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Annelisa Alleva, Sulla poesia di Milo De Angelis

In occasione del compleanno di Milo De Angelis, pubblichiamo oggi un saggio ricco e ampio, scritto da Annelisa Alleva, consapevoli della vastità che da sempre accompagna il poeta nella scrittura, così fedelmente legata all’origine, a ciò che è primigenio e antico, la cui eco per questo dura, nel tempo, oltre il tempo, e ci parla. Si tratta di un’occasione a nostro avviso preziosa per ripercorrere l’opera di De Angelis, con lampi di nuova luce sulla sua poesia. Riportiamo qui inizialmente solo un estratto, alcuni passaggi salienti, con l’opportunità tuttavia di scaricare il saggio nella sua interezza in versione PDF. (CP)

 

Milo De Angelis (by Dino Ignani)
Sulla poesia di Milo De Angelis

 

Dove non c’è niente di intero

Noi di gelido filo, noi cresciuti
su un muro, gettando colla sui gessetti, chiudendo
a quel ventilabro di parole la nostra sola interezza.

.        da La marchiatura (in Distante un padre)

Per l’humus generale che li permea, i primi versi di Milo De Angelis risentono, anche senza un ri­scontro diretto, dell’epoca in cui il poeta era adolescente, la seconda metà degli anni ’60, i primi ’70, con il ribellismo sociale e privato che li caratterizzava: la droga, la musica rock dagli arrangia­menti psichedelici, i gemelli fotografati da Diane Arbus, l’enigmatica atmosfera esistenzialista dei dialoghi di Dylan Dog, nato dopo ma sulla scia di quell’epoca, le espressioni stralunate di Carmelo Bene quando recitava le poesie di Majakovskij.
Alla misura intesa come distanza spaziale, temporale ed esistenziale fra sé stessi e gli altri, e fra sé stessi e gli eventi vissuti, cercando un confronto e allo stesso tempo evitando l’identificazione, si riferiscono quasi sempre i titoli delle sue raccolte.
In Somiglianze (1976) domina la ricerca della similitudine, che ha a che fare con l’identità;[1] ne La corsa dei mantelli (1979) la distanza in una corsa astratta; in Millimetri (1983) la ricerca della fa­mosa «parola perimetrata», come la definì uno dei suoi padri spirituali, Franco Fortini; in Distante un padre (1989) la distanza temporale fra generazioni; in Biografia sommaria[2] (1999) quella fra la vita vissuta e la biografia; nel Tema dell’addio (2005) la distanza fra chi resta e chi ci ha lasciati per sempre; in Incontri e agguati (2015) il tentativo di distanziare la morte.
Vi abbondano, per questo, le misure e gli strumenti di misurazione: bilance, cronometri, termome­tri, orologi, chilometri, numeri, ore.
La misura è alla radice della poesia, nel metro, e l’associazione ne è elemento essenziale.
[…]
La religione fa parte del periodo della sua formazione, risale alle scuole medie dai salesiani dell’Istituto Gonzaga. Nei Colloqui sulla poesia il poeta racconta di aver avuto «un’infanzia lutera­na» in «scuole religiose».[3] La religione è fortemente radicata nel suo passato.
La scuola s’identifica con la religione, ed è presente, presentissima in questi versi con tutti i suoi accessori: righello, compasso, «il quaderno ustionato», o «essiccato», «il voto di condotta», le aste, i gessetti, la lezione di storia, l’aula, il professore che «spiegava geografia», «la guerra punica», l’appello, i paradigmi. Diverse poesie hanno titoli che ricordano la scuola: Tre nel dodici, Analisi del periodo, Cartina muta, Cum più ablativo. De Angelis della scuola sembra amare proprio il ger­go scolastico, le espressioni che abitualmente si perdono nel tempo quando si smette di frequentar­la: una sezione di Tema dell’addio s’intitola, creando un’ambiguità di senso, Scena muta.
[…]
La poesia di De Angelis è fortemente radicata nella città di Milano, e suoi maestri sono stati i poeti della Linea Lombarda, in particolare Giovanni Raboni, Franco Loi, Delio Tessa, e poi, fra i poeti italiani degli ultimi anni, Piero Bigongiari, al quale ha dedicato la sua tesi di laurea, Mario Luzi.
Milano è una città che può appartenere: non troppo frequentata dai turisti e introversa, coi suoi cor­tili e i giardini segreti invisibili a chi passa. Attiva, intraprendente, pulsante, bombardata e rimessa in piedi. Letteraria e ascetica con le sue periferie anonime, che Milo De Angelis predilige al centro. Coi suoi cinema, luogo d’incontro di solitudini, che predilige ai teatri. Luogo freddo d’inverno e di una bellezza poco appariscente. Di Milano il poeta dà una toponomastica precisa: nomina le vie, i cinema, le periferie, allo stesso modo in cui chiama per nome gli amici.
Costruita, coerente, pudica, esatta e allucinata come una città del nord è anche questa poesia. La scandiscono i suoi elementi: l’arredo urbano come gli indumenti personali.
[…]
La raccolta Tema dell’addio segna all’interno dell’opera di De Angelis una tappa molto importante.
Il lutto non si può dire che sconquassi la sua poesia, ma la scioglie. Soprattutto scioglie un po’ di oscurità: non ci sono più quei salti vertiginosi di senso; qui è come se le maglie del filtro del suo di­stillato poetico si fossero un po’ – ma solo un poco – allentate, e il testo si aprisse più chiaro alla lettura.[4] L’aggettivo sembra prendere il sopravvento sul nome in un gioco spietato della verità, in cui il tono conserva l’afflato di una preghiera e nell’ossessione della misura entra il rimpianto:

Non è più dato. Uno solo è il tempo, una sola
la morte, poche le ossessioni, poche
le notti d’amore, pochi i baci, poche le strade
che portano fuori di noi, poche le poesie.[5]

Il verbo «essere» viene alternato all’«avere», dove l’«essere», legato alla Legge del destino, a quel­lo che ci sovrasta, al «cosmico», s’intreccia all’«avere» come al «singolare», in una scansione di frasi brevi, dal ritmo incessante, all’interno delle quali l’affermazione si alterna alla negazione:

Non c’era più tempo. La camera era entrata in una fiala.
Non era più dato spartire l’essenza. Non avevi
più la collana. Non avevi più tempo. Il tempo era una luce
marina tra le persiane, una festa di sorelle,
la ferita, l’acqua alla gola, Villa Litta. […][6]

Molte sono le espressioni duplici nel Tema dell’addio, tutto sembra voler dire più cose, coprirsi di ambiguità. È la morte a spalancare i doppi sensi:

[…] questa morte
che non ha più tempo.[7]

Come interpretare questo verso? La morte è impaziente, non può più aspettare, oppure la morte è uscita dal tempo, è lei stessa un lago immobile, come aveva definito Giovanna Sicari, sua moglie e compagna di poesia, il tempo della malattia nella sua bella, ultima raccolta, intitolata, appunto, Epoca immobile,[8] che fece appena in tempo a vedere pubblicata?
Lo stesso titolo della sezione che comprende questa poesia, «Trovare la vena», ha una sua ambigui­tà di senso, perché la vena è anche quella astratta, poetica.

[…] Ognuno
è lo stadio terminale, ognuno è l’estate, […][9]

Lo stadio terminale della malattia è come se dilagasse, contagiando tutti di sé. Ma non si può fare a meno di pensare, qui, nell’opera poetica di De Angelis, a uno stadio che indichi solo il livello della malattia e non, anche, allo stadio sportivo e ai suoi gradoni.
[…]

© Annelisa Alleva

 


[1] Cruciale, in questo senso, la poesia Lo scheletro del pesce in cui scrive: «È così:/ nei tuoi occhi riconoscono tua ma­dre/ e ne approfittano. Possono./ Possono quando vogliono. Vogliono sempre./ Guarda. Non permettono che qualcuno distingua/ tra le frasi e quello che uno ha»; cfr. Somiglianze, Guanda, Parma 1976, p. 90 (ora in Milo De Angelis, Tutte le poesie 1969-2015, Postfazione e Nota bibliografica di Stefano Verdino, Mondadori, “Lo Specchio”, Milano 2017, pp. 33-34).
[2] Questo titolo rimanda a una poesia di Wisława Szymborska, Scrivere il curriculum, dove la poetessa polacca mette in risalto il contrasto fra il curriculum e la vita realmente vissuta. Cfr. Wisława Szymborska, Vista con granello di sabbia, Adelphi, Milano 1998, a cura di Pietro Marchesani, pp. 167-168.
[3] Colloqui sulla poesia. Milo De Angelis, a cura di Isabella Vicentini, La Vita Felice, Milano 2008, p. 114.
[4] In La stazione senza treni scriveva, circa trent’anni prima: «Cercavo di essere difficile./ Descrivevo il rosso dei gerani solo se era sbiadito./ Tutto così: erano queste le decisioni» (cfr. Somiglianze, in Tutte le poesie, cit., pp. 52-53).
[5] Vedremo domenica, in Tema dell’addio, in Tutte le poesie, cit., p. 288.
[6] Non c’era più tempo. La camera era entrata in una fiala, in Tema dell’addio, in Tutte le poesie, cit., p. 289.
[7] Cresce l’ansia nei bicchieri», in Tema dell’addio, in Tutte le poesie, cit., p. 298.
[8] Giovanna Sicari, Epoca immobile, Jaca Book, Milano 2004.
[9] Milo De Angelis, È follia di tutti, l’estate, traffico, in Tema dell’addio, in Tutte le poesie, cit., p. 298.


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