«Una strana amicizia, i libri hanno una strana amicizia l’uno per l’altro. Se li chiudiamo nella mente di una persona bene educata (un critico è soltanto questo), lì al chiuso, al caldo, serrati, provano un’allegria, una felicità come noi, esseri umani, non abbiamo mai conosciuto. Scoprono di assomigliarsi l’un l’altro. E ognuno di loro lancia frecce, bagliori di gioia verso gli altri libri che sembrano (e sono e non sono) simili. Così la mente che li raccoglie è gremita di lampi, di analogie, di rapporti, di corti circuiti, che finiscono per traboccare. La buona critica letteraria non è altro che questo: la scoperta della gioia dei libri che si assomigliano.»
Mario Praz

Il bimbo perduto
a te che sei chissà in che cielo
a te che non hai avuto occhi e bocca
a te che sei rimasto appeso a una corda non tua
a te che eri un sogno una speranza
a te che non sai il mio nome né il tuo
a te che eri Ernesto Emiliano e non sei stato
a te che eri e sei il solo figlio
Antonio Nazzaro, inedito
REQUIESCAT
Tread lightly, she is near
Under the snow,
Speak gently, she can hear
The daisies grow.
All her bright golden hair
Tarnished with rust,
She that was young and fair
Fallen to dust.
Lily-like, white as snow,
She hardly knew
She was a woman, so
Sweetly she grew.
Coffin-board, heavy stone,
Lie on her breast,
I vex my heart alone
She is at rest.
Peace, Peace, she cannot hear
Lyre or sonnet,
All my life’s buried here,
Heap earth upon it.
REQUIESCAT
Fate piano, ella è qui presso,
Sotto la neve,
Parlate sommesso, ode persino
Crescere le margheritine.
Tutti i suoi vividi capelli d’oro
Offuscati di ruggine,
Lei, così giovane e bella,
Caduta in polvere.
Liliale, bianca come neve,
Quasi ignorava
D’essere donna, tanto
Dolcemente era cresciuta.
Asse di bara, pietra tombale,
Gravano sopra il suo petto;
Io, desolato, tormento il mio cuore,
Ella riposa.
Basta, ora, basta; non può ella udire
Lira o canzone;
Qui l’intera mia vita è sepolta.
Ammucchiate terra sopra di essa.
da Poesie di Oscar Wilde
(trad. di Carlo Izzo e Valentina Vetri)
GIORNO PER GIORNO
“Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto…”
E il volto già scomparso
Ma gli occhi ancora vivi
Dal guanciale volgeva alla finestra,
E riempivano passeri la stanza
Verso le briciole dal babbo sparse
Per distrarre il suo bimbo…
Ora potrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani…
E discorro, lavoro,
Sono appena mutato, temo, fumo…
Come si può ch’io regga a tanta notte?…
Mi porteranno gli anni
Chissà quali altri orrori,
Ma ti sentivo accanto,
M’avresti consolato…
Mai, non saprete mai come m’illumina
L’ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più…
In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null’altro vedano
Quando anch’essi vorrà chiudere Iddio…
E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto!…
Sono tornato ai colli, ai pini amati
E del ritmo dell’aria il patrio accento
Che non riudrò con te,
Mi spezza ad ogni soffio…
Passa la rondine e con essa estate,
E anch’io, mi dico, passerò…
Ma resti dell’amore che mi strazia
Non solo segno un breve appannamento
Se dall’inferno arrivo a qualche quiete…
Sotto la scure il disilluso ramo
Cadendo si lamenta appena, meno
Che non la foglia al tocco della brezza…
E fu la furia che abbatté la tenera
Forma e la premurosa
Carità d’una voce mi consuma…
Non più furori reca a me l’estate,
Né primavera i suoi presentimenti;
Puoi declinare, autunno,
Con le tue stolte glorie:
Per uno spoglio desiderio, inverno
Distende la stagione più clemente!…
Rievocherò senza rimorso sempre
Un’incantevole agonia di sensi?
Ascolta, cieco: “Un’anima è partita
Dal comune castigo ancora illesa…”
Mi abbatterà meno di non più udire
I gridi vivi della sua purezza
Che di sentire quasi estinto in me
Il fremito pauroso della colpa?
Fa dolce e forse qui vicino passi
Dicendo: “Questo sole e tanto spazio
ti calmino. Nel puro vento udire
Puoi il tempo camminare e la mia voce.
Ho in me raccolto a poco a poco e chiuso
Lo slancio muto della tua speranza.
Sono per te l’aurora e intatto giorno”
da Il dolore di Giuseppe Ungaretti