Valerio Magrelli, Il commissario Magrelli, Einaudi, 2018; 15 €
«Tutto funziona, solo l’uomo no» è la secca affermazione che troviamo in apertura di libro, in esergo. Una frase intrigante di Hugo Ball, poeta e regista tedesco (1886-1927); intrigante perché dà giustamente adito a un dubbio interpretativo, secondo la sfumatura che si sceglie nella lettura: funziona l’uomo, ma non da solo, oppure proprio soltanto l’uomo non funziona.
E se partiamo dal bivio offerto da questo dubbio sottile, è nel gioco del commissario/poeta che il doppio si esprime maggiormente. Nella quarta di copertina Valerio Magrelli scrive: «Quando ho incontrato il commissario mio omonimo, confesso di essere rimasto sorpreso… mi ha stupito la caparbietà, l’ostinazione con cui l’ho visto viaggiare… la sua specialità sembra consistere nella difesa della vittima…». E subito il doppio prova a spiegarsi, nella prima poesia riportata anche in copertina, il poeta dichiara: «… mi faccio commissario/ della poesia/ e parto sulle tracce dei misfatti/ che restano impuniti a questo mondo». Lo fa con la sua riconoscibile, caratteristica intelligenza.
È sempre un ragionamento il suo. A volte è un “gioco” di parole (a pagina 15, a pagina 21 e a pagina 43 troviamo tre esempi particolarmente efficaci, brillanti), altre volte si tratta di qualcosa di più: Magrelli, da poeta, la rivoluzione la fa rivoluzionando la frase, mutandone i termini e quindi il senso tramite un rivolgimento del pensiero. Così certe frasi di uso comune diventano: «Qualcuno tocchi Caino» (a pagina 29) e «condannato a amore» anziché «condannato a morte» (a pagina 33).
Dentro una rassegna di orrori, questa «piccola ma nutrita enciclopedia del reato» – come lo stesso commissario indica – Magrelli sa scegliere: sceglie, veramente, di prendere le difese della vittima e offre indicazioni precise: «Donne, paesaggio e infanzia,/ tutto ciò che è indifeso, vulnerabile,/ deve restare intatto,/ tabù,/ SACRO». Colpisce questa parola scolpita, “urlata” e inamovibile: stupro, incendio doloso, pedofilia sono dunque ai suoi occhi i mali più sconcertanti, i peggiori reati, intollerabili.
Il poeta-commissario continua a pensare e se da una parte invoca il “Freno”, per governare, dall’altra sente necessario l’ostacolo insito nell’etimo di “Salvezza” (da Σωτηρία: saltare l’ostacolo), per non essere perduti.
Altre parole-tema percorrono il libro, ma tutte sembrano radunarsi intorno a due parole-madre, che rappresentano ciascuna un’idea: integrità e incolumità.
Proprio a questo il commissario vuole riportarci, queste sono le idee che il poeta vorrebbe recuperare e difendere con l’arte della parola.
Una poesia poi spicca per bellezza, di ispirazione, composizione e ragionamento. È un esempio, alto, che ci dice che una poesia civile è possibile. Leggiamo, a pagina 28:
Chi dà fuoco ad un bosco
spesso è qualcuno che vive nei boschi,
ma come un lupo, un albero o una pietra:
non coglie la bellezza inerme a cui appartiene,
e dunque la distrugge
senza neanche accorgersene.
Facciamo in modo che possa comprenderla,
vuoi con la scuola, vuoi con la sanzione:
bisogna terrorizzare ed istruire.
L’incendio è un genocidio
(il commissario schiuma)
– pensare a un gemellaggio fra alberi e bambini.
Bruciare una foresta,
investire la folla con un camion,
sono la stessa cosa,
benché quelli dell’Isis agiscano per fede,
non per soldi.
Occorre far capire l’enormità del fatto,
perché l’attentatore si ritragga atterrito
anche alla sola idea di realizzarlo.
Bandiere a mezz’asta, funerali di Stato,
silenzio nelle scuole e negli uffici pubblici.
La bellezza dovrebbe incutere sgomento.
La dolcezza dovrebbe incutere un timore
reverenziale.
«Terrorizzare ed istruire», quindi. Se l’educazione si compie attraverso l’esempio, complice l’atto e l’agire della testimonianza, Magrelli ci dice che occorre tornare a istruire; gli esempi, evidentemente, sono oggi tutto fuorché buoni.
È così che questo libro si spinge nel cuore del presente, carico di testimonianza e con amarezza mista a rabbia, e mista a sua volta all’istinto del divertimento. E dentro la nostra attualità ecco allora che anche il giallo, genere di moda, viene sperimentato da Magrelli con l’arma dell’ironia: nell’arco dell’opera sono disseminate sette storielle che, curiosamente, sembrano diventare indovinelli che portano il “gioco del giallo” in un gorgo irrisolvibile. Appositamente, e intelligentemente. «Microstorie e invettive, insomma» riassunte alla fine in un Coro sulla legalità, incentrato felicemente su «quel legame/ dove si stringe per meglio liberare».
Cristiano Poletti
Una replica a “Il commissario Magrelli”
L’ha ribloggato su Paolo Ottaviani's Weblog.
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