Ricordare è riordinare
segno a segno, fare
regno dell’inessenziale,
estinto e poi tornato.
Ricordare te è affilare,
taglio a taglio, fare pegno
del dolore in cambio
della regola che tu sei
nel passato. Scordarmi
di te sarebbe, pezzo a
pezzo, esser viva in vie
distorte, uscire dal senno,
uscire dal senso senza
passare per la morte.
Immagino i bambini
scavare tane nella neve
col respiro, uno vicino
all’altro, soffiare urla
di vapore fino al mattino.
Immagino i bambini
fare scorta del calore,
fare scarto dell’amore,
tenersi il pianto come
un cristallo fra le dita.
Eccoli i bambini
statue di pietra,
ghiaia di maceria
sul binario storto
della storia.
Non far di te un granello
di rabbia, un ticchettio
ruminate della stessa parola,
dello stesso assolo che
infuoca e baccaglia.
Accorcia la traccia, varia
la metrica, inventa un
punto di svolta, a volte il
dolore è solo un racconto
che racconta troppo di sé.
Una geometria d’imperfetto,
sentire lo storto, lo stretto
e non svoltare la via,
averti come un incastro
nel petto, e sforzare,
girare, far combaciare
tutto il non dato, tutto
il non detto, il nostro,
il mostro incarnato.
© Giulia Catricalà, poesie da Ombre convesse (raccolta inedita)