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Felicitas Hoppe, Pigafetta

Oggi è il compleanno di Felicitas Hoppe. Con i nostri auguri, pubblichiamo la presentazione del suo primo romanzo, Pigafetta, e la traduzione inedita dell’incipit.

 

Felicitas Hoppe, Pigafetta (1999), Fischer Verlag 

Nel primo romanzo pubblicato, Felicitas Hoppe dispiega generosamente tutte le caratteristiche della sua prosa: intreccio di più piani narrativi e cronologici, una tela tutta d’un pezzo che, tuttavia, ha una pluralità di fili costituita da letture prima interiorizzate, fatte proprie e inglobate in un’autobiografia vera e fittizia allo stesso tempo (ma che cosa è vero, che cosa è fittizio, ci suggerisce la stessa autrice, anche a posteriori, nella sua opera Hoppe 2012,  che non a caso menziona Pigafetta fin dalle primissime pagine?), poi esternate, con una restituzione tutta particolare e, soprattutto, noncurante della tradizionale compilazione di eventi. Un procedimento, questo, che trova nel Tristram Shandy di Lawrence Sterne un padre putativo laboriosamente all’opera. La questione del tempo, del calcolo cronologico e degli strumenti sui quali gli umani si sono accordati, gli orologi, riveste un ruolo giocosamente importante, come avveniva nell’opera di Sterne, attraversa il romanzo Pigafetta e compare sin da uno dei paragrafi iniziali, intitolato, appunto, Orologi. Altri tributi letterari costellano il romanzo: a Moby Dick di Melville, alla balena biblica del profeta Giona, ma, principalmente, alla balena di Pinocchio dell’amato Collodi, ad Adelbert von Chamisso di Viaggio intorno al mondo, a Poe di Gordon Pym, a Conrad di Cuore di tenebra.

In otto più un’ultima notte, Felicitas Hoppe intreccia il proprio resoconto di viaggio, effettivamente svolto e del quale la FAZ aveva già pubblicato sette stralci, su una nave portacontainer – circumnavigazione con partenza e arrivo ad Amburgo – con il racconto di Pigafetta che, nella cabina a lei assegnatale, sta seduto sotto l’orologio oscillante “con l’orecchio teso al passare del tempo”. Pigafetta è Antonio Pigafetta, il nobile vicentino che fu tra i pochi sopravvissuti alla spedizione (1519-1522) di Ferdinando Magellano. Fu Pigafetta a redigere su quella drammatica esperienza la Relazione del primo viaggio intorno al mondo. Nel mondo circoscritto dell’imbarcazione, con qualche significativa discesa sulla terraferma, ci si imbatte in personaggi strampalati, raramente chiamati con un nome proprio, se si fa eccezione per Pigafetta, ovviamente, e, tra i passeggeri paganti,  per la coppia di agenti immobiliari, il signore e la signora dal bizzarro cognome Happolati: ciurma ed equipaggio, il primo ufficiale, il comandante della nave, il pilota, il cuoco; tra i passeggeri paganti – che però sono stati messi subito al corrente del fatto che è il carico ad avere la priorità –  il geografo britannico, l’idraulico francese, il titolare di una piantagione di pesche e l’io narrante, che occupa la cabina dell’ufficiale pagatore, di cui le navi odierne non si servono più. Ci sono poi i personaggi rievocati da Pigafetta, nel suo racconto che si alterna a quello dell’io narrante. Ci sono Nobell e Canossa, due personaggi designati visibilmente con soprannomi allusivi.  C’è una sorella bellissima, c’è un vescovo, ci sono i clandestini a bordo. Non può mancare un ammutinamento, come non possono mancare tempeste e bonaccia. Chi legge scoprirà con quali tratti essi si presentino in questa  vicenda che ha tutte le caratteristiche “à la Hoppe” della serissima fantasia, del gioco al limite del rischio, di discesa al fondo.

© Anna Maria Curci

***

Prima notte

Cari, è solo una gita, niente di più. Tra qualche giorno sarò di ritorno, siederò di nuovo a tavola, il secondo commensale da destra. Nel frattempo tengo gli occhi aperti. Vi stupirò con immagini che normalmente non si possono vedere. Quanto amo queste gite scolastiche e, la sera, preparando il baule con i bagagli, la fede certa che le cose resteranno sempre uguali. Se tuttavia qualcuno dovesse sposarsi, allora auguro fortuna nella scelta dei testimoni e degli ospiti.
Che cosa occorre portarsi appresso: canna da pesca, esca, filo. Cappelli e ombrello. Meridiana, bussola e carta. Anelli salvagente per ogni dito. In cima a tutto la lettera di raccomandazione per il capitano generale, che ha deciso di cercare isole in cui vivono nani con le orecchie grandi, un orecchio che serve loro da letto e l’altro da coperta. Vivono, questi nani, in grotte che si trovano a grande profondità sotto terra e fuggono emettendo suoni striduli, non appena scorgono un estraneo. Il capitano generale non riferì a nessuno del suo piano, perché non voleva destare diffidenza.
Quando uscimmo dal porto c’era un tempo radioso. Alcuni ritenevano persino di aver visto la Santa Vergine che dall’alto sorrideva sulla nave, e lo interpretarono come un buon auspicio. Pochi giorni dopo fummo investiti da violente tempeste che, insieme a correnti avverse, intralciarono il nostro viaggio, e alcuni dissero apertamente che preferivano tornare indietro, perché non avevano pagato per questo.

Disposizione
dei
segnali di pericolo

Orologi

Sotto l’orologio oscillante alla parete della mia cabina al terzo piano sopra l’oceano Atlantico, sta seduto Pigafetta con l’orecchio teso al passare del tempo. Alcuni anni fa, quando non ha più alcuna importanza nei suoi calcoli cronologici, ha perso l’interesse per le faccende della terraferma ed è salito su una nave. Appena apro la porta, comincia a ridere. Mi riconosce subito, non sono mai stata su una nave. Ora sediamo nella stessa trappola, in viaggio verso ovest.
Dappertutto sulla nave orologi, nelle cabine, nel locale mensa, nella cucina, come se qualcuno temesse che al primo sciabordio delle onde potessimo perdere il ricordo della terraferma. Ogni sera, con fare obbediente, metto indietro di un’ora il mio orologio e, felice per il tempo guadagnato, fisso lo sguardo sul tramonto. Ma c’è cattivo tempo, dipendo completamente dalla mia capacità di immaginazione.
Il mattino della partenza era ancora bello e chiaro. Accanto a me sul ponte di coperta c’era il geografo britannico che, con la sinistra stesa in avanti, mi mostrava Amburgo, i cui contorni andavano sfumando, mentre con la destra si reggeva il cappello sulla testa. Il cappello era stato lavato a temperature troppo alte per la sua testa, che, come vidi dopo a tavola, era liscia e tonda come un mappamondo, una di quelle teste in cui nel corso di una vita si stipa così tanto sapere che, inevitabilmente, essa deve dilatarsi, mentre occhi, orecchie e naso si rimpiccioliscono progressivamente, come se tutto il mondo, lentamente, si ripiegasse all’interno.
Comunque era anche un po’ sordo, perché non si limitava a parlare, ma strillava la bellezza e la magnificenza di quella città, con un tunnel di tre virgola tre chilometri di lunghezza, con un teatro dell’Opera statale e un Istituto per la Pesca, crocevia aereo del nord, bella quasi come l’Inghilterra, le mancava solo la regina, senza la quale una città non è una città e un paese non è un paese.
Ma erano altri tempi, quando il geografo era giovane e volava ancora per la sua regina. Quando chiese all’ufficiale verso dove stessero dirigendosi in volo, l’ufficiale rise e gli bendò gli occhi. È un’esercitazione, disse, e salirono a bordo. A metà strada strappò loro le bende dagli occhi e domandò: dove siamo ora? Sotto di loro non c’era altro che acqua, tutti tacevano. Ma il geografo aveva studiato tutto, riconosceva da qualsiasi altezza, a qualsiasi ora del giorno e della notte, le carte geografiche, le curve, i bordi disegnati dalla terraferma, l’acqua. Africa, strillò il geografo, e l’ufficiale inarcò le sopracciglia e gli diede una promozione.
Alcune settimane dopo sorvolarono il deserto e precipitarono, anche l’ufficiale, strillò il geografo, che fu l’unico sopravvissuto tra i rottami e che da allora non è mai più salito su un aereo.

Da: Felicitas Hoppe, Pigafetta (prima edizione 1999), Fischer Taschenbuch 7-12
Traduzione di Anna Maria Curci


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