, , , , , ,

“Il sabato tedesco” #1: Felicitas Hoppe, Johanna (intervista di Cristina Polli)

“Il sabato tedesco”, rubrica da me curata per Poetarum Silva, prende il nome da un racconto di Vittorio Sereni e si propone di raccogliere riflessioni, conversazioni, traduzioni intorno a testi letterari. (Anna Maria Curci)
Felicitas Hoppe, foto di ©Anita Affentrager

 

La prima puntata della rubrica è dedicata all’intervista di Cristina Polli a Felicitas Hoppe sul romanzo Johanna (edizione originale Fischer 2006, edizione italiana Del Vecchio 2014 nella traduzione di Anna Maria Curci)
  1. Lei ha insegnato tedesco come lingua straniera, ha studiato il russo e l’italiano. Queste cose hanno mutato il suo sentimento della lingua, il suo lavoro di scrittura, le scelte linguistiche, le strutture?

Occuparsi sia della propria lingua sia di altre lingue amplia sostanzialmente l’orizzonte – è un’attività emancipatrice, non solo perché essa comporta un incremento di strumenti, ma anche perché mostra la limitatezza della propria lingua, ogni lingua si scontra con dei limiti, non tutto può essere espresso con le parole. Riconoscere questo è fondamentale!
Apprendere e insegnare una lingua significa anche affrontare in maniera produttiva gli errori che spesso sono fonti meravigliose di creatività e promuovono l’apertura al gioco linguistico. Mi ricordo di uno studente che concluse un piccolo testo letterario con la frase: “E vissero fenici e consenti”.[1] Naturalmente questo, secondo la norma, è una frase scorretta, perché si dovrebbe dire “felici e contenti”, eppure non l’ho corretta, bensì, al contrario, l’ho inserita nel mio repertorio linguistico – così può capitare, talvolta, che gli “errori” diventino letteratura!
Nello scambio con altre lingue, la lingua si rinnova e torna a essere creativa. Ed è viva, continua ad evolversi ininterrottamente. Sebbene essa, proprio in tempi di lingua presumibilmente “corretta”, venga costantemente standardizzata dal punto di vista ideologico, ciononostante, grazie a Dio, finisce per non farsi imbrigliare.
Inoltre, ancora oggi sogno di scrivere un libro in un’altra lingua, perché ho la sensazione che in quel caso sarei più libera, più coraggiosa, più spontanea e meno perfezionista – la padronanza di una lingua può essere anche un vincolo, una catena, come indica il concetto di padronanza, di dominio.

 

  1. Perché “Pinocchio” è il suo personaggio letterario preferito?

La maggior parte dei critici crede che l’attrattiva esercitata su di me da Pinocchio risieda soprattutto nella sua tendenza a dire bugie, con la qual cosa mi si vorrebbe attribuire l’etichetta di “mentitrice letteraria”. Sciocchezze: la letteratura non mente, trasforma; questo non ha nulla a che fare con le fake news. Chiamo questo “invenzione onesta” (vedi Pigafetta).
No, il mio amore per Pinocchio ha a che fare piuttosto con la toccante vivacità e umanità di questo personaggio, con tutti i suoi punti di forza e tutte le sue debolezze, al quale capita di tutto, tutto ciò che può accadere a un essere umano. Pinocchio è spericolato e coraggioso, allo stesso tempo estremamente ingenuo e sensibile al richiamo delle tentazioni, ma anche solidale e leale. Inoltre, e questo lo rende decisamente diverso dal suo fratello anglosassone Peter Pan, egli vuole diventare ADULTO, un “ragazzo vero”, in altre parole: non desidera essere un burattino, ma una persona, per la quale il puro gioco diventa un momento di responsabilità. Non scompare in misteriosi mondi paralleli, ma abita nel solo e unico mondo nel quale noi tutti viviamo e nel quale realtà e magia coincidono.
Non per ultimo, lo amo, ovviamente, perché è dentro l’avventura e va incontro al mondo con stupore. Per me Pinocchio è l’essenza della letteratura universale!

Felicitas Hoppe e Pinocchio
  1. Scorrendo i titoli dei suoi libri si nota che molti protagonisti sono famosi per le loro avventure, per essere personaggi d’azione, anche Johanna lo è, e tra le letture poetiche troviamo «Abenteuer. Was ist das?», Avventura, che cos’è? Ecco: cos’è l’avventura, perché è poeticamente rilevante?

L’avventura è per me il sinonimo poetico perfetto per la prosa: Movimento! Partire, incamminarsi, andare per il mondo, attraversare la foresta oscura e aspettare ciò che viene INCONTRO. Nel senso della “aventiure” medievale, che nel suo significato non indica ciò che cerchiamo, ma ciò che avviene, ciò che ci viene incontro. Per me l’avventura ha a che fare, dunque, non tanto con un obiettivo concreto verso il quale mi dirigo, quanto piuttosto con una grande curiosità di fondo, che allo stesso tempo è disponibilità all’incontro e all’accordo. L’avventura si basa quindi non tanto su aspettative preordinate, quanto sul fatto che c’è qualcosa che dà adito allo stupore – e con questo saremmo tornati a Pinocchio.
In tal modo si tratta, naturalmente, della metafora perfetta per il mio processo di scrittura: è vero sì che ho qualcosa in animo, ma non so mai dove questo mi condurrà. Scrivendo reagisco, dando forma a ciò che mi si fa incontro e lo integro nel testo. Chiamo tutto questo anche il “principio di Cappuccetto Rosso”: chi non si allontana dal sentiero non incontra neanche alcun lupo.

  1. Inoltre a proposito di avventure, di azione, cosa significa l’esitazione dell’io narrante? Come si pone rispetto a azione, studio, meditazione, contemplazione, passività (azione vs esitazione in “Johanna”)?

Qui Lei tocca un punto fondamentale sul quale rifletto da quando scrivo. La narratrice in Johanna riflette, la qual cosa accade costantemente alla stessa autrice Felicitas Hoppe quando scrive: ella vorrebbe, come Johanna, intervenire attivamente nella storia, ma viene costantemente richiamata a tornare indietro dalla sua capacità di riflessione (che è la condizione basilare per la scrittura!). Questo è il suo conflitto di fondo, che fa riferimento anche al conflitto di ogni atto di scrittura: è possibile, come persona che (de)scrive, essere parte attiva della società? Tutto ciò che è scritto non giunge forse con una differenza di fuso orario, spostato in avanti nel tempo? Noi che scriviamo non arriviamo sempre, in qualche modo, “troppo tardi”, perché dipendiamo dal nostro fare un passo indietro? Dal fare domande, dallo scetticismo? O è magari proprio questa esitazione che ci fa essere, alla fine, “in anticipo sui tempi”?
Proprio nel nostro presente, nel quale l’attivismo politico viene sempre più contrapposto al lavoro artistico e l’arte (la letteratura) riveste un ruolo subordinato, queste domande acquistano per me una sorprendente attualità.
Per concludere il discorso: guardi le immagini di Greta Thunberg – l’iconografia e le raffigurazioni di Giovanna d’Arco si assomigliano come gocce d’acqua …
Potrei scrivere ancora molto altro in risposta alle Sue domande estremamente interessanti, ma, sfortunatamente, mi manca il tempo per farlo, per questo motivo mi limito, in prima battuta, a ciò che ho scritto, La ringrazio per l’attenzione e Le invio molti cordiali saluti.

 

Domande di Cristina Polli, Roma, 26 giugno 2020
Risposte di Felicitas Hoppe, Berlino, 27 giugno 2020
Traduzione di Anna Maria Curci, Roma, 27 giugno 2020

 


[1] Nell’originale: «und dann führten sie ein sauses und brauses Leben», una creazione linguistica rispetto al modo di dire «in Saus und Braus leben», che significa “fare la bella vita”.

Una replica a ““Il sabato tedesco” #1: Felicitas Hoppe, Johanna (intervista di Cristina Polli)”

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un’icona per effettuare l’accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s…

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: