i dipinti?
subito dopo andranno via
– i signori elargiscono con parsimonia –
anche se forse non immaginano
cosa possa creare un incontro
sta crescendo, si vede
parole a scatti
poco coordinate
ma mirate
e stacca le calamite
come se avesse già capito
che bisogna recidere
prima di farsi amare
risposta ineccepibile
prima o poi dovremo pur soffocare
senza striature
carta d’identità violata
avevo le lentiggini in bocca
e un sano desiderio di colori
promettimi
che guarirai dai tuoi no
è più facile assecondare
riesce bene anche a me
specie quando comprendo l’attacco
delle vipere
infondiamoci a vicenda postulati non credibili
così potremo affondare
stando a galla
né avremmo potuto affievolirci
nelle inesattezze del dormiveglia
o prima di un salto attutito
al saluto non riesco a credere,
è quello che si attacca sulle unghie
a mantenermi in vita
torna presto
prima di adesso
più di quanto io riesca
a deglutire
con i denti insanguinati
il corridoio, una scia che va
e viene
tra odori fecali e scissioni
a una cicatrice di distanza
dall’ultima salvezza
il tormento affama, afferra
con artigli da simulatore
limitare i danni
appassirsi
Giuseppe Settanni, nato a San Giovanni Rotondo nel 1981, vive a Fano (PU). Laureato in Giurisprudenza, è avvocato e docente universitario. Ha pubblicato il romanzo Nero (Edizioni Palomar, 2010) e la silloge poetica Blu (Edizioni Ensemble, 2019; Premio Anselmo Filippo Pecci). Suoi testi sono pubblicati su vari blog e siti letterari, tra i quali «Poesia del nostro tempo», «La presenza di Erato», «Margutte», «Inverso – Giornale di poesia», «Poliscritture», «Poetry factory» e «Le stanze di carta».
Una replica a “Una domenica inedita #29: Poesie di Giuseppe Settanni”
Bellissima poesia
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