IL CANTO DELL’AMORE
(Una domenica dopopranzo al cinematografo)
Amo la folla qui domenicale,
che in se stessa rigurgita, e se appena
trova un posto, ammirata sta a godersi
un poco d’ottimismo americano.
Sento per lei di non vivere invano,
di amare ancora gli uomini e la vita.
E le lacrime salgono ai miei occhi,
e mi canta nel cuore una canzone:
«Di’, non ricordi una maglia arancione,
e dello stesso colore un berretto,
che la faceva simile a un’arancia?
Di’, non ricordi la piccola Erna?»
È ancora viva la piccola Erna;
anzi è più viva e più allegra d’allora.
Io la credevo altrove, e qui non sola
la vidi, e in compagnia per la non bella.
«Ero – mi disse poi – con mia sorella
e col suo sposo.» Ed io non t’ho creduto.
O buona, o cara, o piccola bugiarda,
mai t’ho creduto. E di crederti ho finto.
Fummo, un poco, infelici. E quando estinto
lo credi, il cuore a battere ritorna.
E mai non batte così come quando
a lui morto cantavi un miserere.
Non sono cose dolcissime e vere
che ho dette? E non son forse io un solitario?
Ed un poeta? E insieme anche qualcosa
d’altro e di meglio? Or questo a che mi vale?
Se questa folla qui domenicale
mi fosse estranea, mi fosse remota,
un cimbalo sarei che senza grazia
risuona, un’eco vana che si perde.
Una replica a “I poeti della domenica #317: Umberto Saba, Il canto dell’amore”
L’ha ribloggato su Paolo Ottaviani's Weblog.
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